A tutto Tevez

Roberto Beccantini27 ottobre 2013

Se la Roma continua così, complimenti a lei. La Juventus però è tornata. Veniva dalla sbornia fiorentina e dalla gagliarda notte di Madrid, ha sconfitto il Genoa appendendolo al muro. Il Genoa, non una combriccola di marziani. Dico subito che il rigore su Asamoah non c’era, o così almeno mi è parso. Fuori area per una questione di centimetri. Sia chiaro: nulla in comune con il caso Paloschi o le scorte che hanno offerto al Napoli un paio di penalty per uscire, in fretta, dall’ingorgo del Toro.

Nove partite, nove vittorie. La Roma di Rudi Garcia ha agganciato la Juventus di Fabio Capello 2005-2006. Senza Totti e senza Gervinho dall’inizio, e poi senza Maicon, espulso: ha risolto un panchinaro, Bradley. Allo Juventus Stadium, viceversa, il solco l’ha tracciato Tevez. Non è la prima volta. Marotta l’ha pagato nove milioni di euro: non tutti i saldi vengono per nuocere.

Dal Genoa di Gasperini mi aspettavo un po’ più di coraggio. Perin ha evitato che finisse in goleada. Kucka non è più lui, e Gilardino era troppo solo, troppo lontano. Il calendario impone ritmi forsennati, tra martedì e giovedì si torna in campo, spicca Fiorentina-Napoli, la Juventus riceverà il Catania.

Il senza voto di Buffon spiega tante cose, visto come si era ridotta la fase difensiva, all’interno della quale soltanto Bonucci ha continuato a distribuire brividi. Llorente non sarà un armadio di lusso, ma le sue ante hanno messo in riga i Portonava di turno. Persino Isla ha dato segni di vita.

Conte è tornato al 3-5-2, meglio ancora al 3-3-4 d’ordinanza. Un martello, questa volta, e non più l’incudine di certi scorci e certi sconci. Dalla Champions al campionato il trasloco può essere brusco. Penso al Milan e al modo in cui ha perso a Parma. In nove partite ha già incassato 16 gol. Eppure la società ha decorato esclusivamente l’attacco. Lo saprà Galliani, il motivo.

Un cerotto

Roberto Beccantini23 ottobre 2013

La nuova Juventus non mi è dispiaciuta. Veniva dal folle quarto d’ora di Firenze, Conte l’aveva rivoltata. Ha tenuto testa al Real anche in dieci. Il Bernabeu non è il Bentegodi: ho trovato corretto il rigore, non altrettanto l’espulsione. Al di là del nauseante svenimento di Cristiano Ronaldo e della chiara occasione da gol (?), Chiellini deve imparare a governare braccia e gomiti. In Italia, si tollera troppo; all’estero, meno.

Non è Ancelotti, il destinatario dei rimpianti. Sono i punti persi a Copenaghen e con il Galatasaray che la Juventus deve rimpiangere, ora che in Champions è scivolata al terzo posto. Bene ha fatto Tevez a non scaricare tutte le colpe sull’arbitro tedesco. Fra Milan, Fiorentina e Real – un Real non proprio con gli occhi di tigre – i campioni hanno beccato otto gol. Ripeto: otto. La differenza l’ha fatto Cristiano Ronaldo, tanto per cambiare. O meglio: gli episodi che sono girati attorno a lui.

La Juventus del 3-5-2 nacque a Napoli, dopo un fiammeggiante 3-3. Chissà cosa nascerà dopo Madrid. Conte parla di 4-3-3, a me è sembrato più un 4-5-1. Ogbonna terzino sinistro e Tevez «ala» sono lussi o sprechi da verificare; con i ritorni di Lichtsteiner e Vucinic cresce il bacino di pesca. Benino Pirlo, generoso Llorente, così così Marchisio, Pogba e Vidal. Voce dal fondo: e Buffon? Senza voto. Al di là dei moduli, per i quali sbaviamo, ho apprezzato l’atteggiamento complessivo. Da squadra non più distratta ma, al massimo, con dei limiti.

Per carità: nulla di straordinario, sul piano estetico. La Juventus segna con regolarità (sei gol nelle ultime tre partite), il problema rimane la fase difensiva, a tre o a quattro che sia. Guai a «eroicizzare» la sconfitta del Bernabeu. La sfida ha però offerto materiale sufficiente per riprendere la marcia. Non in Europa, vista la classifica. In campionato.

Catenaccio, mio catenaccio

Roberto Beccantini23 ottobre 2013

Ogni volta che una squadra italiana ricorre al catenaccio, il fanciullino che è in me si commuove. Torno ai quasi gol di Nicolò Carosio, ai filmati in bianco e nero, alle zuffe tra Sivori e Pachin, quando lo spagnolo gli ringhiò «Te falta una pluma para parecer un indio» e Omar replicò con una craniata. Milan-Barcellona 1-1 mi ha ricordato Milan-Barcellona 2-0 della scorsa stagione. Emozioni rare, titoli zeppi di silicone. Dieci minuti di Kakà sono stati spacciati per un miracolo. Qualcuno ha scoperto che «questo» Milan non è più «quel» Milan, lo squadrone in cui Kakà si prendeva la notte e l’agitava come un mantello.

Dicevo del catenaccio. Cos’altro poteva inventarsi, Allegri? Il Bayern non fa testo. Dal Chelsea di Hiddink al Chelsea di Di Matteo, passando per l’Inter di Mourinho, tutti hanno affrontato il Barça così: aspettandolo sull’uscio di casa per poi pugnalarlo appena entrato. Al Milan è riuscita, soprattutto, la prima fase. I piedi sono quelli, ogni paragone con gli alluci che furono ha poco senso.

Scritto che la fase a gironi non ha il fascino esplosivo dell’eliminazione diretta, e sabato andrà in onda proprio Barcellona-Real, l’orchestra catalana mi ha annoiato. C’è torello e torello: i ricami di San Siro mi sembravano piccoli atti memorizzati e, dunque, dovuti. Non ho colto felicità, nei tocchi di Xavi e Iniesta. E poi: evviva il 4-3-3, a patto che non imprigioni Sanchez a destra e Neymar a sinistra. Capisco che Messi è Messi, e molte strade debbano portare a lui. Ecco: molte, non tutte. Sarà questa la grande sfida di «Tata» Martino al barcellonismo di Guardiola.

Dal Meazza al Bernabeu. Voce del popolo: il Real è più forte, la Juventus più organizzata. In linea di massima, sì. Restano due variabili: 1) il quarto d’ora di Firenze; 2) il cambio di modulo (da 3-5-2 a 4-3-1-2). Al posto di Conte, avrei atteso il Genoa. L’importante è che sia convinto, e non che si sia lasciato convincere.