Un livornese di Pisa: e già questo è un indizio. Il papà chirurgo: eccone un altro. E ben due lauree: ops. Giorgio Chiellini si è ritirato a 39 anni. Terzino di spinta, e poi stopper di spinte, brutto, sporco e cattivo nell’immaginario populista, la caccia a Bukayo Saka come manifesto riassuntivo di una carriera tutta bisturi, spigoli e turbanti.
Se per un attimo riesumiamo dalla polvere degli scaffali il vecchio motto di paron Rocco – «Una squadra perfetta deve avere un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un mona che segna e sette asini che corrono» – penso che non sia poi così difficile individuare il ruolo di Chiello.
Primi calci (senza secondi fini) in terra labronica, quindi Firenze e infine Juventus, 17 anni, con la vacanze americane di Los Angeles a stemperare la retorica. Perno, tra Barzagli e Bonucci, della Bbc contiana. Muso duro del corto muso di Allegri, il sinistro ora scalpello ora martello, gli speroni come baionette, il naso adunco a indicare arrembaggi e saccheggi. Antico e moderno, segnò al Barcellona di Messi, Neymar, Suarez e Iniesta; firmò il gol inaugurale dell’era Sarri; si avvinghiava, si aggrappava, d’anticipo o a rate, Marine in perenne missione. Masticava gli attimi, non si chiudeva a chiave: e da terra – quando ci finiva, complice – sbirciava il panorama delle tibie con l’occhio del corsaro pago ma curioso.
Ha vinto e rivinto molto. Gli mancano la Champions e il Mondiale; non però l’Europeo. Chiellini stopper, Bonucci libero: una coppia di fatto, e di fatti, che ci ha accompagnato per un sacco di tempo e di polemiche, tranne quando vestivano azzurro, colore che da sbirri feroci li trasformava in premurosi caschi blu.
Non ballava sulle punte. Se mai, sulle «punte» bivaccava, più vampiro che elzeviro. A uomo o a zona, da Deschampas a Mancini: un guerriero. Steve Jobs raccomandava: «È meglio fare il pirata che entrare in Marina». Giorgio detto King Kong è stato un pirata della Marina.