Evviva il dribbling

Roberto Beccantini8 dicembre 2013

E’ stata divertente, Roma-Fiorentina. Brividi, parate, pali, sprechi: sembrava la sparatoria di un film western. Montella ha patito l’assenza di un centravanti vero, tipo Gomez. Garcia l’ha scovato in panchina: Mattia Destro, classe 1991. Veniva da un serio infortunio al ginocchio sinistro. In attesa del rientro di Totti, amplia la gamma delle soluzioni offensive. E’ un Borriello più giovane, più moderno.

L’hombre del partido è stato però Gervinho. Se lanciato, ha un dribbling che diventa letale. Non a caso, ha propiziato entrambi i gol. L’ivoriano giocava nell’Arsenal di Arsène Wenger. O non è stato capito, o ha capito fin troppo bene il catechismo di Garcia, che lo ebbe a Lilla. Non escludo neppure che il livello difensivo del nostro campionato si sia abbassato. Gervinho sarà anche un anarchico, ma quando riesce a isolarsi con l’avversario, e lo sfida in palleggio, sembra quasi di assistere a un match di basket più che a un’ordalia di calcio.

Juan Cuadrado, eccone un altro che si ciba di finte, di sgommate. Bravo pure lui, ma meno devastante di Gervinho. Sono gli ultimi artigiani del dribbling. Come Cerci, come Diamanti. Sia chiaro: il calcio è anche geometria, non solo dribbling; equilibrio, non solo azzardo. Tattiche e tatticismi ne hanno confinato l’uso e condannato l’abuso. Si può vincere in tanti modi, che discorsi. La Juventus di Conte ha vinto e rivinto senza «un» Gervinho.

Oggi, le ali si chiamano esterni e devono saper fare i terzini. Quando ero ragazzo, spopolavano il catenaccio e il battitore libero. Il pressing attuale ha intasato gli spazi; le piste di decollo, per i Gervinho, si riducono a poche zolle. Ci si rifugia, spesso, nell’uno-due, nel passaggio «sulla corsa». La differenza è il regolamento: privilegia l’attacco, non più la difesa. Lo scrivo con nostalgia: evviva il dribbling.

Da maglia gialla

Roberto Beccantini6 dicembre 2013

Proprio da maglia gialla. Senza Pirlo, la Juventus macina il Bologna al di là dello scarto. Non che la squadra di Pioli fosse un carro armato, tutt’altro, ma le rotazioni di Conte e la fissa del Galatasaray avrebbero potuto annacquarne le batterie. Per carità.

Venti minuti alla grande, con gol di Vidal (a quando una pacca a Marotta?), poi pilota automatico, poi occasioni sparse e sprecate (da Llorente, soprattutto, complice Curci) e il sigillo di Chiellini. Il Bologna è stato Diamanti: il suo dribbling, le sue stangate. Partite così vanno chiuse prima: in caso contrario, può sempre capitare che qualcuno faccia tombola (Cristaldo e Morleo stavano per farla).

Sono stati rari i contropiede che la Juventus ha offerto per passaggio sbagliato in uscita. Buon segno. Nella posizione di Pirlo c’era Pogba. Altra roba. Vi raccomando la personalità del gruppo e, a sprazzi, il gioco, il ritmo. Bene Peluso in fase di rifinitura (!), benone Ogbonna nel cuore del bunker: i suoi lanci, alla Bonucci, sono stati una piacevole sorpresa. A Marchisio, in ripresa, continua a mancare l’ultimo guizzo. Vidal ha confermato di avere un senso di smarcamento fuori del comune.

Quaranta punti in quindici gare, settima vittoria consecutiva, 15 gol a 0. Dopo Firenze, è cominciato un altro film. A Istanbul la musica sarà diversa: sai che scoperta. La Juventus avrà, dalla sua, due risultati e un impianto di gran lunga superiore. Il Galatasaray di Mancini, il pubblico e i solisti (Drogba, Sneijder). La Juventus ci arriva in salute, ma in Europa si ammala spesso.

E Mazzoleni? Mediocre. Non ho capito l’ammonizione a Chiellini e, come mi suggerisce il lettore Bilbao77, manca il secondo giallo a Peluso, subito «espulso» da Conte. E poi dicono che i miei pazienti sono faziosi.

Saper soffrire

Roberto Beccantini1 dicembre 2013

Un anno fa, alla quattordicesima, la Juventus perdeva a San Siro contro il Milan: rigore (ascellare) di Robinho. Questa volta ha battuto l’Udinese, in casa, con lo stesso scarto. Ha risolto, agli sgoccioli degli sgoccioli, dopo che Buffon era andato oltre i suoi stessi pugni, Fernando Llorente. Guidolin è un signor allenatore e l’ha dimostrato. Difesa e contropiede. Conte ha perso Pirlo, un Pirlo in forma, e ne ha pagato il fio. Non mi stancherò mai: da Lichtsteiner e Asamoah a Padoin e De Ceglie, il mio regno per un dribbling.

Lo zero a zero sembrava scolpito, e sarebbe stato legittimo, equo. Più possesso la Juventus, ça va sans dire, più occasioni l’Udinese (almeno, fino, ai titoli di coda).

Conte ha chiuso con un estemporaneo, per lui, 4-3-1-2. «Lotta continua» Tevez dietro a Llorente e Quagliarella. La variante ha prodotto confusione; e dalla confusione è nato l’episodio-chiave. Sei vittorie di fila: 2-0 al Genoa, 4-0 al Catania, 1-0 a Parma, 3-0 al Napoli, 2-0 a Livorno, 1-0 all’Udinese. Tredici gol a zero. Mettiamoci pure i refoli della sorte, gli inchini del destino: senza esagerare, però.

Il mercoledì di Champions aveva zavorrato Vidal, Pogba, costretto in panni non suoi, Marchisio (al di là delle bollicine introduttive). Per tacere dei terzini: scusate, ma li chiamo così. Poteva mancare l’implacabile scarabocchio di Bonucci? No che non poteva. La trama, in generale, mi ha ricordato Juventus-Catania 1-0, quella decisa da Giaccherini. Con la differenza Buffon.

Dall’Europa al campionato, esistono anche gli avversari: mai dimenticarlo. La Juventus sa soffrire. Può giocar male, e ci sono stati scorci in cui l’ha fatto anche stavolta, ma poi, è chiaro, più occupi il cuore del ring e spingi il rivale alle corde, più rischi che un contropiede ti pugnali o che una mischia ti baci.

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