L’uomo di Pasqua

Roberto Beccantini7 aprile 2012

E adesso? Quando sceglie lo strumento, non sempre il destino ricorre al meglio su piazza. L’uomo di Pasqua è quell’Amauri che la Juventus aveva «espulso» e la Fiorentina raccolto smoccolando. Il gol con il quale ha stecchito il Milan non appartiene a nessuna logica, a nessuna strategia: è esistenzialismo puro, episodismo selvaggio. Amauri toglie la Viola dai guai e spiana la strada alla Juventus che, contro quel Palermo lì, ridotto a un asilo, non poteva non vincere.

Il sorpasso è un film che ha scolpito un’epoca e potrebbe modellare una volata. Mancano sette giornate, la Juventus ha firmato la quarta vittoria consecutiva mentre il Milan, tra Catania, Barcellona e Fiorentina, non ha spremuto che un pareggio. Nelle gambe dei campioni ci sono dieci partite in più: non poche, al tirar della primavera. I tifosi scalpitano. Di qua i muntaristi, per cui il gol di Muntari (sì, quello di Milan-Juventus) vale un campionato; di là, i rigoristi, per cui un penalty a favore in trentun partite è un’imboscata alla capolista, soprattutto se paragonato ai nove del Milan, l’ultimo dei quali una carezza di Nastasic a Maxi Lopez (più serio, se mai, il contatto De Silvestri-Cassano agli sgoccioli).

Allegri ha smarrito il pilota automatico, Conte dovrà gestire il peso del pronostico, foriero, sin qui, di spinosi girotondi. Il calendario indica come e quanto il Milan rimanga favorito, a patto che recuperi aggressività e freschezza. Continua a crederci Allegri, comincia a crederci Conte, finalista anche in Coppa Italia. La Juve sembra più tonica ed è più squadra. Il Milan ha appena recuperato Cassano, la Juve ha il destino in pugno. Allegri, in caso di secondo posto, rischia l’esonero. Conte potrebbe arrivare due volte secondo, e sarebbe comunque un’impresa. Sono i grandi estremi di un piccolo calcio.

Cattivo gusto

Roberto Beccantini4 aprile 2012

Il Milan ha dato tutto, il Barcellona è stato Messi; e, a essere sinceri, negli ultimi tempi lo è sempre di più, lo è sempre un po’ troppo. La squadra di Allegri era l’ultima delle sette «sorelle» rimaste in lizza. Barcellona 60, Milan 40 avevo scritto alla vigilia, sintesi di un divario concreto, anche se non schiacciante: non è più il Barça della scorsa stagione. Un po’ di paura, Ibrahimovic l’ha fatta, ma lì si è fermato: a sensazioni, a situazioni, non a occasioni.

A livello domestico, tutto fa brodo. Sul fronte europeo, viceversa, se lasci partire Pirlo e lo sostituisci con Van Bommel o Ambrosini, qualcosa perdi. Ci sono stati due rigori pro Barça, il primo netto, il secondo lontano dai nostri standard e dunque, per definizione, regalato. Invece no, c’era. Al massimo, severo. Si è lagnata perfino Barbara Berlusconi. La «Gazzetta» ha parlato di aiutino. Ibra ha solidarizzato con Mourinho («adesso capisco»).

Il solito campionario di lacrime, di allusioni, di cattivi pensieri (e cattivo gusto). Non un riferimento – ripeto: non uno – al penalty che gli arbitri, di campo e di porta, avevano sottratto a Sanchez, nella sfida d’andata. Milan, televisioni, giornali: il deserto. Era più limpido del secondo decretato al Camp Nou. Per la scuola fusignanista, nata attorno all’utopìa paranoica di Arrigo Sacchi, gli episodi non contano. Per me, invece, sì: contano. A patto di non isolarli, o di giocarci a nascondino.

In Europa, le scorte alla Grandi vanno e vengono, non sono «garantite» come in campionato, anche perché le nostre sono meno grandi di una volta. In un giorno, Nicchi ha detto no al gol fantasma di Robinho e Kuipers sì alla trattenuta di Nesta a Busquets. A chi scriverà, stavolta, Galliani? Fossi in lui, invierei un ultimatum al Milan Lab: Pato o mai più. Possibile che si «rompa» sempre, possibile che non sia colpa di nessuno?

Io sospetto, tu sospetti

Roberto Beccantini2 aprile 2012

Due punti fra Milan e Juventus a otto turni dal termine. Penso che il Milan rimanga favorito, ha un calendario con una sola mina – l’Inter alla penultima – a differenza degli avversari, che dovranno slalomeggiare tra le romane, in lotta per la zona Champions, e le squadre di media e bassa classifica, le più rognose per i suoi denti. In chiave Milan, Barcellona dentro o fuori rappresenta uno snodo cruciale: sul piano fisico e morale.

Sono sincero, non mi aspettavo una Juventus così «oltre» il Napoli. Si arrivava dai veleni del Cibali, Orsato ha diretto all’inglese. Spigolature: centimetri ballerini (Bonucci in fuorigioco per mezza scarpa, Vucinic non in fuorigioco per l’altra mezza), trattenute sfuggite (su Borriello), tuffi perdonati (Lichtsteiner, sarebbe stato il secondo giallo). Sarà una volata in puro stile italiano, con tutti a sospettare di tutti, su tutto. Il Milan rivendica i gol fantasma di Muntari e Robinho; la Juventus, un solo rigore in trenta partite. Più torti assortiti, entrambi. Allegri aveva la squadra servita, Conte se l’è costruita. La juventinità annusa profumi che non respirava da sei anni.

Galliani, lui, preme per i giudici di porta: li vorrebbe fin dalla prossima stagione; li ha avuti in Champions, e gli è andata benone (penalty negato a Sanchez). Anche per questo, forse? Tornando a Conte, non ho capito l’impiego di Borriello – colpa mia, probabilmente – in compenso ho apprezzato la flessibilità tattica, dal 4-2-4 d’estate al 4-3-3 d’autunno a questo 5-3-2 di primavera che non significa, esclusivamente, muro.

Per concludere, la prima Inter di Andrea Stramaccioni. Il 5-4 al Genoa mi ha ricordato il 4-4 di Ranieri con il Palermo. Dal poker di Milito alla tripletta di Milito. Sono tornati Chivu e Zarate, ha esordito Guarin. Giudicare Stramaccioni dopo una partita non è serio. E allora, facciamo i seri: non giudichiamolo.