A naso

Roberto Beccantini4 maggio 2024

Sassuolo-Inter 1-0: a naso, uno scherzo di Carnevali…

Rimontine

Roberto Beccantini30 aprile 2024

Rimonte di Champions. Era l’andata delle semifinali: Bayern-Real da 0-1 a 2-1 a 2-2. Capita, fra squadre che non muoiono mai. La partita è stata tattica e mossa a seconda delle fasi, delle esigenze: e dei gusti, ma sì. Per una ventina di minuti, catenaccio del Carletto. Dicono «bloque bajo», a Madrid: contenti loro. Lunin salva su Sané, gli opliti spingono. Naturalmente, segnano i Blancos. Kroos indovina un passaggio che coinvolge lo spazio, l’errore di Kim, il movimento di Vinicius. A Coverciano tutti in piedi.

Il Bayern ha il centravanti, Kane. Il Real no: supplisce con l’agilità di Rodrygo e Vinicius. Anche per questo, o contropiede o avanzamento coatto dei reparti, con relativi rischi di coltellate alla schiena. Difatti. Alla ripresa, Tuchel toglie Goretzka, sguinzaglia Guerreiro (a sinistra) e sposta Sané a destra. Bellingham gigioneggia, potrebbe raddoppiare Kroos, ma nel giro di 3’ scoppia la rivoluzione: il pari nasce da un’iniziativa di Laimer, osso perpetuo, e trova in Sané la lecca che serve. Poi Muller smarca Musiala. Il cucciolo, in crescita, costringe Lucas Vazquez, che terzino non è, a un rigore «muy claro», trasformato da Hurrikane.

«Muy claro» è anche il penalty che Kim, disastroso rimpiazzo di De Ligt, commette su Rodrygo, palla c’è-palla non c’è. Tocca a Vinicius: non si può dire che gli scappi il bisturi. Gli era scivolato poco prima: smarcato da Modric, badante di Kroos, e murato dal corpaccione di Neuer.

Guizzo di Gnabry a parte, la coda declina sazia, gli uni aggrappati agli altri. Si decide al Bernabeu. Confermo il mio 55% pro Madrid, ma il Bayern fra casa e trasferta macina sempre. Carlitos se lo legò al dito, l’esonero. Ignaro di un vecchio detto: quando le cose vanno bene, il figlio e il genero dell’allenatore sono il vice e il nutrizionista. Quando vanno male, il vice e il nutrizionista «ritornano» il figlio e il genero dell’allenatore. Non solo da noi. Anche in Baviera.

Piccolo mondo grigio

Roberto Beccantini27 aprile 2024

C’erano una volta. La Juventus, da tre anni nel labirinto. Il Milan, decimato e con due ragazzini a tirar giù il sipario (Bartesaghi, Zeroli). Pioli e Allegri verso l’addio. L’uno, sgonfiato dal sesto derby perso (su sei) e aggrappato a un secondo posto non proprio in pugno, ma quasi; l’altro, nudo alla meta, finalista di coppa e sospeso su una zona Champions che Bologna, Roma e Atalanta continuano a insidiargli.

Lo 0-0 riassume una partita di livello medio basso, con un solo ammonito (Musah), una partita che, oggettivamente, Madama avrebbe meritato di vincere, ma ci sono vendemmie e vendemmie, idee e idee, piedi e piedi. Le pagelle dei portieri raccontano la sfida più e meglio di un trattato. Szczesny, senza voto. Sportiello, sostituto emergenziale di Maignan, reattivo sulla punizione di Vlahovic; svelto sul sinistro di Kostic e – prodigioso, addirittura – sul tap-in di Danilo; plastico sull’incornata di Milik. E quando ha bucato, ecco Thiaw, provvidenziale su Rabiot.

Yildiz e non Chiesa, all’inizio. E poi, nella ripresa, Yildiz più Chiesa più Vlahovic (Milik). Il primo tempo è stato Cassibile: un armistizio; l’ultima mezzora, lo sbarco in Normandia, con i marines della Vecchia (Chiesa, soprattutto) a buttarsi a corpo morto sulle trincee avversarie.

Spigolando: Bremer e Giroud, chi Laocoonte e chi i serpenti?, se le sono date in letizia; capitan Leao ne aveva sempre tre – Gatti, Weah, Cambiaso – e sempre tre, quelli lì, la difesa milanista doveva fronteggiare in fase di non possesso. Per un’ora, ogni palla persa generava una transizione; dopodiché, chi aveva più urgenza ha preso il sopravvento su chi poteva permettersi piccoli grandi calcoli.

Diceva Gandhi: «A furia di occhio per occhio, sono diventati tutti ciechi». Non c’entra un tubo, forse, ma mi piace troppo.