Non c’era proprio, l’Italia. Zero a due nel giro di mezz’ora. Ho pensato: mi sta bene, così la prossima volta imparo. Altro che codice Pirlo, Balotelli alla Riva, Messico in sombreri di tela. Non ricordo un’Italia tanto schiava e un Giappone tanto tiranno. Non sto a dirvi il mazzo che ci hanno fatto Uchida e Okazaki a destra, Nagatomo e Kagawa a sinistra. I nippo sembravano undici Bolt. Noi, undici pensionati: dai cuccioli (De Sciglio) al capo tribù (Pirlo).
Piano piano, il calcio è sceso dall’albero dell’eresia podistica per consegnarsi alla logica dei valori (e delle natiche). Il primo a fare mea culpa è stato Prandelli. Al diavolo il 4-3-2-1, modulo che portava Balotelli al cross e non al tiro, fuori Aquilani, dentro Giovinco e spazio al 4-3-1-2, con Giaccherini e Giovinco a operare di bisturi fra le linee, ora punte d’appoggio ora rifinitori.
La squadra di Zaccheroni si è come seduta. Testa-gol di De Rossi, palo di Giaccherini, autorete di Uchida su percussione del Giac, rigore di Balotelli (propiziato da Giovinco, giuro). La sfida è stata trascinata dalle squadre come un baule pieno di scartoffie: ne cercavi una, e non sapevi dove mettere le mani, se sotto le parrucca di Honda o sopra i guanti di Buffon.
Quando sembrava tutto finito, ecco il 3-3 di Okazaki (di testa, alla De Rossi) e un’Italia di nuovo in balìa di Honda e delle onde. Che disastro, la loro difesa e la nostra, intesa come reparto e come fase. La benzina scarseggiava, il centrocampo copriva poco e male. Okazaki ha timbrato un palo, nella nostra area succedeva di tutto, tipo roulette russa. Solo che, improvvisamente, è esplosa la pallottola di Giovinco. Sì, proprio lui. E dal momento che sono il presidente dell’Associazione Giùlemaninedagiovinco, mi fermo qui. Per pudore. Cercate di capirmi.