E’ stata Italia-Danimarca per novantaquattro minuti. Prima e dopo, non poteva e non potrà essere che Juventus-Napoli. Sia chiaro: «non poteva» in un Paese come il nostro, dedito al culto del complotto e allo spaccio del sospetto. Dove lo trovate un presidente (De Laurentiis, Napoli) che telefona a Prandelli chiedendo lumi sugli allenamenti troppo snob riservati ai convocati bianconeri quando la stessa Juventus, dopo la doppietta Bulgaria-Malta, aveva invitato il ct a farli lavorare di più?
Per tacere della staffetta Buffon-De Sanctis, romanzatissima. La partita, quella, è stata scoppiettante, divertente, con le difese, compresa la nostra, alla mercé degli attacchi. Questa volta, sono stati gli avversari ad alzarsi dai blocchi come lo facemmo noi a Yerevan. Se non hanno segnato, merito (anche) di De Sanctis e del torpore aereo di Bendtner.
Piano piano, ci siamo presi la partita. Non sono uno di quelli che sbavano dietro Montolivo, ma dal derby a oggi ha cambiato marcia, raccogliendo i numeri sparsi. Ha 27 anni, è una mezzala camuffata da trequartista: abbasso gli alibi, dipende da lui, solo da lui.
Gol a parte, Balotelli ha martellato ai fianchi i danesi, lavoro dal quale è affiorato il talento che, spesso, i nervi soffocano. E poi il piatto fisso: cross di Pirlo, testa di De Rossi; al Meazza come in Armenia. De Rossi, già : urge un colloquio con Zeman. Anche per Osvaldo, espulso in avvio di ripresa. Era uno degli epurati, scommetto che oggi Zeman avrà meno torto. Il gol di Kvist aveva riaperto la porta, Mario l’ha richiusa. Tornando per un attimo al Pirlo sbuffante: vogliamo parlare del lancio a Balotelli?
Non era facile, in dieci, ma costretta a far la partita la Danimarca si è arresa docile docile. Anche perché la sofferenza è la nostra seconda pelle. E poi perché San Siro è San Siro.