Non ci credo

Roberto Beccantini20 giugno 2013

Non c’era proprio, l’Italia. Zero a due nel giro di mezz’ora. Ho pensato: mi sta bene, così la prossima volta imparo. Altro che codice Pirlo, Balotelli alla Riva, Messico in sombreri di tela. Non ricordo un’Italia tanto schiava e un Giappone tanto tiranno. Non sto a dirvi il mazzo che ci hanno fatto Uchida e Okazaki a destra, Nagatomo e Kagawa a sinistra. I nippo sembravano undici Bolt. Noi, undici pensionati: dai cuccioli (De Sciglio) al capo tribù (Pirlo).

Piano piano, il calcio è sceso dall’albero dell’eresia podistica per consegnarsi alla logica dei valori (e delle natiche). Il primo a fare mea culpa è stato Prandelli. Al diavolo il 4-3-2-1, modulo che portava Balotelli al cross e non al tiro, fuori Aquilani, dentro Giovinco e spazio al 4-3-1-2, con Giaccherini e Giovinco a operare di bisturi fra le linee, ora punte d’appoggio ora rifinitori.

La squadra di Zaccheroni si è come seduta. Testa-gol di De Rossi, palo di Giaccherini, autorete di Uchida su percussione del Giac, rigore di Balotelli (propiziato da Giovinco, giuro). La sfida è stata trascinata dalle squadre come un baule pieno di scartoffie: ne cercavi una, e non sapevi dove mettere le mani, se sotto le parrucca di Honda o sopra i guanti di Buffon.

Quando sembrava tutto finito, ecco il 3-3 di Okazaki (di testa, alla De Rossi) e un’Italia di nuovo in balìa di Honda e delle onde. Che disastro, la loro difesa e la nostra, intesa come reparto e come fase. La benzina scarseggiava, il centrocampo copriva poco e male. Okazaki ha timbrato un palo, nella nostra area succedeva di tutto, tipo roulette russa. Solo che, improvvisamente, è esplosa la pallottola di Giovinco. Sì, proprio lui. E dal momento che sono il presidente dell’Associazione Giùlemaninedagiovinco, mi fermo qui. Per pudore. Cercate di capirmi.

Ah, los italianos

Roberto Beccantini19 giugno 2013

Scaricati. Non avevo dubbi. Los italianos sono fatti così. Sia chiaro: con bufale tipo «la miglior Under degli ultimi 40 anni», la stampa ha fornito l’ennesimo pretesto per l’ennesimo eccesso. Nessun dubbio che la Spagna sia, oggi come ieri, di un altro pianeta: l’ha ribadito anche a Gerusalemme. Ma che Verratti e c. siano diventati un branco di schiappe, questo no. Marco Verratti, che della nostra Under è un po’ il simbolo, mi ha francamente deluso: e non solo nella finale. Ciò premesso, lo prenderei comunque. Meglio ancora: l’avrei preso quando giocava a Pescara e costava la metà. A cosa servono, se no, gli osservatori? Resta, per me, il regista più vicino a Pirlo. E ha 20 anni.

Ah, los italianos. Trent’anni fa, la Juventus perse la finale di Coppa dei Campioni ad Atene. Non furono pochi coloro che invitarono Agnelli e Boniperti a bruciarli tutti, Boniek e Platini compresi. Per fortuna, avevano esaurito i fiammiferi.

Calma, per Brio! La Nazionale di Prandelli è vice campione d’Europa, idem gli under 17 di Zoratto e gli under 21 di Mangia. Qualcosa si muove: e pure qualcuno, finalmente. Verratti gioca nel Paris Saint-Germain, Donati, il terzino destro, è stato chiesto dal Bayer Leverkusen. Con i giovani non si può non rischiare. Anzi: si deve. Senza esagerare, per carità, ma anche senza lesinare.

Ho letto rilievi legittimi e condivisibili: l’eccesso di tattica e la carenza di fondamentali nei vivai, il giro di investimenti che non sfiora nemmeno lontanamente il fabbisogno nazionale, il disegno (bocciato) di un campionato riserve che faccia da cuscinetto tra Primavera e prima squadra. Questi siamo. Sarà che la storia la scrivono i vincitori (non sempre), ma non capisco tutto ‘sto catastrofismo. Vergin di servo encomio e di codardo oltraggio ripeto che Verratti come vice Pirlo lo prenderei subito.

Il codice Pirlo

Roberto Beccantini17 giugno 2013

Non è il caso di brindare a champagne, ma l’Italia ha giocato e vinto di squadra. La Confederations Cup è un piccolo Mondiale che serve per mungere e distribuire quattrini: non ne avverti la curiosità fino a quando non scocca l’ora. Il Messico, poi, ci aveva sempre creato problemi, dall’1-1 del Mondiale 1994 all’1-1 del Mondiale 2002. Questa volta lo abbiamo controllato e/o dominato al di là dello scarto.

Prima degli Europei, Prandelli passò al 3-5-2. Dopo Praga e Haiti, ha scelto il 4-3-2-1. La vittoria di Rio mi ha ricordato il brillante pareggio con la Spagna. In compenso, ho trovato spaesato e fuori ruolo Marchisio (poca benzina? distrazioni mercantili?): lui, più di Giaccherini che, riserva di qua e con-titolare di là, sa riempire ormai ogni casella, terzino, punta esterna, mezzala, tornante.

La topica di Barzagli appartiene alle capriole del fato, visto il rendimento delle stagioni juventine. Solo la storia ci dirà se si tratta di un episodio, come penso, o, data l’età: 32 anni, di qualcosa di diverso. Ho molto apprezzato gli applausi ad Andrea Pirlo e Mario Balotelli. Cento partite con gol al Maracanà, Pirlo: mi auguro che Verratti, l’erede designato, sbocci in fretta. Ai Mondiali, il signor Righello ne avrà 35. Balotelli, da parte sua, fa reparto da solo. Se giochi con un centrocampo così tecnico, il centravanti diventa fionda o sasso a seconda del modo in cui si sviluppa l’azione.

Balotelli, per adesso, è tutto o niente. Deve crescere. Deve diventare più continuo. Nel gol, c’è l’arroganza di un fisico che impaurisce al punto da rendere imbranati persino gli avversari più scafati. Buttare via la maglia non ha senso. Butti via, piuttosto, certe asprezze del carattere, non tutte giustificabili. L’ovazione del tempio cancella ogni tipo di alibi. A Mario, a noi, a tutti.