Il conflitto di John

Roberto Beccantini7 maggio 2011

Dall’Ansa del 7 maggio: «Sarebbe bello, non credete? Loro del resto sono già coinvolti, visto che sono i proprietari della Ferrari». Bernie Ecclestone irrompe sul circuito di Istanbul dove domani si corre il Gran premio della Turchia e non si risparmia sull’interessamento della cordata Exor-Murdoch all’acquisto dei diritti commerciali della Formula 1. Il patron del Circus appare scettico sulla possibilità di passaggio di mano («Non è cambiato nulla») e punge i team che vogliono diventare azionisti della Formula 1 che verrà: «A Londra – ha detto – vado al ritstorante due o tre volte a settimana, ma non chiedo di diventare azionista e/o proprietario perche mangio lì. Sembrerebbero davvero degli stupidi se con i loro camion e le loro tute non avessero un posto dove gareggiare. Oppure sarebbe come se io andassi al ristorante e non avessero cibo da servirmi».

Fine della trasmissione e inizio della discussione. Non conosco Bernie Ecclestone, immagino che sia un boss uso a comandar curvando, ma mi sovviene l’ironia tagliente di Giulio Andreotti: «Sarò pure un nano, ma non vedo giganti attorno a me». Nel caso specifico, sto con Bernie. L’Exor è il maggior azionista del gruppo Fiat che possiede, a sua volta, la Ferrari. Nei Paesi normali, un intreccio del genere si chiama conflitto di interessi; in Italia, culla delle metafore e tana dei paradossi, iniziativa tesa a rivoluzionare il prodotto (sic). Un conto è fare parte di una torta ed esserne una fetta; un conto è diventare torta e fingersi fetta.

John Elkann attraversa un periodo di straordinaria vena propagandistica. Dal cricket alla Formula 1 alla Juventus. Piani su piani, promesse e premesse, investimenti e superlativi a pioggia (Juve a parte: o comunque, da verificare nel dettaglio). Una flebo d’auto-stima, d’accordo. Attenzione, però, a non tamponare le regole.

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Francia maglia nera

Roberto Beccantini7 maggio 2011

Lo scandalo delle «quote nere» che ha scosso la Francia è lo specchio dei tempi. Di porre limiti al reclutamento di calciatori africani non si è parlato nelle curve, fra teppisti, e neppure nei bar, fra ubriachi: se ne è discusso a livello ufficiale, l’8 novembre scorso, in ambito federale a Parigi. Difficile “giocare” all’equivoco: ma anche se di equivoco si fosse trattato, ci sono argomenti – e il razzismo è uno di questi – che non possono prestarsi a malintesi filosofici o ambiguità procedurali. Tanto più se, e quando,  il Front National di Marine Le Pen non la pensa in maniera poi così diversa. Siamo arrivati al punto che rischia il posto addirittura il commissario tecnico Laurent Blanc, reo di un atteggiamento troppo remissivo se non, peggio ancora, apertamente complice.

Non c’entra un eccesso di demagogia mascherata: c’entra, se mai, un difetto di democrazia stuprata. E che protagonista sia la Francia, proprio «quella» Francia che, nell’estate del 1998, trasformò il titolo mondiale nel simbolo della frontiere multietnica, significa che la cronaca ha perso terreno nei confronti della storia. Il razzismo non ha bisogno di detonatori, per esplodere. Spesso, basta un fiammifero, un gesto, una frase: un equivoco, appunto. Globalizzazione e meticciato hanno messo in crisi gli antichi catechismi, i vecchi confini, geografici e culturali. Lo sport dovrebbe rappresentare uno strumento di educazione, di vicinanza, di confronto. Non sempre è così. L’ignoranza, l’indifferenza e la diffidenza hanno trascinato gli stadi verso picchi di spericolata e scandalosa impunità.  Il caso Francia è un assist ai talebani della purezza etnica, un invito a pescare nel torbido dei colori. Si butta l’amo e poi ci si nasconde: qualcuno abbocca sempre.

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Avvisate Berlusconi

Roberto Beccantini5 maggio 2011

Con tutto il rispetto: non se ne può più. Bisogna che qualcuno si faccia coraggio e glielo dica. E che lui, Silvio Berlusconi, se ne faccia una ragione. Per ora, e sinora, Santiago Bernabeu de Yeste ha vinto di più. Siamo in zona sorpasso, manca poco, pochissimo, giusto che a Milanello abbiano già messo lo champagne in frigo: ma l’aritmetica impone un ultimo guizzo, un estremo scalpo.

Basta far di conto. Il Cavaliere prese il Milan nel 1986. Da allora, ha conquistato 27 trofei, così suddivisi:  otto scudetti, una Coppa Italia, cinque Supercoppe di Lega, cinque Coppe dei Campioni/Champions League, cinque Supercoppe d’Europa, due Coppe Intercontinentali, un Mondiale per club.

Dopo esserne stato giocatore e segretario, Santiago Bernabeu diventò presidente del Real nel 1943, carica che mantenne fino al 1978, anno della morte. Il sito societario riporta il seguente bottino: sedici campionati, sei Coppe nazionali, sei Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale. In tutto, per dirla alla Mourinho, 29 «tituli». Ci sarebbe poi l’albo d’oro del Real basket, che sotto la sua gestione sommò diciannove campionati, diciotto coppe, sei coppe dei Campioni e tre Intercontinentali, ma questa è un’altra storia.

Ricapitolando: Bernabeu 29, Berlusconi 27. Questione di giorni e, dopo lo scudetto ritirato a Roma, potrebber arrivare la Coppa Italia,. Per la collezione di Sua Emittenza, sarebbe il francobollo numero 28.  Ad Arcore e dintorni qualche zelante Pigafetta si è portato avanti con il lavoro, dimentico del motto presidenziale: natura non facit saltus. Appunto. Berlusconi reclama, inoltre, uno stadio con il  suo nome. Da vivo, possibilmente: proprio come l’illustre inquilino della Casa Blanca. Voce dal fondo: se lo faccia.

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