Risultatone

Roberto Beccantini1 dicembre 2023

Al pareggio di Valentin Carboni (classe 2005) avevo cominciato a scrivere: non è sempre Firenze, pensando al catenaccione del secondo tempo (là e qua, in Brianza). E come titolo: da «solida» minestra a solita minestra. Improvviso, il 2-1 di Gatti, su azione rabbiosa di Rabiot, the best. Prima un liscio, poi un destraccio. Gatti che, al 33’, si era mangiato, da un metro, il raddoppio. Gatti, uno stopper in versione centravanti.

E adesso? La Juventus non muore mai è un evergreen: con il Verona, al 96’, aveva segnato Cambiaso. Al netto dell’etichetta, resta un’ordalia di una noia mortale, esplosa dal 91’ al 94’. Con e senza centravanti, il Monza di Palladino (e di un Colpani periferico) ha centrato la porta solo una volta, e in maniera abbastanza casuale: alludo al tiro-cross del Carboncino, un tipo tutto dribbling e faccia tosta.

Bravo, Allegri, a confermare Nicolussi Caviglia; meno bravo, a toglierlo. Se riavvolgiamo il nastro, balza in evidenza l’incipit. Autoritario, come con l’Inter. Lo smash aereo di Rabiot aveva ucciso in culla il doppio miracolo di Di Gregorio sul rigore di Vlahovic (da un abbraccio di Kyriakopoulos a Cambiaso, incursore di turno). L’angolo, per la cronaca e per la storia, l’aveva calibrato Hans il valdostano. Dopodiché, paesi bassi. Molto bassi.

Figuriamoci se Max, alla vigilia, non l’aveva menzionato: la scorsa stagione, con il Monza, zero punti e zero gol (0-1, 0-2). Con tutto il rispetto, un minimo di differenza sarebbe dovuta emergere comunque. Sono sincero: l’ho colta di rado. Non in Vlahovic e, salvo piccoli spunti, neppure in Chiesa. Succede, se miri esclusivamente, o quasi, a difenderti.

La sentenza sposta la classifica (Madama prima per due notti, in attesa di Napoli-Inter), non la filosofia che il popolo peserà sulla bilancia del risultato. E questo è un risultatone. Finché dura.

Montagne russe

Roberto Beccantini29 novembre 2023

Petardi di Champions. Precedenza a Madrid, noblesse oblige. Il Real era decimato, il Napoli no. Eppure: 4-2. Questo è il Bernabeu, questa la differenza. Un’amichevole di lusso, illuminata dal genio di Bellingham. I gol volano come coriandoli di carnevale: subito Simeone (da cross di Kvara e sponda di Di Lorenzo); Rodrygo di saetta (su azione di Brahim Diaz, vice del vice); Bellingham di testa, su pennellata di Alaba e dormita di Natan. Nella ripresa, «telefonata» di Nico Paz alla quale Meret, bravissimo poco prima su Rudiger, risponde male; poi l’ingordo Joselu, imbeccato da un esterno destro di Jude in caduta che bé, insomma, ecco, ci siamo capiti.

Mazzarri ha giocato alla Mazzarri: un po’ di soste ai box, un po’ di sgommate. Osimhen è entrato al 46’. Da Kvara, più baci che dribbling: almeno stavolta. Il migliore, Anguissa: che «scardabagno», il suo gol. Gli innesti di Ancelotti, già: Nico Paz, classe 2004, e Joselu: un Pacione sin quasi alla fine. Decisivo l’errore di Meret, così come – sabato a Bergamo – lo erano stati i piedi di Carnesecchi. Gli episodi, gli episodi. Uffa.

** Benfica-Inter 3-3. Tripletta di Joao Mario, ex di turno, in 34’. Per un tempo, Inter allo sbando: gli otto cambi di Inzaghi, l’orgoglio degli avversari, i resti di Di Maria: tutto quello che vi pare. Non uno che vincesse un contrasto, non uno che avesse un’idea. Nel secondo, scortata da manciate graduali di innesti, la riscossa: Arnautovic, Frattesi, rigorino propiziato da Thuram e trasformato da Sanchez, rosso «varista» ad Antonio Silva, palo di Barella. Insomma: da un quasi disastro a un quasi trionfo. Può essere che gli ottavi in tasca abbiano condizionato l’approccio. Boh. Spiegare il calcio risulta spesso inspiegabile. E allora hanno ragione tutti: evviva.

Gruviera e champagne

Roberto Beccantini28 novembre 2023

Gruviera e champagne. Milan quasi fuori, Lazio agli ottavi. C’est la Champions. A San Siro, sotto la zazzera rossa di Sinner, un povero Diavolo, povero di giocatori e di gioco, si arrende al calcio libero e semplice del Borussia Dortmund: 1-3. Un Milan che Pioli non riesce a scuotere, tradito com’è dai califfi. In ordine: Giroud. Si fa parare da Kobel il rigore-lampo del possibile 1-0 (mani-comio di Schlotter-beck) e scompare, letteralmente. Theo Hernandez: lui, ecco, non compare mai. Maignan: sul tiro di Adeyemi, il tiro della sentenza, non proprio il massimo della reattività.

Da penalty a penalty, questi impostori: non sbaglia, Reus (pedatina di Calabria, un disastro). Le bollicine e i dribbling di Chukwueze propiziano la riscossa del pari. Ma Pulisic là dove c’era l’erba di Leao non è la stessa cosa. Non poteva giungere da Adli, Loftus-Cheek (il più grigio), Reijnders la svolta, anche se magari qualcuno ci contava. Sull’1-1 si è infortunato persino Thiaw (il ventiseiesimo della lista, a quando una commissione d’inchiesta?): con Krunic stopper d’emergenza la difesa, barcollante a ogni contropiede e tenuta su di peso da Tomori, ha ceduto di schianto. Splendida l’azione che ha stappato il raddoppio di Jamie Bynoe Gittens, già protagonista del rigore: classe 2004, come Chaka Traoré, entrato agli sgoccioli. Fate un po’ voi. Per la cronaca, ma solo per quella, palo di Jovic e traversa di Fullkrug. Della squadra di Terzic mi ha impressionato Hummels (34 anni) e mi è piaciuto Emre Can.

** Lazio-Celtic 2-0. La doppietta di Immobile, panchinaro doc, agiterà il solito, barboso tormentone: ha azzeccato i cambi, Sarri, o sbagliato gli «starting eleven»? Sto con il risultato. Ciro: segna solo lui, ormai. In entrambi i casi, su iniziative di Isaksen, medaglia d’argento dopo l’oro del capitano. Non una Lazio in smoking, ma nemmeno in bermuda come a Salerno. Di lotta, a caccia della polpa.
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