Inaudito

Roberto Beccantini30 marzo 2014

Lo strano caso del dottor Rizzoli e mister Sansone giustifica una riflessione. Nel merito: primo tempo di Sassuolo-Roma, contatto Benatia-Sansone. Siamo in area. Rizzoli non lo giudica da rigore, salvo correggersi su dritta di Peruzzo, uno dei giudici di porta. Apriti cielo. I romanisti lo circodano, decisi. Passeranno più di quattro minuti prima della cancellazione definitiva del penalty . Braccato dai protestanti, Rizzoli torna da Peruzzo, mendicando lumi possibilmente meno vaghi.

Non pago, e sempre più titubante, come riferirà Benatia in persona, «[Rizzoli] ha chiesto a Sansone di dire la verità, assicurandogli che non lo avrebbe ammonito, nel caso. Noi eravamo un po’ incazzati, perché con una squadra che si gioca la salvezza non puoi andare a chiedergli una cosa del genere. Sansone ha detto che lui era scivolato, ma che io gli avevo tirato la maglia, e l’arbitro ha deciso di non dare il rigore».

Scritto che di sicuro i piedi non si toccano – e che Benatia ha negato la spinta, non il tocco – la differenza, clamorosa, che isola questo episodio riguarda l’atteggiamento dell’arbitro centrale. L’«assemblea di condominio» non ha coinvolto, esclusivamente, gli ufficiali di gara, ma anche e soprattutto i giocatori. Con tanto di domanda (ti ha colpito?) e promessa (non ti ammonisco).

Evviva, dunque, l’onestà di Sansone? Mica tanto, a tradurre l’umore di Di Francesco, allenatore del Sassuolo ed ex romanista: «Una cosa mai vista. Secondo voi, se Sansone avesse dichiarato a Rizzoli che non era rigore avremmo perso tutto quel tempo? Non è così. Abbiamo assistito a una sceneggiata di 5’ dove chi doveva prendere delle decisioni non sapeva più cosa fare. Se io che faccio l’allenatore sbaglio mi mandano a casa, gli arbitri sono lì per prendere delle decisioni. Non mi è piaciuto questo episodio al di là che fosse rigore oppure no».

Braccino corto

Roberto Beccantini26 marzo 2014

Da un lato, sette vittorie consecutive e addirittura quindici su quindici in casa, nuovo record. Dall’altro, un progressivo arretramento che nemmeno la superiorità numerica ha mitigato. Sembra quasi un paradosso, il braccino corto della Juventus cannibale.

Il Parma era imbattuto da diciassette gare. Ha perso anche perché ha cercato di vincere. Primo gol di Tevez, in contropiede. Secondo, quasi. Mirante e Paletta non mi sono piaciuti. Sono già 18, i gol di Carlitos. Ammonito per una bracciata a Paletta, salterà Napoli. Per una gomitata più violenta, su Chiellini, era stato espulso l’ex Amauri. A Banti, nel concitato finale, è sfuggito un probabile rigore di Bonucci su Parolo. All’Olimpico, in Roma-Torino, all’assistente era sfuggito un piede di Destro. I feticisti delle moviole potranno sbizzarrirsi.

Gira e rigira, penso che al Parma sia mancato Cassano: né falso nueve né fantasista vero. La Juventus, «questa» Juventus», ha smesso la manovra avvolgente che l’aveva allontanata dal gruppo. Fuga scudetto e pruriti europei sono onori cha la squadra sta pagando soprattutto sul piano della qualità. Pogba su, Llorente giù, Vidal così così. E’ più scafata tatticamente, ma ogni tanto si smarrisce. Tutto si può dire del Parma di Donadoni, allenatore eccellente, tranne che l’abbia messa sul ritmo come il Genoa o presa a spallate come il Catania, poi scioltosi ai piedi del Napoli.

Sono i singoli a scavare la differenza. Pirlo e Tevez hanno firmato gli ultimi successi: Genoa, Fiorentina (Europa League), Catania, Parma. Un obiettivo è probabile, un altro possibile, ma nel sacco non risulta ancora nessun gatto. Infortuni e squalifiche orientano le rotazioni. Mi direte: non sei mai contento. Confermo.

La pulce e la formica

Roberto Beccantini23 marzo 2014

Dagli sfarzi di Real-Barcellona 3-4 alla bigiotteria del campionato italiano il salto è brusco e quasi blasfemo. Sabato, il Chelsea di Mourinho aveva massacrato l’Arsenal di Wenger e, in serata, la Roma passeggiato tra le rovine del «fu» Chievo. Nel pomeriggio, l’Inter aveva staccato l’Atalanta nel computo dei «legni» (4 a 1) e l’Atalanta battuto l’Inter nel numero dei gol (2 a 1). E’ il calcio, bellezze.

Catania-Juventus 0-1 comincia da lontano. Agli sgoccioli dell’andata, un tackle di Chiellini aveva rotto un perone a Bergessio. Seguirono scuse, evidentemente non accettate: tra gomitate e manate, il toro argentino avrebbe dovuto essere espulso ben prima del 65’. L’ultima contro la prima. Ha diretto un mediocre Damato. Nostalgia di Webb. Il Catania, per un tempo, l’ha messa sul wrestling non rinunziando ad agitare rostri e uncini. Il Cibali era una polveriera, dintorni compresi.

La capolista aveva nelle gambe le gloriose ruggini di Firenze. Conte, espulso al pari di Maran, aveva operato un modico turnover. Mercoledì c’è il Parma, poi il Napoli, poi il Lione. Infortuni e serbatoi impongono scelte feroci. La squadra si regge sul pilota automatico. Dalle punizioni di Pirlo al fioretto di Tevez: il cilindro della Juventus nasconde sempre la soluzione.

Osvaldo è stato prezioso ma sciagurato sotto porta. Ho apprezzato Caceres e Pirlo, che Lodi e c. hanno troppo, e troppo presto, abbandonato alle sue zolle. Era una partita da vincere, stop. La primavera incombe con le sue nuvole di misteriose alchimie. Terzo 1-0 consecutivo: la Juventus è una formica con l’elmetto. Di Storari non ricordo parate. Juventus 78, Roma 64. Ne mancano nove.

Musica, maestri: Iniesta, Benzema, ancora Benzema, Messi, Cristiano Ronaldo su rigore, Messi su rigore (rosso a Sergio Ramos), Messi su rigore. E in classifica, Atletico e Real punti 70, Barcellona 69. Beati loro.