I due Vucinic

Roberto Beccantini29 aprile 2012

Otto vittorie consecutive, 23 gol fatti e la miseria di uno subìto. Dalla sera di Firenze, 17 marzo scorso, la Juventus ha cambiato passo, marcia, tutto. Il Milan è sempre lì, a meno tre, ma adesso sono tre anche le giornate che mancano. Al di là dell’esito finale, quanto vale, sul piano tecnico, l’imbattibilità della Juventus? Sarà la prossima Champions a certificarlo: se è pacifico che molto, moltissimo, si debba alla bravura di Conte, resta da fissare quanto c’entri la mediocrità del panorama.

Scritto che la passeggiata di Novara non ha spostato una virgola, e che la «menata» della terza stella ha titillato solo i tifosi, e per fortuna non tutti, oggi parlo di Mirko Vucinic. Se Pirlo è stato il confine del duello, indebolendo il Milan e rafforzando la Juventus, Vucinic è il ring sul quale non finiremo di scannarci. Domanda: è, in assoluto, da Juventus? Risposta: no. Va bene in «questa» Juventus, è grande in «questo» campionato che, estero su estero, mi sembra piccolo.

Il montenegrino ha classe da vendere, che discorsi, ma sette reti sono oggettivamente poche, anche dopo aver messo in fila i servigi richiestigli: pressing alto, allargarsi, favorire le incursioni dei centrocampisti, fornire assist. Mirko è il pendolo di Conte, con quell’aria da bandolero stanco che ora seduce ora irrita; sembra perennemente in vestaglia e ciabatte, pigro nel darsi, dimentico del taxi che ha prenotato e lo aspetta sotto casa. Un tipo così. Più che Boksic, ricorda il Bettega della maturità, punta o mezza punta a seconda delle esigenze. Sia chiaro: ricorda.

Senza la fionda di una Nazionale competitiva, la Juventus è l’ultima occasione per cancellare i troppi se e ma che, a 28 anni, continuano a frenarne la carriera. Fino a Firenze, Vucinic è stato un bicchiere mezzo vuoto; da Firenze a Novara, mezzo pieno. C’è chi lo chiama progresso, io lo chiamo limite.

Il lapsus del destino

Roberto Beccantini25 aprile 2012

Il gol di Borriello è un lapsus del destino: non tutti gli errori (di mercato) vengono per nuocere. E’ stata l’ennesima domenica strana di un campionato stranissimo, dove la Juventus non perde mai e da sette partite vince sempre; e dove il Milan, strafavorito alla vigilia, resta incollato alle ambizioni con le unghie dei suoi lungodegenti, da Boateng a Cassano. I due rigori consecutivi che Pirlo ha sbagliato tra Roma e Cesena sono, anch’essi, palline di roulette. A proposito: il braccio di Moras era un pelo fuori area; la parata di Nesta, viceversa, così plateale che solo un arbitro casalingo come Gervasoni poteva giudicare «involontaria».

Il Genoa è stato più aggrappato al risultato di quanto non lo sia stato il Cesena, sempre e comunque a mercé di uno dei Pirlo meno ispirati della stagione. Le svolte sono arrivate dalle panchine: Borriello, Boateng, Cassano. Molto può ancora succedere, visto quello che è capitato – e come, soprattutto – fra Barcellona e Chelsea, ma i punti di distacco rimangono tre e i turni, adesso, sono quattro. Nessun dubbio che la Juventus sia più in carne del Milan. A Novara, Conte dovrà scalare un muro non meno spesso di quello romagnolo. Sulla carta, dovrebbe essere più dura per il Milan a Siena. Ma la carta non sempre canta.

Sette vittorie consecutive, la Juventus di Conte ha eguagliato l’Inter di Ranieri. In compenso, a Udine, ho colto finalmente un po’ di Stramaccioni, Sneijder e Alvarez dietro Milito. Morale: due gol l’olandese e uno l’argentino (di destro). Per una volta, hanno tradito Handanovic e Di Natale. Cosa aggiungere sulla corsa al terzo posto se non che oggi, dopo le sconfitte di Lazio, Udinese e Roma, favoriti diventano Napoli e Inter? Arrivederci Roma, già. Luis Enrique sta arrivando «nudo» alla meta. Totti, come Del Piero, non è il problema né la soluzione. Il problema è la squadra: senza difesa, chiunque o comunque giochi.

Così poco italiana

Roberto Beccantini22 aprile 2012

Che Paese siamo si capisce più dalla vergogna di Marassi che non dal modo in cui la Juventus ha sbranato la Roma. La Juventus, almeno «questa», non gioca all’italiana. Ricorda, a costo di rischiare querele, il Barcellona delle vendemmie felici: possesso, non solo possesso palla. Per carità, «difese di Burlesque» come quella di Luis Enrique in Europa non si trovano, e il Milan ha ribadito anche contro il Bologna di avere le batterie scariche.

Dopo due settimi posti, la Juventus torna, così, in Champions League, è più vicina del Milan allo scudetto e il 20 maggio contenderà la Coppa Italia al Napoli. Antonio Conte merita un monumento. Mancano cinque turni, e pure i confronti diretti (con il Diavolo) sono favorevoli. Il mister, che complottista non è, ha preferito concentrarsi sulle partite, lasciando ai bar sport l’esegesi di certi giornali. Molto è stato fatto, ma nulla è ancora vinto. L’eccesso di euforia potrebbe addolcire la fame.

In quattro gare, la Juventus ha soffiato sette punti al Milan; e nelle ultime sei, tutte vinte, ha realizzato 18 gol (a 1). Che a segno vadano spesso i centrocampisti, e un po’ meno gli attaccanti, significa che il lavoro dell’allenatore è capillare, e Vidal un casinista di talento che si è calato come meglio non avrebbe potuto nelle geometrie della squadra.

La qualità e la frequenza delle prestazioni sorvolano il peso degli episodi, dal fuorigioco fasullo che cancella un gol di Ibrahimovic al rosso esagerato a Stekelenburg (sul 2-0, con la Roma alle corde). L’imbattibilità della Juventus non è più, semplicemente, un reperto statistico: è diventato qualcosa di meno seriale, di più autorevole.

Ripeto: è italiana, italianissima, la disgustosa resa agli ultrà del Genoa, non il gioco della Juventus. Sempre che non creda di avere già il titolo in tasca. Per questo, ci sono i tifosi.