Spagna-Italia, dunque. Non era il mio pronostico. Avrei scommesso sulla Germania. In compenso, sono ancora in corsa per il giocatore rivelazione: Mario Balotelli. La finale si profila più equilibrata di quanto non si potesse immaginare alla vigilia degli Europei e del confronto diretto del 10 giugno. Finì uno a uno: Di Natale al 61’, Fabregas al 64’.
Ricominciamo da lì: per un ora, più Italia; nell’ultima mezz’ora, più Spagna. Tra Inghilterra e Germania, la squadra di Prandelli mi è parsa in crescita; tra Francia e Portogallo, quella di Del Bosque mi è sembrata stazionaria. Come gioco raffinato e liftato, più che Nadal la Spagna ricorda Federer. Saprà essere Djokovic l’Italia? Difficile, ma non impossibile.
Il possesso palla è l’anestesia che somministrano per sfiancarti e freddarti. Xavi e Iniesta da una parte, Pirlo, De Rossi e Marchisio dall’altra: si deciderà lì, l’ordalia, senza trascurare le scaramucce sulla fasce (occhio a Jordi Alba). Perso David Villa, Del Bosque ha rinunciato al centravanti classico. Contento lui. Prandelli, invece, l’ha ritrovato: Balotelli. Dal 3-5-2 di Danzica al 4-3-1-2 di Kiev: conta la mentalità , non il modulo.
A meno che un episodio non provveda a scuoterla, sarà una «bella» aspra e barbosa. Gli spagnoli vantano la miglior difesa (solo un gol preso, quello di Di Natale) e nelle nove partite a eliminazione diretta disputate tra Europeo 2008, Mondiale 2010 ed Euroepo 2012 devono ancora incassarne mezzo. Ciò conferma come il torello rimanga uno strumento non necessariamente d’attacco: tenere palla non significa tirare: significa anche – e, in alcuni casi, soprattutto – non far tirare.
Le mie quote: Spagna 51, Italia 49. Partiamo leggermente sfavoriti, non battuti. Stanchi noi, stanchi (suppongo) loro. Le furie ci soffrono, e sin qui la tradizione ha sempre pagato.