La solitudine di Galliani

Roberto Beccantini19 maggio 2013

Le classifiche di Galliani sono sempre suggestive: ricordano i bigliettini delle cacce al tesoro che portavano (sempre) al tesoro. Nel suo caso, portano (sempre) al Milan. Il problema è che ogni tanto a dette cacce partecipano anche gli arbitri. E’ successo prima di Siena, e pure a Siena. Come Bergonzi non abbia colto la trattenuta di Ambrosini a Vitiello resta un mistero. Soprattutto alla luce del contatto Felipe-Balotelli, che ha prodotto l’ennesimo rigore made in Mario (senza cresta).

Gol di Terzi, Milan terzo. Allegri meriterebbe (o avrebbe meritato) la conferma: 42 punti nel girone di ritorno, uno in meno della Juventus, non sono pochi. La Fiorentina ci ha rimesso la Champions per due lunghezze, non di più. Montella, gran signore, ha rammentato il rigore fallito a Parma, quando la squadra era in vantaggio di un gol e di un uomo. Giù il cappello.

Non sempre i favori e i torti si equivalgono. Questa, però, è un’altra storia. Dall’ascella di Isla, il Diavolo è entrato nella grazia di Dio (ossimoro). Salvo rare eccezioni. I tifosi, che sono tutti uguali, non lo capiranno mai. La non conferma di Allegri sarebbe spiegabile solo con il peso politico che qualcuno (Berlusconi?) potrebbe calare sul ring: ho fatto più io dietro le quinte che lui (Allegri) davanti.
Sinceramente: alzi la mano chi avrebbe immaginato un epilogo diverso. Gli stimoli non si comprano (?), il Siena si è arreso come a Napoli, con dignità: in vantaggio, poi ripreso e sconfitto nel finale. Rimane il doppio metro del signor Bergonzi. Chissà, il Milan avrebbe rimontato comunque, o addirittura vinto più largamente, ma non è che un episodio lavi l’altro.

Un classico finale da regime italico. Con Firenze che non ringhia contro la Juventus (clamoroso) ma contro il Milan. Nei covi rossoneri già si parla della solitudine di Galliani. Copioni.

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Tranne uno

Roberto Beccantini16 maggio 2013

Ritorno, per una volta, allo spezzatino.

** Non avevo dubbi sull’esito del match tra Andrea Agnelli e Antonio Conte. Nel momento in cui il presidente ha fissato la nuova frontiera – terzo scudetto di fila – tutti hanno capito tutto. Mister compreso. Non che la tripletta sia una passeggiata, per carità, ma si resta sulla terra. Per la luna, c’è tempo.

** Conte è molto europeo nella filosofia di gioco, ma non aveva offerte di un certo livello: anche questo ha pesato.

** Mi dicono che l’allenatore consideri incedibile un solo attaccante, fra quelli attualmente in rosa: Sebastian Giovinco. Non Alessandro Matri, non Fabio Quagliarella, e neppure Mirko Vucinic. Caccia grossa al motivo: perché Giovinco non ha mercato; perché con gli undici milioni sborsati per la metà l’estate scorsa, si rischia la minusvalenza; perché ha caratteristiche che altri non hanno; perché invece è una balla.

** Razzismo, da Blatter a Platini a Balotelli. Vi partecipo la mia ricetta: 1) Daspo e galera (caso per caso, naturalmente); 2) multa ai club; 3) chiusura delle curve; 4) chiusura degli stadi; 5) penalizzazione in classifica.

** La storia non gioca, ma ogni tanto scende in campo. Finale di Europa League, Benfica-Chelsea. Il calcio di tocco, latineggiante, contro il calcio di rimessa, italianista. Sul piano del gioco, Benfica batte Chelsea molto a poco. Risultato: Chelsea batte Benfica due a uno. Guai a trasformare il calcio in un testo di algebra. Da Eusebio a Cristiano Ronaldo, il Portogallo ha espresso più rifinitori che stoccatori, più Figo che Radamel Falcao, bomber colombiano dell’ultimo Porto europeo. Insomma: più che tirare a campare, bisogna campare per tirare. Elementare, Ivanovic (pallino di Conte, già che siamo in tema).

La fame e la fama

Roberto Beccantini12 maggio 2013

Credo che Antonio Conte resterà alla Juventus. Insieme, cercheranno di vincere il terzo scudetto consecutivo, impresa che manca dagli anni Trenta, e di diventare più «europei». Non c’è esperto che non gli abbia riconosciuto la paternità della doppietta: tutti, rivali compresi.

Ciò premesso, nella remota eventualità che il mister si fermasse o cambiasse indirizzo, la Juventus è la Juventus e andrà avanti comunque: lo fece dopo il ritiro di Michel Platini, lo farebbe in questo caso. In che modo, non so: le basi, però, ci sono. Sarebbe un salto, certo: ma non più nel buio.

Dedicato ai fanatici delle lavagne. Non ho sentito Conte invocare schemi. L’ho sentito chiedere giocatori. Più grandi, possibilmente, di quelli che ha. Una punta tipo Cavani, un fantasista alla Jovetic, un vice Pirlo, un paio di esterni. Ne condivido i paletti: 1) questo organico si è spinto oltre le colonne d’Ercole; 2) se basta l’Italia, allora serve poco (in attesa di pesare il mercato del Napoli e delle milanesi); 3) se viceversa l’obiettivo sarà la Champions, urge una campagna più mirata.

Dal 3-5-2 Conte medita di passare al 4-2-3-1 stile Bayern. Oppure, con il ritorno di Pepe, al 4-3-3. Coppia di riferimento, Ribéry e Robben. Piccolo consiglio: non batta sempre il tasto della «ferocia», della «bava alla bocca». Nessuno nega l’importanza cruciale degli stimoli: là dove, soprattutto, il bilancio piange. Così facendo, Conte maschera e riduce la fragranza del gioco. Il suo gioco. Perché darsi martellate sui genitali? La pancia piena è un’insidia. L’alluce modesto, un pericolo. La Juventus di Conte ha vinto «anche» perché ha giocato meglio, non solo perché è stata più Thatcher degli avversari.

La fame e la fama: la prima fa uscire dall’indifferenza, la seconda fa la differenza. Insieme, fanno la storia.

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