Dalla cronaca alla storia

Roberto Beccantini26 novembre 2023

No, non salgo sul carro. Sarebbe troppo italiano. Lo sbircio. Lo ammiro. Lo invidio: questo sì. Francesco Bagnaia detto «Pecco» su Ducati campione del mondo di MotoGp per la seconda volta consecutiva. L’Italia del tennis campione di Davis per la seconda volta in assoluto: la prima, nel 1976, sulla terra rossa (rossa in troppi sensi) del Cile di Pinochet. Cameriere, champagne!

Spagna felix: da Valencia a Malaga, dal «Pecco» al «Peccatore», come ha suggerito il gentile Bilbao77. Jannik Sinner in versione Mandrake. Dopo Olanda e Serbia, la Serbia di Djokovic, anche l’Australia. E con il Rosso, la squadra (tanto per unire l’epoca dei Panatta, dei Bertolucci e dei Pientrangeli alla carovana di Filippo Volandri): Matteo Arnaldi, Lorenzo Sonego, Lorenzo Musetti. E il rosso fuoco, naturalmente.

«Io triumphe, avventurata Italia», avrebbe scritto Gianni Brera. Come vergò da Madrid – dunque, dalla Spagna anche allora, – la notte dell’11 luglio 1982. Sono successi che non cambiano il mondo, a cominciare dal nostro, ma neppure perdendo lo avremmo cambiato. E allora, nel rispetto dei lutti che proprio in questi giorni ci hanno falcidiato, teniamoceli stretti. Complimenti a Bagnaia, alla Ducati, agli azzurri di Davis. C’è chi regala sogni e chi, come loro, li realizza.

E adesso, liberi tutti. Il carro sta per salpare. Già pieno zeppo, mi sa. Ricordatevi sempre quel vecchio detto Maori: «Punta alla nuvola più alta, così, se la manchi, raggiungerai una montagna maestosa». Qualcuno – per voi, per noi – l’ha fatto.

Il Grande Peccatore e noi mortali

Roberto Beccantini25 novembre 2023

Altro che sabato del villaggio. Se mai, del miraggio. Emozioni fortissime, da Malaga. Italia in finale di Davis. Gli esperti vi spiegheranno perché. Chi scrive si limita a prenderne atto: 2-1 alla Serbia. Il crollo del corto Muso costringeva Sinner a ri-battere Djokovic. Fatto, dopo aver annullato tre match-point. Non era ancora la meta. Mancava il doppio. Eccolo: il Grande Peccatore e Sonego, il capo-cordata e lo sherpa fedele, bye bye a Novak e a Kecmanovic, il suo Sancio Panza. I superlativi, in questo caso, non adescano: fotografano. Bravissimi. E domani, l’Australia. A 25 anni dall’ultima: in campo neutro, però.

Il tennis si mangia il calcio. A cominciare dall’1-1 tra Manchester City e Liverpool, Haaland all’alba e Alexander-Arnold al tramonto, per transitare al 4-1 del Newcastle al Chelsea, sancito, in un paio di minuti, dalle fotte difensive di Thiago Silva and company.

Dai nostri cortili, giunge notizia della sconfitta della Lazio a Salerno. Rigore di Immobile (quello, e basta), pareggio di Kastanos e sorpasso di Candreva, il migliore, complice Provedel: 2-1. Brutta Lazio: avara, piatta. Con Sarri in versione lippiana: se il problema sono io… Era l’unica piazza senza vittorie, Salerno.

A Bergamo, primo hurrà per Mazzarrino. Kvara di testa, Lookman idem e quell’errore di gittata di Carnesecchi che ha stappato l’azione dell’1-2: Cajuste a Osimhen, Osimhen in spaccata a Elmas, un bacio all’episodio e una palpatina alle lavagne.

E’ stato un match di «pugilato», con i duellanti a darsele di santa ragione (metaforicamente parlando). Chi finiva alle corde, alle corde spingeva l’avversario. Salvo i primi 25’ della ripresa, che la Dea del Gasp ha dominato in lungo e in largo. Poi i cambi: fra questi Cajuste, Osimhen (fuori da 48 giorni) ed Elmas. Il tabellino ne sarà lusingato.
Leggi tutto l’articolo…

Un’ora e un episodio

Roberto Beccantini20 novembre 2023

All’Europeo in seconda classe. A naso, non parlerei d’impresa. Il 2-1 di San Siro rende una carezza lo 0-0 di Leverkusen e manda l’Ucraina al playoff. E’ stata una partita strana, dominata per 70 minuti (posso?) e sofferta negli ultimi venti. Con tanto di contatto fra Cristante, impulsivo, e Mudryk, volante, che ha agitato il dubbio forte del rigore. Arbitro, Var: zitti. Sono sincero: l’avrei concesso. In Italia, ci scanneremmo per mesi. Per l’Italia, hip hip hurrà.

Partita aspra e strana, scrivevo. Via col vento: gegenpressing, dogana a metà campo, occhi di tigre (non i piedi, però), sinistra al potere (Dimarco-Chiesa). Sarebbe servito un centravanti vecchio stile: né Raspadori, itinerante, né Scamacca, macchinoso, lo sono stati. Più fascia che centro, Federico il macedone: grandi sgroppate, fior di assist (uno, sontuoso, a Frattesi: bravo Trubin), ma appena un tiro. E agli sgoccioli, sfinito, più terzino che ala. (ri-posso?)

La squadra di Rebrov ostruiva i valichi. Mykolenko disarmava Zaniolo; Sudakov (suo il primo petardo della serata, smorzato da Donnarumma) e Tsygankov cercavano di alimentare blitz efficaci e non banalmente calligrafici. Faceva blocco, l’Ucraina. Gli azzurri sfioravano il gol in più di un’occasione, ma la mira era sbirola.

Poi la flessione. La paura. Il nervosismo. Costretti a vincere, i nostri avversari si buttavano sotto. Mudryk, dal quale mi aspettavo più arrosto, si buttava e basta. Donnarumma rimediava a una propria topica. Nel finale, con Kean vice Chiesa e Buongiorno scudo umano – lui, che aveva sofferto in avvio – il «Lusciano» s’inventava una staffetta che se l’avesse azzardata chi dico io, uhm: Darmian al posto di Politano entrato al posto di Zaniolo. Mamma mia.

Tutti a difesa del Piave. Restano un’ora e un episodio.