All’italiana

Roberto Beccantini12 febbraio 2013

Appartengo al partito di coloro che reputano una benedizione, e non una sciagura, segnare subito. Per questo, mi sarei aspettato un profilo meno basso, nella gestione del gruzzolo. L’uno-due finale rende ridicole le mie fisime. Celtic zero, Juventus tre: «e più non dimandare». Invece no.

Era il ritorno in Champions dopo due mesi di letargo. Era il passaggio dalla fase a gironi all’eliminazione diretta. Il Celtic aveva sconfitto il Barcellona. Gli mancava, però, Samaras: il suo Ibra. Ha giocato, la squadra di Conte, come di solito «fa» giocare gli avversari in campionato: all’italiana, ribattendo e speculando. Certo, ha ritrovato Matri – che avevo dato per «imbrocchito» – e Buffon ha trasmesso sicurezza alla Maginot. Sono mancati i contropiede che, in situazioni del genere, i rivali offrono. La Juventus è stata cinica, concreta e avara, fino a quando, almeno, non ha colto l’attimo e cambiato marcia. Neppure con il Chelsea, a Londra, l’avevo vista così chiusa: eppure era il debutto, eppura aveva di fronte i campioni in carica.

La cosa più bella? Il lancio di Peluso per il gol di Matri, al netto della pirlaggine di Ambrose. Peluso, cioè un gregario imbarcato d’urgenza a gennaio. E poi: saper soffrire è un merito, dovunque e comunque, anche contro i Celtic di turno. Il risultato spalanca la porta dei quarti di Champions e dà benzina per la volata scudetto (prossima tappa, sabato a Roma). Tre partite a febbraio, tre vittorie: la tendenza sembra identica a quella della scorsa stagione, quando di mezzo, però, non c’era l’Europa.

Fino al brodino di Verona si parlava dell’assenza di Chiellini come di un vulnus letale. La forza della Juventus è anche questa: tutti sono importanti, ma pochissimi indispensabili (Buffon, Pirlo). Sono sicuro che Conte non si farà prendere la mano da certi brindisi: la strada, giusta, è ancora lunga.

Lezioni ed emozioni

Roberto Beccantini9 febbraio 2013

Mi sbaglierò ma credo che i Della Valle abbiano finito per caricare la squadra sbagliata. La Fiorentina è durata una ventina di minuti, la Juventus molto di più. Giocò meglio all’andata, la Viola, quando Montella spedì Ljajic chez Pirlò. Questa volta, non gli ha mandato nessuno, e così Pirlo ha preso l’orchestra per mano. Pizarro, il Pirlo dell’Arno, non ha resistito a lungo, come Cuadrado, come Jovetic, capace solo in avvio di scomodare Buffon.

Fiorentina, Celtic, Roma. Con la formula Conte in tribuna/Alessio in panchina, la mia preferita, la Juventus ha risposto per le rime. Veniva da un gennaio grigio, isterico, febbraio le ha già regalato due vittorie in due partite. Vidal, Pirlo, Barzagli su tutti. In progresso anche De Ceglie e Peluso. In ritardo, Marchisio. Ognuno ha portato il suo mattone, da Buffon a Pogba.

Il pressing di Matri e Vucinic ha contribuito a smascherare i difensori. Inutile tornare su Vucinic. Realizzerà sempre il gol più complicato e ciccherà sempre il più docile, il più facile. Matri mi sembrava imbrocchito. Felice di ritrovarlo su livelli più che dignitosi. C’ero, a Verona, quando Elkajer segnò dopo aver perso una scarpa, proprio come lui. Era il Verona di Bagnoli, e «quel» Verona vinse poi lo scudetto.

Nel 2013, la Fiorentina ha sconfitto esclusivamente il Parma e, dunque, non è proprio il caso di sacrificare il vitello grasso. Da martedì, chissà fino a quando, si torna al ping pong campionato- Champions. La Juventus vi arriva in ripresa.

Fiammeggiante, la sfida dell’Olimpico. Lazio e Napoli si sono inseguiti e graffiati a suon di gol, traverse, sgorbi. Petkovic ha chiuso senza Klose (in tribuna), Mauri e Hernanes. Mazzarri ha chiuso con quattro punte, alla Mourinho. Insigne sta al Napoli come vorrei che Giovinco stesse alla Juventus. Cinque punti di distacco. Datemi retta: cambia poco.

Ninna nanna

Roberto Beccantini6 febbraio 2013

Le amichevoli sono la nostra anestesia. Di solito, ci svegliamo dopo l’operazione, al tocco di soavi infermiere, come documentano le sconfitte con Uruguay, Stati Uniti, Russia, Inghilterra e Francia. Con l’Olanda deve esserci stato un disguido. Il bisturi di Robben e Kuyt è rimasto a mezz’aria, i cambi hanno funzionato e così, tra i moccoli dei chirurghi e i brontolii del paziente, il piccolo Verratti ha addirittura pareggiato.

Hai voglia di agitare la locandina, vice campioni del Mondo contro vice campioni d’Europa. Il campionato incombe, le idi di marzo si leccano i baffi. Precedenza, dunque, alle caviglie e agli stinchi (non necessariamente di santi), ai dosaggi e alle flebo di vitamine decoubertiniane (l’importante è partecipare: appunto).

Balotelli ed El Shaarawy? In giro per Amsterdam, senza un Valeri
di scorta (e di scossa); meglio Gilardino e Osvaldo. Tanta ninna nanna sul lettino di un’Olanda fedele nei secoli al motto sociale: io sbadiglio, tu sprechi, egli sciupa. Un classico: ci sia Van Basten o Van Gaal. Mezzo Van Persie e mezzo Robben si sono adeguati alla pennica collettiva. Tra i rari seccatori, Maher e Lens: in barba al «do not disturb» affisso al muro, si agitavano e tiravano, i gaglioffi.

Bello, il gol di Verratti, 20 anni e 1,65. Segno di maturità e padronanza tecnica. Migliore degli azzurri, capitan Buffon. Tutto il resto, noia: dai passaggi di Pirlo alle passeggiate di De Rossi. Profondità, zero.

Due parole, infine, sul codice (pat)etico. Prandelli sta pensando di cambiarlo: il «legittimo impedimento» non sarebbe più motivo di esclusione, come nel caso di Bonucci, ma di «convocazione con tribuna». Temo che il ct si sia incartato. L’etica, nello sport, non ha bisogno di supplementi. Se la appiccichi a troppe variabili, diventa etichetta.