Non si può non ricordare il grande Lucio, anche se attraverso frivole parafrasi. Tu chiamale, se vuoi, delusioni. Oppure: Mi ritorni in mente, Macedonia come sei. A Palermo, il 24 marzo 2022, ci cacciò fuori dai Mondiali. E c’era Mancini. A Skopje, il 9 settembre 2023, ci ha bloccato su un pari che complica la marcia europea. E c’era Spalletti al debutto. Mi ero permesso, alla vigilia, di non invocare svolte clamorose, sul piano tecnico-tattico, vista la settimana scarsa di lavoro e poi perché a tutti c’è un limite: persino ai più bravi. Specialmente se passano da Osimhen e Kvara a Immobile e Zaccagni.
Dignitosa per un tempo, la Nazionale si è sciolta dopo il gol di Ciro in avvio di ripresa: di testa, con un avversario rantolante, su traversa di Barella, fin lì il migliore. Si veniva da un palo di Tonali, da una paratona di Dimitrievski su Cristante, da triangoli venduti come diamanti, da un «rigore» di Politano murato. Con Di Lorenzo e Dimarco che si accentravano: succedeva pure ai tempi di Cabrini e Facchetti, ma facciamo finta di niente.
Piano piano, ammesso che non lo fosse già prima, è tornata la Nazionale di sempre: che tira poco, che segna pochissimo. Zaccagni, timido; Politano, macchinoso: da un suo errore nasceva l’occasione più grossa dei macedoni, sciupata da Miovski. L’ingresso di Zaniolo pareva una pillola di viagra. Pareva. Dall’1-0 in poi, gli azzurri flettevano, Elmas ordinava di provarci e Bardhi, su punizione, s’inventava una parabola che sfuggiva ai radar distratti di Donnarumma.
Raspadori in campo all’89’ altro non era che un giro di roulette. Che fosse un’Italia senza juventini è un dato da bar. Non lo è, invece, l’8° posto nella classifica Fifa rispetto al 68° dei nostri rivali. Martedì, a San Siro, c’è l’Ucraina, fresca di un glorioso 1-1 con gli inglesi. Questi siamo, e «Lusciano» lo sa.