Il ventinovesimo scudetto della Juventus coinicide con il secondo consecutivo di Antonio Conte. Se il primo fu vinto in volata, sul Milan di Ibrahimovic, questo è stato stravinto per distacco. Ho azzeccato l’ordine d’arrivo (Juventus, Napoli), non le distanze. La Juventus è in testa dal 7 aprile 2012. Non è stata brillante e martellante come la scorsa stagione: è stata la più forte, stop. Chapeau ad Andrea Agnelli e al suo staff.
Su tutti e su tutto, Conte. Giocatore simbolo, Barzagli: quando arrivò, nel gennaio 2011, prendemmo in giro Marotta. I numeri non sono il vangelo ma aiutano a capire: miglior difesa (repetita iuvant), impennata di vittorie, crollo dei pareggi. E quattro sconfitte contro le zero di un anno fa. Sul piano tattico, il 3-5-2 ha scortato anche l’attuale safari. Modici i ritocchi: il 3-5-1-1, per issare a bordo il tritolo di Pogba (vergognoso lo sputo in risposta alla manata di Aronica) e, in casi d’emergenza, il 4-3-1-2 e il 4-3-3, modulo, quest’ultimo, che con Pepe «sano» avremmo visto più spesso. Credo che la prossima stagione coinvolgerà nuove sfide: questa rosa, per Conte, ha dato il massimo (concordo). Di qui la parabola dell’uomo Conte, juventino a vita, e del professionista Conte, juventino «se». Le pressioni saranno tremende. Urgono forze fresche, soprattutto sulle fasce e in attacco, là dove il via-vai potrebbe coinvolgere, addirittura, l’intero reparto.
Supercoppa di Lega, scudetto, semifinali di Coppa Italia, quarti di Champions: missione compiutissima, in rapporto alle risorse e alla concorrenza. Non è stato un campionato tecnicamente memorabile. I confini sono, da una parte, i sette giocatori forniti alla Nazionale vice campione d’Europa, segno di una buona qualità media e, dall’altra, i 18 e 30 punti inflitti al Milan azzerato e all’Inter decimata da Moratti e dagli infortuni. Altra cilindrata, la Juventus: ma Conte non vive tra le nuvole.