Proprio un altro Mondo

Roberto Beccantini31 gennaio 2012

Non è una favola, no. E’ un inizio e, dunque, qualcosa di più. Se il futuro è un posto diverso e non necessariamente migliore, il passato può essere un dribbling e un moccolo, una sedia alzata e uno stomaco rovesciato. In alto i cuori, e i calici, per Emiliano Mondonico. Ha sconfitto il cancro, allenerà il Novara. Mi spiace per Attilio Tesser, l’artefice del grande balzo, dalla serie C-1 alla serie A, ma il calcio è questo, i risultati tritano, ogni volta lo scrivo sperando che qualcosa cambi, e invece cambia sempre qualcuno.

Classe 1947, Emiliano era un’ala che dribblava al ritmo dei miei amati Beatles, calzettoni giù e piedi fumanti, la linea laterale come confine di un modo e di un mondo, lui che ha sempre giocato e allenato da indiano: in campo mordeva gli avversari; in panchina li aspettava, li circondava. Tanto Toro, nella sua carriera, e anche un po’ di Napoli e Firenze. E poi Albinoleffe, periferia della periferia dell’impero, scommesse e promesse, l’adrenalina appesa a un bisturi.

Ora si può tornare a sorridere di tattiche e salami; di quanto, come tenico, Mondonico assomigli a Rafa Benitez, tipico allenatore di lotta e non di governo, come ha dimostrato al Valencia, al Liverpool e (non troppo) all’Inter. Emiliano si è preso la vita e l’ha difesa dalla banalità del male. Né santo né eroe, con quella voce un po’ così, finta, a volte, ma mai falsa, solitario e casinista come le ali di una volta, quando il sette e l’undici bollavano uno stile, e non semplicemente una schiena.

Dopo Eric Abidal, ecco Emiliano. Sono stati più fortunati di altri, più fortunati e, forse, più guerrieri, meno fatalisti. Lo sport aiuta a non sentirsi soli, il Mondo che torna dall’inferno è un segno e un sogno dei tempi. E pazienza se ogni inzio, spesso, nasconde una fine e non un fine, oggi l’esonero di Tesser, domani chissà. Un Mondo di auguri, ricominciamo da qui.

Così vicini, così diversi

Roberto Beccantini29 gennaio 2012

Avvisi di «garanzia».

1) Nell’ambito di un campionato mediocre, Juventus-Udinese è stata vibrante. Credo che Conte l’abbia domata, al di là dei meriti e degli episodi, grazie a una panchina più lunga di quella di Guidolin, «mutilato» dalla Coppa d’Africa. Un anno fa il Milan capolista aveva 41 punti. La Juve, oggi, ne ha 44. Incredibile.

2) Rete su punizione, assist per Nocerino: Ibrahimovic continua a tenere in piedi il Milan (3-0 a Novara, 3-0 al Cagliari dopo il derby perso). Galliani, vista l’ossessione Tevez, un po’ di paura della Juventus comincia ad averla. Per carità: solo un po’.

3) Cossu: migliore in campo a Torino, peggiore a San Siro. Nainggolan: sta per diventare papà, mettiamola così.

4) Classifica cannonieri senza rigori: 12 reti Klose; 11 Di Natale (-3) e Cavani (-1); 9 Denis (-3), Ibrahimovic (-6) e Matri; 8 Jovetic (-2) e Palacio 8 (-2).

5) Due le parate del week-end: Benassi su Pazzini e Buffon su Armero. Ricordiamoci anche dei portieri, ogni tanto.

6) Sette vittorie, poi il ko di coppa a Napoli e la sconfitta di Lecce. Le rimonte costano, soprattutto se nutrite da un gioco minimalista. Il problema non è l’italianismo di Ranieri, ma il modo di praticarlo. Non ho capito la sostituzione di Sneijder.

7) Napoli a meno quindici. Detto che gli ottavi di Champions giustificano molto, ma non tutto, non vorrei che il comandante Mazzarri venisse declassato a mozzo. Scommettiamo?

8) Senza handicap, l’Atalanta avrebbe 29 punti, gli stessi del Napoli. Complimenti a Stefano Colantuono, allenatore e uomo tutto d’un pezzo (e non tutto d’un prezzo, come molti nei dintorni).

9) Rivisto Amauri in Fiorentina-Siena: sembrava un centravanti.

10) Calciopoli: a giorni saranno rese note le motivazioni delle condanne di primo grado emesse l’8 novembre. Pronti a discuterle.

Ricordare, ricordare, ricordare

Roberto Beccantini27 gennaio 2012

Il 2 aprile del 1997 la Nazionale di Cesare Maldini giocò a Chorzow, contro la Polonia. Fu quel giorno, al mattino, che visitai Auschwitz. Vi entrai con gli occhi obesi e la coscienza piatta, lontana; quando uscii, non ero più io, o forse un altro io. Durò poco, come tutte le esperienze che meriterebbero di durare a lungo, ma mi trasmise un’emozione che non ho mai rimosso, anche se spesso l’ho lasciata poltrire.

Oggi è la giornata della Memoria, la prima da quando ho aperto il Blog. Non chiedo un minuto di silenzio. Sarebbe banale. Semplicemente, chiedo un minuto, uno solo, di pensiero, di ricordo, di speranza. Un minuto vivo, a voce alta, come simbolo e come stimolo, affinché i vostri figli possano crescere sereni al riparo dalle tentazioni e dalle distorsioni della storia, così capricciosa e frettolosa, a volte, da farsi sedurre dal primo che la invita alla «soluzione» finale. Tanto, i prezzi non li paga mica lei: li paga l’umanità. Lei si limita a offrire l’albergo. Auschwitz Birkenau, per esempio.

Lager è diventato termine di facile spaccio, serve ad addobbare metafore, a nutrire similitudini, a gonfiare i muscoli della retorica. Ogni tanto, però, torna a casa e raccoglie dall’armadio gli scheletri del significato originale, teschi e ossa che hanno segnato un secolo, una mattanza, sei milioni di ebrei (e non solo) accompagnati nelle camere a gas, e lì sepolti. «Ad Auschwitz c’era la neve, il fumo saliva lento», cantava l’Equipe 84. Sì, c’era la neve anche quel giorno di aprile in cui il pallone mi fece rotolare tra quelle rotaie e sotto quel filo spinato.

Per sgominare le dittature, non importa se golose di carne o gelose di spirito, non ci resta che ricordare, ricordare, ricordare; e parlarne, parlarne, parlarne. Proviamoci per un minuto, uno solo. Dopodiché, sia fatta la vostra volontà.