Piano con le sviolinate

Roberto Beccantini20 novembre 2011

Disturbo se parlo di calcio? Grande favorito resta il Milan. A Firenze ha giocato con lo specchio in mano per un tempo, e con la mano sul freno per l’altro. La terna gli ha tolto un gol valido e un paio di rigori: i ricchi non ci sono abituati. L’Udinese ha valori forti e una rosa piccola, difficile che possa reggere la sfida italiana senza lasciare qualcosa in Europa, o viceversa. Il Napoli sta pagando la politica del doppio binario, e a differenza del golosissimo Manchester City di Roberto Mancini va meglio in Champions: ma è un «meglio» che, temo, non basterà per accedere agli ottavi.

Gli arbitri hanno favorito l’Inter e danneggiato il Napoli: il Napoli di De Laurentiis contro la Lazio di Lotito, sai che libidine (ma no, era un modo di dire). E la Juventus? Non è più solo Pirlo, ed è tornata a essere anche di Buffon: buon segno. Il Palermo, a Torino, aveva vinto le ultime tre partite: gli mancava mezzo attacco e in trasferta non aveva (non ha) mai segnato. Aumentano le tracce di un gruppo che si batte giocando e gioca battendosi. Il Marchisio attuale mi ricorda un po’ Tardelli e un po’ Lampard: fende il traffico a testa alta e segna con una facilità disarmante. Non lo avrei mai detto.

Ribadisco il giudizio: con Inter, Milan e Roma non c’è mai stato problema, neppure dopo Calciopoli, al di là degli alti e bassi fisiologici. Altro discorso, i Palermo e i Napoli: è con loro che la Juventus dovrà cambiare marcia, per liberarsi del mio pronostico (sesto posto) e dei due lugubri «settimi» che ne avevano lacerato l’orgoglio; con il Palermo l’ha cambiata.

Lunga è la strada, e infestata di serpenti, di caimani. Antonio Conte sta facendo un lavorone. Non mi illudo e non ci scommetto ancora, ma un allenatore che sa adattare il proprio verbo alle esigenze e alle risorse, avrà sempre il mio rispetto.

Mario & Mario, doppia sfida

Roberto Beccantini14 novembre 2011

Mario Balotelli e Mario Monti, dal governo della tecnica al governo tecnico: è il loro momento. Il primo ha accelerato il processo di integrazione Nazionale, il secondo dovrà ridurre il debito della Nazione. Per tacere di Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea. Mario va di moda, significa l’Italia dei colori, e non più o non solo l’Italia che ne fa di tutti i colori. Alcuni hanno incensato il segnale dei due neri in campo nel finale a Wroclaw, Balotelli e Ogbonna, a testimonianza del ritardo con il quale siamo arrivati al meticciato, prigionieri di una Lega troppo «isola». L’identità è un valore finché non tracima: se tracima, diventa un limite, quando non, addirittura, una gabbia.

Mario, Mario, Mario. Balotelli lavora a Manchester, Monti a Bruxelles, Draghi a Francoforte. Esule di lusso, pendolari di scienza. Monti dovrà mettere mano alle macerie di Silvio Berlusconi, le cui dimissioni tolgono al Paese l’oggetto dell’eterno desiderio: il nemico. Da parte sua, il Mario calciatore, non potendo cancellarlo, l’ha mollato; alludo a quel coté razzista che gli berciava dietro aggrappandosi a ogni cavolata pur di fargli la morale. Dicono che Roberto Mancini sia riuscito là dove non riuscì José Mourinho: evviva. Senza enfatizzare il primo gol nero in azzurro, il bacio allo stemma e la gioia calma fanno onore a Balotelli. A fronte delle tante «balotellate» da giovane bullo, ecco una risposta da vecchio saggio: c’è gol e gol e, dunque, ci sarà sempre esultanza ed esultanza. Giro la lezione ai signori telecronisti per i quali, viceversa, i gol sono tutti uguali, tutti urli, tutti discoteche.

Guai a vendere sogni e svegliare i clienti proprio sul più bello. Mario B. lo ha imparato sulla sua pelle, in tutti i sensi. Lo stesso dicasi per Silvio B.: dai mari e monti (che prometteva) a Mario e Monti c’è una bella differenza.

Caso Napoli, nessuno è prefetto

Roberto Beccantini7 novembre 2011

Che Paese, ragazzi. A Genova, dopo i sei morti, la classe politica è sotto accusa per carenza di prevenzione. A Napoli, dopo la morte di Napoli-Juventus, la classe politica è sotto accusa per eccesso di prevenzione. Non credo che il prefetto Andrea De Martino sia un mascalzone – al massimo, un fifone – e allora accetto la sua scelta. All’estero, soprattutto in Inghilterra, più di una partita è stata ritardata o rinviata perché, attorno allo stadio «agibile», la neve o la pioggia avevano sabotato strade, ponti, cavalcavia, rendendo pericoloso il flusso dei tifosi. Ricapitolando: per una volta che, in Italia, la sicurezza dello spettatore «fisico», da stadio, viene preferita agli agi dello spettatore «virtuale», da salotto (quorum ego), non sarà certo il sottoscritto a gridare al complotto, all’inghippo, a un san Gennaro fazioso oltre ogni ragionevole ampolla. L’italiano, del resto, è campione del mondo nelle analisi post-ventive e ultimo, staccato, nelle diagnosi pre-ventive. Detto che il rinvio ha favorito più il Napoli che la Juve, le polemiche legate alla data del recupero appartengono agli istinti tribali del nostro mondo, istinti, che, al varo del calendario, Aurelio De Laurentiis sintetizzò con il suo memorabile «siete tutti delle m.».

Il lato buffo della vicenda è la delusione del presidente della Lega calcio, Maurizio Beretta, avvisato «solo» per telefono. Beretta è un presidente dimissionario in quota Unicredit (Roma): dimissionario anche dalle dimissioni che ha rassegnato e, dunque, sempre lì. Gli ricordo sommessamente che, nel gennaio 2010, non si disse «deluso» dall’invasione di Adriano Galliani, amministratore delegato del Milan, che aggiustò il calendario aziendale per alleggerire l’approccio al derby. De Martino, cause di forza maggiore. Galliani, forze di causa maggiore. E Galliani non era nemmeno prefetto.