Il duro muso

Roberto Beccantini12 dicembre 2023

Un livornese di Pisa: e già questo è un indizio. Il papà chirurgo: eccone un altro. E ben due lauree: ops. Giorgio Chiellini si è ritirato a 39 anni. Terzino di spinta, e poi stopper di spinte, brutto, sporco e cattivo nell’immaginario populista, la caccia a Bukayo Saka come manifesto riassuntivo di una carriera tutta bisturi, spigoli e turbanti.

Se per un attimo riesumiamo dalla polvere degli scaffali il vecchio motto di paron Rocco – «Una squadra perfetta deve avere un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un mona che segna e sette asini che corrono» – penso che non sia poi così difficile individuare il ruolo di Chiello.

Primi calci (senza secondi fini) in terra labronica, quindi Firenze e infine Juventus, 17 anni, con la vacanze americane di Los Angeles a stemperare la retorica. Perno, tra Barzagli e Bonucci, della Bbc contiana. Muso duro del corto muso di Allegri, il sinistro ora scalpello ora martello, gli speroni come baionette, il naso adunco a indicare arrembaggi e saccheggi. Antico e moderno, segnò al Barcellona di Messi, Neymar, Suarez e Iniesta; firmò il gol inaugurale dell’era Sarri; si avvinghiava, si aggrappava, d’anticipo o a rate, Marine in perenne missione. Masticava gli attimi, non si chiudeva a chiave: e da terra – quando ci finiva, complice – sbirciava il panorama delle tibie con l’occhio del corsaro pago ma curioso.

Ha vinto e rivinto molto. Gli mancano la Champions e il Mondiale; non però l’Europeo. Chiellini stopper, Bonucci libero: una coppia di fatto, e di fatti, che ci ha accompagnato per un sacco di tempo e di polemiche, tranne quando vestivano azzurro, colore che da sbirri feroci li trasformava in premurosi caschi blu.

Non ballava sulle punte. Se mai, sulle «punte» bivaccava, più vampiro che elzeviro. A uomo o a zona, da Deschampas a Mancini: un guerriero. Steve Jobs raccomandava: «È meglio fare il pirata che entrare in Marina». Giorgio detto King Kong è stato un pirata della Marina.

Da Kvara a Gatti

Roberto Beccantini8 dicembre 2023

La Cassa di Risparmio ha sconfitto per 1-0 la Bellezza viva ma sfiorita. L’hanno decisa i grognards di Allegri: McKennie, Cambiaso, Gatti. Gli artefici dell’azione, l’autore del gol. Di testa. Come a Monza, dopo lo schiaffo del Carboncino. Da un terzino allo stopper: persino Pep avrà apprezzato.

Sulla carta, il Napoli ha una rosa più forte ma dicono che il Violinista ne abbia combinate di terribili. Solo lui? Nostalgia canaglia di Kim. E Kvara io non lo tolgo mai, anche se mi cicca l’occasione delle occasioni che, nel primo tempo, avrebbe potuto sabotare l’equilibrio. Come la doppia fiammata di Chiesa, in precedenza, da cui non erano scaturiti che il «muro» di Juan Jesus (su Vlahovic) e un angolo. Come la paratona di Szczesny su Di Lorenzo.

Bremer e Osimhen ci hanno offerto cozzi omerici, i rientri di Danilo (un altro fedelissimo) e Locatelli si sono rivelati preziosi. La partita, zaino stipato e rugginoso, se l’è caricata o’ Napule. A destra, soprattutto: con Di Lorenzo, Anguissa e Politano. Ci perdeva la sinistra (un classico), là dove Natan era un esterno d’emergenza e il georgiano braccato da Cambiaso, McKennie e, se lo imponeva il caso, addirittura da Gatti.

Un palo di Vlahovic ha introdotto l’azione che avrebbe orientato il tabellino. Madama ha continuato a darci dentro per un po’, poi è salita sul pullman: mischie, molte; pericoli, rari. E sulla fotta sesquipedale di Szczesny, Osimhen bazzicava in fuorigioco. I campioni, per la cronaca, erano ancora imbattuti in trasferta. E dalle ultime quattro sfide, il Feticista dei risultati aveva ricavato la miseria di un pareggio.

Dieci gare utili. Non segnano gli attaccanti, segnano i centrocampisti e i difensori. Una volta si diceva: la classe operaia in paradiso. E su Allegri, non so cosa aggiungere se non parafrasare il grande Lucio: A modo suo.

Te lo do io Onana

Roberto Beccantini3 dicembre 2023

Zero a tre. Ha perso, il Napoli, per aver cercato di vincere. Ha vinto, l’Inter, dopo aver rischiato di perdere. Penso alla parata-lampo di Sommer sulla sventola di Elmas, alla traversa di Politano. Il missile di Calhanoglu appartiene alle «cose turche» che le lavagne non contemplano ma accettano leccandosi i baffi. Non credo che Mazzarri stia pagando «solo» le scorie del Violinista. Osimhen non è ancora l’Attila di Spalletti e Kvara lampeggia, non acceca più: anche perché gli avversari l’hanno studiato e, proprio per questo, lo accerchiano, lo triplicano.

La partita è stata vibrante, non all’altezza di Manchester City-Tottenham 3-3, ma, come ritmo ed emozioni, più mossa di Juventus-Inter 1-1. I campioni ci hanno provato fino al botta e risposta che, al 62’, ha orientato il destino della notte. Contatto dubbio, in area, tra Acerbi e Osimhen, norma del vantaggio (?), mezzo miracolo dello svizzero (te lo do io, Onana) sul diagonale di Kvara. Palla agli ospiti: Lau-Toro sbircia dalla fascia il panorama e imbecca Barella per uno slalom brignonesco. Da applausi.

Le staffette non modificano lo status quo. Guerrieri come Lobotka e Anguissa avevano ormai dato l’anima. Lo scarto costringeva gli uni a scoprirsi, per forza, e suggeriva agli altri di covare gli attimi, per scelta. E così, di transizione, ecco la ciliegina di Thuram, servito da Cuadrado.

Tre punti e a capo. L’Inter ri-sorpassa la Juventus, 35 a 33, e sbatte il Napoli a 11 punti. Inzaghino già privo di Bastoni e Pavard, ha perso in fretta De Vrij, sostituito brillantemente da Carlos Augusto. Mazzarri, lui, orfano di Mario Rui e Olivera, si era inventato Natan terzino sinistro.

I migliori: Politano (che non avrei tolto) ed Elmas; Sommer, Barella e il capitano. Il risultato può sembrare pesante, ma in contropiede sarebbe potuto addirittura esplodere.