Impossibile non celebrare la Juventus che ha sconfitto il Milan; e anche il suo fioretto, non la solita, giurassica, clava. Attenzione, però. Non sono i campioni di turno a fornire il peso netto della squadra bianconera. Sono i Chievo e i Catania, i Palermo e i Napoli. In sintesi, il ceto medio-alto. Non l’aristocrazia. Basta sfogliare i campionati post Calciopoli.
Da Claudio Ranieri ad Antonio Conte, il bilancio con le tre Grandi resta attivo: 3 vittorie, 3 pareggi, 2 sconfitte con l’Inter; 4 vittorie, 2 pareggi, 3 sconfitte con il Milan; 5 vittorie, 2 pareggi, 1 sconfitta con la Roma.
I problemi sono il Napoli, con il quale la Juve ha sempro perso al San Paolo (4 su 4), e il Palermo, capace di infliggerle tre schiaffoni consecutivi a Torino. I problemi sono (furono) gli sperperi con Cesena, Catania e Chievo (da 2-0 a 2-2). A proposito di Milan: nel girone d’andata dell’ultimo campionato, la Juventus di Del Neri il Milan lo aveva battuto addirittura a San Siro, per 2-1. E non era certo un Diavolo così mansueto.
Se l’espulsione di Vucinic spiega il pareggio casalingo con il Bologna, come giustificare la tremarella di Catania? Con il valore dell’avversario, certo, ma la Juve è la Juve, o almeno così dovrebbe essere. O no? O non ancora? Ecco: incassate le iperboli e disperso l’incenso che sempre accompagnano le cene degli affamati, e Dio sa quanto Andrea Agnelli lo sia, Conte deve togliere l’ultima maschera a questa «Signorina» grande con le grandi e piccola con le piccole. Nella serie A a venti squadre, i confronti diretti non incidono come una volta. Decidono, sempre più, le sfide indirette. Non basta sprigionare l’orgoglio represso. Urge una personalità che sappia accendere il gioco. Con gli attributi, servono gli argomenti. La Juve che fa la provinciale contro i padroni, deve tornare padrona contro le provinciali.