Auto-disastro

Roberto Beccantini23 settembre 2023

Dopo il decollo di Udine, il burrascoso atterraggio sul Bologna. Dopo i lampi con la Lazio, il Sassuolo: della difesa colabrodo, del morale a terra, del 4-2 beccato in rimonta a Frosinone. Naturalmente: Sassuolo quattro, Juventus due. Hai voglia. Patti chiari: le poche cose buone (i primi dieci minuti di pressing), merito di Magnanelli; tutte le altre (reparti scollati, stop a inseguire), colpa di Allegri. Tranne, forse, e sottolineo forse, le cappellate di Szczesny (sui botti di Laurienté che hanno propiziato l’1-0 e il 3-2 di Pinamonti) e il surreale harakiri di Gatti, agli sgoccioli, roba che, se la racconti, ti arrestano per circonvenzione di incapace.

Per la cronaca, anche la squadra di Dionisi, alla rosa del quale ogni estate Carnevali toglie un petalo (l’ultimo, Frattesi), non fa le coppe. Avrebbe potuto vincere di goleada, in contropiede, fra le fotte di Laurienté e la traversa di Defrel. Per carità, le topiche di Madama sono state sesquipedali, ma ci ha creduto di più, lo ha voluto di più: e meglio. Penso a Matheus Henrique, a Boloca, soprattutto a Berardi. Ha firmato il 2-1 e offerto cioccolatini. Una sola pecca: l’entrata su Bremer – al 58’ – era da rosso. Max gli ha opposto un Chiesa libero d’attacco, mai domo, nei cui pressi si agitava un Vlahovic tornato, d’improvviso, il pulviscolo della scorsa stagione.

L’autorete di Vina (con McKennie addosso) e il tiro di Chiesa, toccato da Erlic, avevano riportato la Juventus in partita. Una partita dalla trama agra, ispida, con il Sassuolo che tirava appena poteva e i rivali mai: nello specchio, almeno. Un difetto, questo, che ogni tanto riaffiora. Centrocampo piatto, senza fantasia (occhio): un po’ di McKennie, poco da Kostic, pochissimo da Rabiot, Miretti e Locatelli. Dietro-front.

Classifica: Lecce 11, Juventus 10. Martedì sera: Juventus-Lecce. Il calcio del popolo.

Champions di spine

Roberto Beccantini20 settembre 2023

Champions di spine. Brutta Inter, a San Sebastian, salvata dai cambi e dalla flessione di una Real Sociedad che, per 70’, l’aveva buttata alle corde e, nei round introduttivi, addirittura fuori dal ring: palo del tarantolato Barrenetxea, sgorbio di Bastoni e gol di Brais Méndez. Palleggio soffocante e pressing asfissiante. In avvio di ripresa, il miracolo di Sommer su Oyarzabal.

Non c’era partita anche perché il turnover di Inzaghino, al netto dell’infortunio di Calhanoglu, aveva stravolto la squadra. Me lo sarei tenuto per l’Empoli. In Europa non si scherza. Poi i cambi, Thuram e Frattesi in particolare, con i baschi in debito d’ossigeno. Il pareggio l’ha siglato Lautaro, sin lì uno dei peggiori. L’ultimo gong ha colto i vice campioni bivaccanti sotto le finestre di Remiro. Può essere che la «manita» del derby avesse trasformato la sicurezza in sicumera. Resta il peso di un pareggio fissato, esclusivamente, dalla forza delle rose: perché i cambi li aveva fatti pure Alguacil (dimenticavo: complimenti per il castello tattico).

** Sporting Braga-Napoli 1-2. Vince solo Garcia. Di lotta, di episodi, dopo un primo tempo a cassetta (palo e traversa di Osimhen, palo e rete di Di Lorenzo) e un secondo di sofferenza estrema, risolta dal fragoroso harakiri di Niakaté all’88’, fra il pari di Bruma, rischi assortiti e il montante di Pizzi, al 94’. Guai se non metti in frigo il risultato: non sempre la riffa del fado ti premia. Voce dal loggione: il Napoli di Spalletti era un’altra cosa. Che scoperta. Se Osimhen incide comunque, Kim non c’è più e Kvara non ancora. Il violinista non sbava per il possesso palla. Liberissimo. Occhio, però, a non offrire golosi pretesti agli avversari (già tre: Lazio, Genoa, Sporting).
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Il portiere di notte

Roberto Beccantini19 settembre 2023

I primi morsi di Champions ci regalano lo squillo di un portiere. Ivan Provedel. Era il 95’, e fin lì il Cholismo la stava spuntando sul Sarrismo. Oggi, rete di Barrios; nel Novecento, secolo più serio, autorete di Kamada. Lazio uno, Atletico uno: giusto così. Provedel – che, per la cronaca, aveva evitato lo 0-2 immolandosi su Lino – ha segnato di testa, su morbido cross di Luis Alberto. Se il calcio è bello, lo è, soprattutto, per «colpi» del genere che sgorgano dal caos e non dalla lavagna, preziosa quando è bussola, deleteria quando diventa tiranna.

Cos’altro? L’occasione sciupata da Immobile (è un periodo avaro, passerà); il palo carambolato di Morata; il gioco che Griezmann, a 32 anni, continua a vedere e offrire; la foga dell’Aquila, i campanili e il palleggio dei materassai decimati (a centrocampo, in particolare). Resta il titolo: nascosto, per una volta, nella coda della coda. I portieri all’arrembaggio sono i soldati Ryan che, rovesciando la trama del film, vanno per salvare e non per essere salvati.

Zero a zero a San Siro, e solo una squadra in campo: il Milan. La «manita» del derby, zavorra letale, aveva spinto Pioli a mescolare le carte, ricavandone attacchi rabbiosi, alcuni sventati da Pope, troppi sprecati. Leao su tutti: il «daje de tacco» con cui si è mangiato un gol sul quale, in virtù della bellezza dello slalom, le edicole sarebbero campate per lustri, è puro romanzo. Ha il vizio, il talentuoso Rafa, di specchiarsi, ma non sempre il ritratto glielo scrive o descrive Oscar Wilde.

Poca roba, il Newcastle di Howe. Tornava in Champions dopo vent’anni: primo e unico tiro (e chissà, senza l’avvitamento di Sportiello) alla fine di una fine incerottata, esclusivamente, dalla mira degli avversari. Mi hanno «commosso» tre dettagli: il catenaccione delle gazze; la marcatura ad personam di Loftus-Cheek su Bruno Guimaraes; gli applausi del popolo a Tonali. Che anche per questo, forse, si è tenuto educatamente ai margini.