Tutti contenti: forse

Roberto Beccantini26 novembre 2023

Quando i più deboli bloccano i più forti, hanno diritto a piccoli sconti d’estetica, a simboliche detrazioni sui Social. Ci mancherebbe. Non ricordo un derby d’Italia così grigio, così sterile. E così cavalleresco. Per 75’, almeno: sino all’ingresso di Cuadrado (fischiatissimo: perché?). E mai, comunque, oltre i confini dell’isteria. Quasi un armistizio, dunque. Lo hanno sancito due bei gol. L’1-0 di Vlahovic, di destro, su assist di Chiesa. L’1-1 di Lau-Toro, in anticipo secco su Gatti, da una volatona di Thuram. Tu chiamalo, se vuoi, contropiede. Alla squadra del Feticista del corto muso, ebbene sì. Il destino, a volte, si diverte più di noi.

Juventus-Inter: tutto, per una volta, tranne che una polveriera. Pochi tiri, rare occasioni. Una di Chiesa, ciccata all’inzio. Szczesny e Sommer hanno spazzolato briciole. Si sono rivisti pezzi di Vlahovic: nel tiro, nelle sponde. E Church, da libero d’attacco, un po’ qua e un po’ là, ha cercato di monetizzare la penuria di munizioni. Un’ora di Nicolussi Caviglia, un passerotto, là dove di solito osano le aquile. Poi Locatelli. Quando ormai il dado era tratto.

L’Inter. Si è spesa, sì, ma senza esagerare. Anche perché, allo Stadium, Madama fa ancora paura. L’intento di Inzaghino era quello di adescare le sentinelle di Allegri. Ci è riuscito sulla rete del pari, lì e stop. Figuriamoci. Non uno che, da Barella a Calhanoglu, abbia toccato picchi clamorosi. Bene la Maginot, bene, per un tempo, Thuram (al 6° assist) e Lau-Toro (alla 13a. rete).

La Juventus. All’inizio, mordi e fuggi. Alla lunga, tutti sulla riva del fiume, a presidiarla. Non ha coppe, ma non sempre lo dimostra. Avrebbe dovuto osare di più Simone? Avrebbe potuto di più Max? Le aveva vinte tutte, in trasferta, l’Inter. I tabellini si rispettano.

Dalla cronaca alla storia

Roberto Beccantini26 novembre 2023

No, non salgo sul carro. Sarebbe troppo italiano. Lo sbircio. Lo ammiro. Lo invidio: questo sì. Francesco Bagnaia detto «Pecco» su Ducati campione del mondo di MotoGp per la seconda volta consecutiva. L’Italia del tennis campione di Davis per la seconda volta in assoluto: la prima, nel 1976, sulla terra rossa (rossa in troppi sensi) del Cile di Pinochet. Cameriere, champagne!

Spagna felix: da Valencia a Malaga, dal «Pecco» al «Peccatore», come ha suggerito il gentile Bilbao77. Jannik Sinner in versione Mandrake. Dopo Olanda e Serbia, la Serbia di Djokovic, anche l’Australia. E con il Rosso, la squadra (tanto per unire l’epoca dei Panatta, dei Bertolucci e dei Pientrangeli alla carovana di Filippo Volandri): Matteo Arnaldi, Lorenzo Sonego, Lorenzo Musetti. E il rosso fuoco, naturalmente.

«Io triumphe, avventurata Italia», avrebbe scritto Gianni Brera. Come vergò da Madrid – dunque, dalla Spagna anche allora, – la notte dell’11 luglio 1982. Sono successi che non cambiano il mondo, a cominciare dal nostro, ma neppure perdendo lo avremmo cambiato. E allora, nel rispetto dei lutti che proprio in questi giorni ci hanno falcidiato, teniamoceli stretti. Complimenti a Bagnaia, alla Ducati, agli azzurri di Davis. C’è chi regala sogni e chi, come loro, li realizza.

E adesso, liberi tutti. Il carro sta per salpare. Già pieno zeppo, mi sa. Ricordatevi sempre quel vecchio detto Maori: «Punta alla nuvola più alta, così, se la manchi, raggiungerai una montagna maestosa». Qualcuno – per voi, per noi – l’ha fatto.

Il Grande Peccatore e noi mortali

Roberto Beccantini25 novembre 2023

Altro che sabato del villaggio. Se mai, del miraggio. Emozioni fortissime, da Malaga. Italia in finale di Davis. Gli esperti vi spiegheranno perché. Chi scrive si limita a prenderne atto: 2-1 alla Serbia. Il crollo del corto Muso costringeva Sinner a ri-battere Djokovic. Fatto, dopo aver annullato tre match-point. Non era ancora la meta. Mancava il doppio. Eccolo: il Grande Peccatore e Sonego, il capo-cordata e lo sherpa fedele, bye bye a Novak e a Kecmanovic, il suo Sancio Panza. I superlativi, in questo caso, non adescano: fotografano. Bravissimi. E domani, l’Australia. A 25 anni dall’ultima: in campo neutro, però.

Il tennis si mangia il calcio. A cominciare dall’1-1 tra Manchester City e Liverpool, Haaland all’alba e Alexander-Arnold al tramonto, per transitare al 4-1 del Newcastle al Chelsea, sancito, in un paio di minuti, dalle fotte difensive di Thiago Silva and company.

Dai nostri cortili, giunge notizia della sconfitta della Lazio a Salerno. Rigore di Immobile (quello, e basta), pareggio di Kastanos e sorpasso di Candreva, il migliore, complice Provedel: 2-1. Brutta Lazio: avara, piatta. Con Sarri in versione lippiana: se il problema sono io… Era l’unica piazza senza vittorie, Salerno.

A Bergamo, primo hurrà per Mazzarrino. Kvara di testa, Lookman idem e quell’errore di gittata di Carnesecchi che ha stappato l’azione dell’1-2: Cajuste a Osimhen, Osimhen in spaccata a Elmas, un bacio all’episodio e una palpatina alle lavagne.

E’ stato un match di «pugilato», con i duellanti a darsele di santa ragione (metaforicamente parlando). Chi finiva alle corde, alle corde spingeva l’avversario. Salvo i primi 25’ della ripresa, che la Dea del Gasp ha dominato in lungo e in largo. Poi i cambi: fra questi Cajuste, Osimhen (fuori da 48 giorni) ed Elmas. Il tabellino ne sarà lusingato.
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