Miroslav Klose a parametro zero è stata una felice intuizione di quel «birbante» di Claudio Lotito. Dieci gol, tutti su azione: l’ultimo all’Inter. Io gli preferisco Diego Milito, più decisivo nelle partite decisive, ma applaudo il fattore K. Strano groviglio, Lazio-Inter. Da sbadigli per un’ora, e poi, d’improvviso, da schiaffi.
L’Inter è un sommergibile che dà la caccia agli episodi. In dieci minuti ha colpito due pali (Guarin, Cassano), impegnato strenuamente Marchetti e sfiorato il gol con Palacio. Il resto: all’inizio, mancia; nel finale, rabbia. Dopo la Roma, la Lazio: grande con le grandi, l’Inter; romane escluse.
La Lazio è stata più squadra, ma anche più sterile. Fino, almeno, all’uno-due di Klose (gol sbagliato, gol fatto). Petkovic se l’è giocata con giudizio, dal 4-1-4-1 d’ordinanza al 4-4-1-1 della svolta, Mauri dietro Klose. Non ha segnato quando avrebbe meritato, l’ha fatto quando l’avrebbero meritato gli avversari. Stramaccioni è un laboratorio ambulante: difesa a quattro, poi a tre, poi ancora a quattro, Zanetti davanti alla difesa, poi a destra; tridente, bidente, ancora tridente. La staffetta Cambiasso-Palacio è stata un segnale coraggioso. Tornando alla torta, trascurata, e alle fette, che non sempre bastano: dall’autorete di Garçia (Palermo) al doppio legno dell’Olimpico il calcio dà , il calcio toglie. E da Astori a Ciani, in area, Ranocchia non ha fortuna.
Non è stata un’ordalia da leccarsi i baffi. Il problema di Stramaccioni resta la fonte del gioco: o Guarin o pallacce. Il problema di Petkovic rimane Hernanes, non sempre all’altezza della situazione allorché i dirimpettai salgono di livello. Gira e rigira, però, il limite estremo della Lazio è il suo tesoro: Klose. O lui o nessuno. E l’anti-Juventus? Sotto a chi tocca.