Grigia la prima

Roberto Beccantini9 settembre 2023

Non si può non ricordare il grande Lucio, anche se attraverso frivole parafrasi. Tu chiamale, se vuoi, delusioni. Oppure: Mi ritorni in mente, Macedonia come sei. A Palermo, il 24 marzo 2022, ci cacciò fuori dai Mondiali. E c’era Mancini. A Skopje, il 9 settembre 2023, ci ha bloccato su un pari che complica la marcia europea. E c’era Spalletti al debutto. Mi ero permesso, alla vigilia, di non invocare svolte clamorose, sul piano tecnico-tattico, vista la settimana scarsa di lavoro e poi perché a tutti c’è un limite: persino ai più bravi. Specialmente se passano da Osimhen e Kvara a Immobile e Zaccagni.

Dignitosa per un tempo, la Nazionale si è sciolta dopo il gol di Ciro in avvio di ripresa: di testa, con un avversario rantolante, su traversa di Barella, fin lì il migliore. Si veniva da un palo di Tonali, da una paratona di Dimitrievski su Cristante, da triangoli venduti come diamanti, da un «rigore» di Politano murato. Con Di Lorenzo e Dimarco che si accentravano: succedeva pure ai tempi di Cabrini e Facchetti, ma facciamo finta di niente.

Piano piano, ammesso che non lo fosse già prima, è tornata la Nazionale di sempre: che tira poco, che segna pochissimo. Zaccagni, timido; Politano, macchinoso: da un suo errore nasceva l’occasione più grossa dei macedoni, sciupata da Miovski. L’ingresso di Zaniolo pareva una pillola di viagra. Pareva. Dall’1-0 in poi, gli azzurri flettevano, Elmas ordinava di provarci e Bardhi, su punizione, s’inventava una parabola che sfuggiva ai radar distratti di Donnarumma.

Raspadori in campo all’89’ altro non era che un giro di roulette. Che fosse un’Italia senza juventini è un dato da bar. Non lo è, invece, l’8° posto nella classifica Fifa rispetto al 68° dei nostri rivali. Martedì, a San Siro, c’è l’Ucraina, fresca di un glorioso 1-1 con gli inglesi. Questi siamo, e «Lusciano» lo sa.

Chiesa, sì. Ma soprattutto Gaetano

Roberto Beccantini3 settembre 2023

L’ultima volta a Empoli, il 22 maggio, era stata la sera del meno 10 e del meno 4 (a uno). Cos’è cambiato? Il risultato: zero a due. Non è poco, direte. E’ tutto. Zero gol, zero punti e ultima in classifica, la squadra di Zanetti. La partita lo ha spiegato con dovizia di dettagli, a cominciare dal senza voto a Perin (non un tiro nello specchio).

Sarò breve, non già per rigare i meriti dei vincitori, ma perché non sono queste le partite che orientano i destini dei Grandi. Anche se, una stagione fa, Madama si faceva spesso fregare proprio in provincia, o proprio dalle provinciali. Quattro cambi rispetto al tribolato pari con il Bologna (fra i quali Kostic, dignitoso); il solito 3-5-2 d’ordinanza, la solita gestione fra morsi di pressing, ritirate più o meno strategiche e folate che giustificherebbero piedi più saggi. Allegri non «sente» il 4-3-3, e allora non ci resta che Magnanelli. Scherzo.

Trama a senso unico. Gol di Danilo in mischia, rigorino di Maleh su Gatti (ma allora pure Max manda all’attacco i difensori?), parato da Berisha a Vlahovic, poi prigioniero dell’errore; una mezza occasione di McKennie; due, clamorose, ciccate da Chiesa (la prima murata), sino al raddoppio dello stesso Chiesa, in flagrante contropiede, su assist di Milik, e dopo stoica resistenza ai rostri del portiere. Uno dei panchinari, Milik: come Kean. Una traversa il polacco, un palo Mosé. E Pogba? Prima della immancabile «fitta dietro», un bel gol cancellato dal fuorigioco di Vlahovic. La cui intesa con Fede rimane un laboratorio «aperto». Sono due solisti ai quali si chiede di dividere un mitra. E comunque: due pere l’uno, due l’altro. Certo, non è che le munizioni siano sempre al bacio: quando un attaccante si smarca, la paura o la foga frena il lancio. Che è patrimonio di pochi, non matrimonio per molti.

** Inter-Fiorentina 4-0. D’accordo, la Viola aveva speso fior di energie,
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Catenaccio in smoking

Roberto Beccantini2 settembre 2023

Dopo Spalletti, pure Rudi: per mastro Sarri il Maradona è ormai miele, non fiele. A marzo, 0-1; a settembre, 1-2. La Lazio rimontata a Lecce e sgonfiata da Retegui. Quella. E i campioni sempre a cassetta – fin troppo, a volte – uguali nel ghigno, non negli artigli. Kim non c’è più, Kvara non ancora (un tempo, e via calando), Osimhen può molto, non tutto: specie se ai domiciliari (Casale, Romagnoli) e, per questo, gli arriva poca roba. Il resto, bollicine sparse – a eccezione dello stoico Lobotka – e una «lunghezza» fra i reparti sintomo, a scelta, di arroganza o carenza (di benzina). Forsennati, i ritmi; e un disastro, Olivera sull’uscio di Felipe.

Catenaccio in smoking, l’Aquila lotitiana. Contro i più forti, non è mai reato. Un po’ di Provedel in avvio e, a proposito di papillon, i dribbling di Felipe Anderson, il tacco di Luis Alberto, pareggiato da un tiro carambolato di Zielinski, sempre a un passo dal podio più alto, il velo del mago e il diagonale di Kamada, un nippo che Mau sta impostando da formichina di centrocampo, laboriosa e coraggiosa.

Garcia ha poi sganciato Raspadori e il Cholito. Come non detto. Segnalo agli spasimanti del fuorigioco i gol di Zaccagni e Guendouzi (dall’eccellente impatto) annullati dal Var per una buccia di ginocchio e, vedi Rabiot, «perché impattava» (Zaccagni, lui). E’ la tecnologia, bellezze.

** Roma-Milan 1-2. Per un’ora, al di là del rigorino, il terzo in tre gare, un Milan «dominus», termine che manda in estasi l’Arrigo, su tutta la linea: tecnica, tattica, fisica. Con Pioli a capo-tavola e Mou a prendere la comanda. Alla acrobazia di Leao, bellissima, Celik ha fornito generosamente il corpo come parete. Non tutti, però, sarebbero riusciti a fissarci un quadro sì vistoso.
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