Dall’euforia all’agonia

Roberto Beccantini20 giugno 2014

Non fai in tempo a parlar bene della Nazionale che sei costretto a buttarla giù dalla torre. Costa Rica non ha vinto per caso. Ha vinto con pieno merito: fra parentesi, le manca pure un rigore (Chiellini su Campbell). Siamo italiani e, dunque, Prandelli non la passerà liscia. Ci stava il ritorno di Buffon, anche se sul cross, probabilmente, avrebbe potuto uscire prima, o meglio. Il popolo aveva invocato la testa di Paletta e l’ha avuta. Mi ha lasciato perplesso, viceversa, la staffetta fra Verratti e Thiago Motta. Sarei però disonesto se la usassi per spiegare «tutto» il disastro. Perché sì, è stato proprio un disastro.

Siamo finiti undici volte in fuorigioco, abbiamo cominciato con una punta (Balotelli) per finire con quattro (Balotelli, Cassano, Insigne, Cerci). Brutti segni. Dal ct mi sarei atteso cambi meno emotivi. Pochi tiri e poche palle gol. Ne ho contate due, entrambe nel primo tempo, entrambe sui piedi di Balotelli. Mario è stato troppo solo e poi troppo accompagnato. Altro che differenza.

Non ha pagato il rimescolo difensivo (Abate a destra, Darmian da destra a sinistra, Chiellini da sinistra al centro), anche se i rischi corsi sono stati relativi. La Nazionale ha prodotto un’idea di calcio così sbiadita e sbagliata che sarebbe delittuoso giustificare, esclusivamente, con il clima e con il dispendio di energie (scusate, ma i nostri avversari?).

Le scommesse vinte contro gli inglesi – dalla spinta di Darmian ai blitz di Candreva e Marchisio – sono state perse contro i costaricensi. Pirlo non può fare sempre miracoli, con il suo righello. In regime di 4-2-4, si è smarrito persino De Rossi. Eppure, per qualificarci, basterà pareggiare con l’Uruguay, squadra specializzata nel contro-gioco. Noi magari siamo più creativi, ammesso che ci si rialzi da una batosta simile, ma loro hanno Suarez e Cavani. Due lame contro un mazzo di foderi.

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Triste, solitaria y final

Roberto Beccantini18 giugno 2014

Impresa Sampaoli. Scherzo, anche se ne ho poca voglia. Jorge Sampaoli è il ct argentino che ha portato il Cile oltre le macerie della Spagna campione di tutto: e di troppo, per come pesavano quei trofei, sulle gambe e nella testa. C’era stata partita, almeno per un tempo, con l’Olanda. Ce n’è stata meno al Maracanà, al netto delle parate di Bravo, la prima su Xabi Alonso, un artigiano che di solito non spreca un fiammifero, figuriamoci un ceppo.

Il mio podio contemplava Brasile, Argentina, Spagna. Mi fidavo della Spagna e del Cile, non dell’Olanda. Del Bosque ha provato a rimescolare qualche carta, senza rinunciare però al guanto di sfida che, risultati alla mano, è diventato il simbolo del fallimento: Diego Costa.

Mentre il Cile la invadeva a ondate, con l’agilità di Sanchez e Vargas, la Spagna cercava di spremere le ultime stille dalla sua vincibile «armada». Improvvisamente, le sartine si sono ritrovate nude alla meta, senza tiki taka col quale stordire gli avversari e senza una manovra alternativa che potesse surrogarlo.

Prima o poi tutti i cicli finiscono. La Spagna ha scelto la strada più fulminante. Zero punti in due partite: mai successo, ai Mondiali, per la Nazionale «defending champion», come si dice nei bar alla moda.

Il blocco del Barcellona e le appendici Real non ne avevano più. Hanno esalato l’ultimo respiro ai piedi di un Vidal menomato e di un Isla che, rispetto al fantasma juventino, sembrava qualcosa di più, se non proprio un altro.

Quando la difesa che in dieci partite a eliminazione diretta tra Europei 2008, Mondiali 2010 ed Europei 2012 aveva beccato zero gol ne incassa sette, addirittura, in due gare, non resta che porgere sincere condoglianze. Chi scrive, non dimentica. E allora: bravo, Cile; grazie, Spagna.

Testa e cuore

Roberto Beccantini15 giugno 2014

Non sono più i maestri, non siamo più i camerieri che una notte del novembre 1973 Capello liberò dal servaggio dei tabloid. Italia due Inghilterra uno non è un semplice risultato: è anche, e soprattutto, la sintesi felice di una partita che la squadra di Prandelli ha giocato con la testa, prima, e con il cuore poi, quando bisognava difendersi con la paletta (e i Paletta) dal ronzio dei Rooney (per me, troppo lontano dalla porta).

Bravo Sirigu al posto di Buffon. Bravi Darmian, Candreva, Marchisio, Pirlo, Balotelli, finalmente puntuale al richiamo della foresta. Bella partita: aperta, corretta. Il nostro possesso palla contro i loro lampi (penso al pareggio di Sturridge). Dico la verità: la moda di scimmiottare il Barcellona non mi eccita, però riconosco al ct di aver scovato una formula – quella dei tre registi: Pirlo, Verratti, De Rossi, il più arretrato – che consente di vincere spesso le elezioni a metà campo. Il prezzo è la solitudine di Balotelli, anche se Marchisio (che gol) e Candreva (che palo, che cross) hanno fatto di tutto per non abbandonarlo agli artigli di Cahill e Jagielka.

Darmian, Candreva: è stato a destra, soprattutto lì, che gli azzurri hanno preso il sopravvento. Hodgson è ricorso a quattro attaccanti – Sturridge, Sterling, Welbeck, Rooney – la qual cosa conferma come e quanto non sia mai o quasi mai il numero delle rondini a fare primavera, ma l’atteggiamento, lo spirito, la volontà del gruppo.

Piano con i cin cin. Abbiamo vinto una battaglia, non la guerra. Costa Rica ha mortificato l’Uruguay, il gruppo resta un labirinto. Certo, era uno snodo cruciale: la prima partita, l’Inghilterra. A livello ufficiale, i tedeschi non ci hanno mai battuto, gli inglesi non ci battono più. Pura coincidenza? A naso, direi di no.