Un’ora e un episodio

Roberto Beccantini20 novembre 2023

All’Europeo in seconda classe. A naso, non parlerei d’impresa. Il 2-1 di San Siro rende una carezza lo 0-0 di Leverkusen e manda l’Ucraina al playoff. E’ stata una partita strana, dominata per 70 minuti (posso?) e sofferta negli ultimi venti. Con tanto di contatto fra Cristante, impulsivo, e Mudryk, volante, che ha agitato il dubbio forte del rigore. Arbitro, Var: zitti. Sono sincero: l’avrei concesso. In Italia, ci scanneremmo per mesi. Per l’Italia, hip hip hurrà.

Partita aspra e strana, scrivevo. Via col vento: gegenpressing, dogana a metà campo, occhi di tigre (non i piedi, però), sinistra al potere (Dimarco-Chiesa). Sarebbe servito un centravanti vecchio stile: né Raspadori, itinerante, né Scamacca, macchinoso, lo sono stati. Più fascia che centro, Federico il macedone: grandi sgroppate, fior di assist (uno, sontuoso, a Frattesi: bravo Trubin), ma appena un tiro. E agli sgoccioli, sfinito, più terzino che ala. (ri-posso?)

La squadra di Rebrov ostruiva i valichi. Mykolenko disarmava Zaniolo; Sudakov (suo il primo petardo della serata, smorzato da Donnarumma) e Tsygankov cercavano di alimentare blitz efficaci e non banalmente calligrafici. Faceva blocco, l’Ucraina. Gli azzurri sfioravano il gol in più di un’occasione, ma la mira era sbirola.

Poi la flessione. La paura. Il nervosismo. Costretti a vincere, i nostri avversari si buttavano sotto. Mudryk, dal quale mi aspettavo più arrosto, si buttava e basta. Donnarumma rimediava a una propria topica. Nel finale, con Kean vice Chiesa e Buongiorno scudo umano – lui, che aveva sofferto in avvio – il «Lusciano» s’inventava una staffetta che se l’avesse azzardata chi dico io, uhm: Darmian al posto di Politano entrato al posto di Zaniolo. Mamma mia.

Tutti a difesa del Piave. Restano un’ora e un episodio.

Sinnergia

Roberto Beccantini17 novembre 2023

Dalle vette torinesi del Grande Peccatore alla montagnola dell’Olimpico. La nona della classifica Fifa ha sconfitto per 5-2 la 66a. In alto i cuori (ma non ancora i calici) e aggettivi ben piantati a terra. La Macedonia del Nord era diventata, nella pancia del popolo, una sorta di strega. Onorando il pronostico (e il gioco), l’Italia di Spalletti l’ha spazzata via. Finalmente!

Non c’è paragone tra i fatturati e le rose, ma a Palermo perdemmo e a Skopje pareggiammo. Il calcio è bello proprio per questo. Mescola, a volte, i Davide e i Golia. Non sempre. Non stasera. Blocchetto interista (4 titolari) e bel primo tempo: cross di Raspadori e testa di Darmian, il soldatino che ogni caserma sogna. Improvvisamente, Chiesa. L’hombre del partido. Benché «attenzionato» dall’appuntato Dimoski, due gol. Addirittura. Di destro, su tacco di Barella, da posizione centrale; ancora di destro, a giro, complice una scarpa di Manev, su invito verticale di Berardi. Domicilio sulla fascia, ufficio in area o nei pareggi. Libero d’attacco, come chez Madame, al di là dello schema (3-5-2, 4-3-3).

Con Chiesa, gli assist di Barella. Sull’1-0, per la cronaca e per la storia, Gatti si era procurato un rigore (mani-comio di Serafimov) e Jorginho se l’era fatto parare, con saltello, da Dimitrievski. Jorginho: colui che ne sbagliò due con la Svizzera. Era proprio il caso? Con la mira di poi, no. Ma pure chi scrive gli avrebbe lasciato, beccalossianamente, il dischetto.

Nella ripresa, tra cambi e ri-cambi, tale Atanasov ha approfittato dei nostri pisoli e di un fianco di Acerbi per buttarci giù dal letto. Sul 3-2, sono volate lenzuola che sembravano fantasmi. Ma Raspadori (da Barella) ed El Shaarawy (da Dimarco) le hanno subito scacciate. E quante occasioni, a corredo.

Lunedì sera, sul neutro di Leverkusen, sotto con l’Ucraina. Ultima tappa verso l’Europeo tedesco. Basta un pari. Occhio alla «calcolite» acuta. Spesso ci frega.

Però sono cinque. Però il solito braccino

Roberto Beccantini11 novembre 2023

Altra musica, quando si deve uscire di casa, abbandonare le trincee, imboccare un sentiero. In una parola: fare gioco. Per tutti, sia chiaro. E’ quello che è successo alla Juventus dopo Firenze. Il Cagliari di Ranieri, l’allenatore della favola Leicester, si è chiuso, sì, ma neppure troppo. Uscito dalla crisi, ha aspettato ed è ripartito, con Viola all’occhiello (per un tempo, almeno) e Luvumbo «lambretta» sulla fascia.

Di fronte a Sua maestà Djokovic, il risultato l’hanno scolpito quelle che a Coverciano, in spregio alle signore, chiamano «palle inattive». Punizione di Kostic, testa di Bremer. Corner di Kostic, petto e ri-petto di Rugani. Angolo di Jankto e crapa di Dossena, con Szczesny un po’ così (ma poi reattivo, complice il palo, sull’ennesima incornata dello stopperone sardo).

Tutto nella ripresa. La fetta più gustosa della torta, anche grazie ai cambi (Oristanio, Shomurodov). Per metà gara, zero tiri nello specchio. Degli uni e degli altri. Una mosceria che non vi dico, culminata nello stop «a inseguire» con il quale Kean dilapidava una chicca di Chiesa. Poi un po’ più di cazzimma, e Chiesa «libero d’attacco» ad agitare la curva. Già il centrocampo non brilla per gamma di varianti, metteteci il mal di schiena di Locatelli, togliete McKennie dalla fascia e avrete lo spirito dello Stadium.
Hanno deciso e segnato i difensori. Kean è il classico pugile che non andrà mai al tappeto ma difficilmente ne manderà qualcuno. Gli ingressi di Vlahovic e Milik non hanno scombinato la trama. Non mi è dispiaciuto Iling Junior in un ruolo non suo (quale? boh). Il 2-0 aveva dato gas a Madama, il 2-1 glielo ha tolto. Dicesi fifa. Lapadula e Pavoletti volteggiavano nei mischioni. Ricapitolando: per attaccare, la Juventus ha attaccato.
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