Ho creato dei mostri

Roberto Beccantini24 novembre 2011

Qualcosa si muove. All’atto del sorteggio di Champions, si disse e si scrisse: Milan facile facile, Inter facile, Napoli difficile. L’impresa, per ora e sinora, è di Walter Mazzarri e del suo calcio all’italiana, capaci di mettere in riga il Manchester City, primo e solo in Inghilterra. Su Roberto Mancini, resisto e insisto: giocatore sottovalutato, allenatore sopravvalutato. Pochi possono permettersi di scrivere a Gesù bambino e trovare sotto l’albero, non necessariamente a Natale, tutti i balocchi invocati, da Dzeko ad Aguero. E comunque, mai uno in meno; al massimo, uno in più.

Il Barcellona resta di un’altra categoria. Lo ha dimostrato anche a San Siro. Giocatori e gioco: a volte, prima questo; spesso, prima quelli. Essere di un’altra categoria non significa essere imbattibili. Il mordi e fuggi del Milan era la ricetta giusta. La stessa che impiegarono il Chelsea di Guus Hiddink, eliminato al 91′ da Iniesta, e l’Inter di José Mourinho, le squadre che più e meglio hanno scombussolato i piani di Pep Guardiola. Oggi, il Barcellona è più sazio e Messi-dipendente di quanto non lo fosse la scorsa stagione. Oggi, il Real di Mourinho è la squadra più vicina. Il Barça è palla corta e ricamare; il Real, palla bassa e accelerare. Pittura, il Barça; scultura, il Real.

Per concludere, una nota di costume (?). Mercoledì notte, Sky ha intervistato i tifosi del Milan all’uscita dallo stadio. Tutti ragazzi, quasi tutti contro l’arbitro (Stark, tedesco). Ebbene sì, di una partita così lontana dai nostri pollai, così ricca di talento, così fertile di occasioni, avevano colto il fiore di un rigore generoso, oh yes, ma non certo scandaloso. Abbiamo creato dei piccoli «mostri», schiavi delle moviole dettate per telefonino dal papi in poltrona. Mi ci metto anch’io. Siamo al Boskov parodiato e rovesciato: «Tifoso fazioso vede sentieri, dove altri solo autostrade».

Piano con le sviolinate

Roberto Beccantini20 novembre 2011

Disturbo se parlo di calcio? Grande favorito resta il Milan. A Firenze ha giocato con lo specchio in mano per un tempo, e con la mano sul freno per l’altro. La terna gli ha tolto un gol valido e un paio di rigori: i ricchi non ci sono abituati. L’Udinese ha valori forti e una rosa piccola, difficile che possa reggere la sfida italiana senza lasciare qualcosa in Europa, o viceversa. Il Napoli sta pagando la politica del doppio binario, e a differenza del golosissimo Manchester City di Roberto Mancini va meglio in Champions: ma è un «meglio» che, temo, non basterà per accedere agli ottavi.

Gli arbitri hanno favorito l’Inter e danneggiato il Napoli: il Napoli di De Laurentiis contro la Lazio di Lotito, sai che libidine (ma no, era un modo di dire). E la Juventus? Non è più solo Pirlo, ed è tornata a essere anche di Buffon: buon segno. Il Palermo, a Torino, aveva vinto le ultime tre partite: gli mancava mezzo attacco e in trasferta non aveva (non ha) mai segnato. Aumentano le tracce di un gruppo che si batte giocando e gioca battendosi. Il Marchisio attuale mi ricorda un po’ Tardelli e un po’ Lampard: fende il traffico a testa alta e segna con una facilità disarmante. Non lo avrei mai detto.

Ribadisco il giudizio: con Inter, Milan e Roma non c’è mai stato problema, neppure dopo Calciopoli, al di là degli alti e bassi fisiologici. Altro discorso, i Palermo e i Napoli: è con loro che la Juventus dovrà cambiare marcia, per liberarsi del mio pronostico (sesto posto) e dei due lugubri «settimi» che ne avevano lacerato l’orgoglio; con il Palermo l’ha cambiata.

Lunga è la strada, e infestata di serpenti, di caimani. Antonio Conte sta facendo un lavorone. Non mi illudo e non ci scommetto ancora, ma un allenatore che sa adattare il proprio verbo alle esigenze e alle risorse, avrà sempre il mio rispetto.

Mario & Mario, doppia sfida

Roberto Beccantini14 novembre 2011

Mario Balotelli e Mario Monti, dal governo della tecnica al governo tecnico: è il loro momento. Il primo ha accelerato il processo di integrazione Nazionale, il secondo dovrà ridurre il debito della Nazione. Per tacere di Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea. Mario va di moda, significa l’Italia dei colori, e non più o non solo l’Italia che ne fa di tutti i colori. Alcuni hanno incensato il segnale dei due neri in campo nel finale a Wroclaw, Balotelli e Ogbonna, a testimonianza del ritardo con il quale siamo arrivati al meticciato, prigionieri di una Lega troppo «isola». L’identità è un valore finché non tracima: se tracima, diventa un limite, quando non, addirittura, una gabbia.

Mario, Mario, Mario. Balotelli lavora a Manchester, Monti a Bruxelles, Draghi a Francoforte. Esule di lusso, pendolari di scienza. Monti dovrà mettere mano alle macerie di Silvio Berlusconi, le cui dimissioni tolgono al Paese l’oggetto dell’eterno desiderio: il nemico. Da parte sua, il Mario calciatore, non potendo cancellarlo, l’ha mollato; alludo a quel coté razzista che gli berciava dietro aggrappandosi a ogni cavolata pur di fargli la morale. Dicono che Roberto Mancini sia riuscito là dove non riuscì José Mourinho: evviva. Senza enfatizzare il primo gol nero in azzurro, il bacio allo stemma e la gioia calma fanno onore a Balotelli. A fronte delle tante «balotellate» da giovane bullo, ecco una risposta da vecchio saggio: c’è gol e gol e, dunque, ci sarà sempre esultanza ed esultanza. Giro la lezione ai signori telecronisti per i quali, viceversa, i gol sono tutti uguali, tutti urli, tutti discoteche.

Guai a vendere sogni e svegliare i clienti proprio sul più bello. Mario B. lo ha imparato sulla sua pelle, in tutti i sensi. Lo stesso dicasi per Silvio B.: dai mari e monti (che prometteva) a Mario e Monti c’è una bella differenza.