Lo scandalo non è il rifiuto con il quale la Juventus, secondo Massimo Cellino, padrone e presidente del Cagliari, avrebbe liquidato la possibilità di giocare la sfida odierna allo stadio Is Arenas di Quartu Sant’Elena. Come se alla Juventus, e non alle autorità competenti, fosse spettata, e spettasse, l’ultima parola.
Lo scandalo non è lo 0-3 a tavolino assegnato alla Roma dopo che Cellino aveva invitato i tifosi del Cagliari dentro uno stadio che il prefetto aveva vietato al pubblico. La partita non si giocò e, dunque, non venne falsata: sarebbe stato più opportuno punire il club sardo senza premiare la Roma, ma i tornanti del regolamento lo consentivano.
Lo scandalo, il vero scandalo, è che nel campionato italiano di serie A, la nostra Nba, ci sia una società che non ha un impianto fisso – o abbastanza fisso e sicuro, mettiamola così – nel quale disputare le partite casalinghe. Dalla scorsa stagione il Cagliari deambula fra Trieste, Quartu e Parma. A porte chiuse, semichiuse o semiaperte. Sto parlando del simbolo di un’isola cara a noi tutti, della squadra che Gigi Riva portò allo scudetto nel 1970, di un patrimonio del nostro sport.
Lo scandalo è questo: le deroghe della Lega, il ping pong tra Cellino e il coté politico, dal cui polverone non è facile distinguere torti e ragioni, l’idea forzata dell’arena ambulante, perché sì, siamo in Italia, e ogni regola ha la sua eccezione, ogni diritto il suo rovescio, ogni domicilio la sua prolunga.
E’ mai possibile che, a fine 2012, il club di una delle prime cinque Leghe europee debba elemosinare all’avversario di turno il permesso di giocare «qui piuttosto che là »? «Noi la stella l’abbiamo sul cuore, non siamo coinvolti in scandali», ha dichiarato Cellino. Scusi, presidente: ma questo gran casino dello stadio che cos’è, se non uno scandalo?