Parafrasando François Villon, «ou sont les temps d’antan», quando il Sassuolino incassava un doppio 7-0 dall’Inter di Mazzarri? Già , dove sono finiti. Da sabato a mercoledì, 4-2 alla Juventus e 2-1 alla capolista. E così, dopo sei turni, le squadre imbattute sono zero. E la classifica «formato minigonna» recita: Inter e Milan 15; Juventus 13; Atalanta 12; Napoli e Lecce 11.
San Siro, dunque. Un’Inter strana, imbalsamata, faticosamente in vantaggio con Dumfries e tenuta in piedi da Sommer, fino alla spanciata su Bajrami. L’allegra combriccola di Dionisi ha sfiorato il tris più di quanto gli opliti di Inzaghino non abbiano avvicinato il pari. Domenico Berardi ha 29 anni: straripante contro Madama, travolgente contro l’Inter. Sua l’imbucata all’albanese; sua la rete del raddoppio. E sempre alla solita maniera: dallo spigolo destro dell’area, o giù di lì, adesca l’avversario e libera il sinistro a giro. Continuano a cascarci grandi e piccini. Non può essere più un caso: è un marchio.
Ha sempre rifiutato gli squali, ha sempre preferito i pesciolini della provincia crassa. Ci siamo accapigliati: grande giocatore da «piccola» squadra, in attesa di scoprire cosa sarebbe in un top club. In Nazionale, agli Europei, partì davanti a Chiesa, ma poi si fece rimontare.
Seduto sulla sponda del fiume, ha sbirciato i «cadaveri» che passavano: Lorenzo Pellegrini, Politano, Sensi, Locatelli, Raspadori, Scamacca, Frattesi. Lui, sempre lì. Con la sua fragilità , con le sue lune, con i suoi numeri (che ogni tanto dà , ma spesso fa). No all’Inter, no al Milan, no a Madama. Fino a quando?
Tornando all’Inter. Troppi ruttini da coccole. E dopo l’1-1, fra cambi e ri-cambi, il minimo sindacale di idee. Lau-Toro, l’armeno, il turco: inghiottiti, tutti, dagli sprechi di Laurienté e dal ritornello (aggiornato) della mia pubertà , Domenico è sempre Domenico.