Gila la ruota

Roberto Beccantini19 ottobre 2024

La rava e la fava. Le lavagne e le lagne. L’intensità e lo spazio. Il pressing e le marcature preventive. Poi, all’85’, cross di Cabal e autogol di Gila. Per cui: Juventus-Lazio 1-0. E allora rifaccio il cappello, almeno quello. Madama era decimata, l’Aquila no (Lazzari a parte), ma già dal 24’ era rimasta in dieci: rosso varista a Romagnoli, per fallo da ultimo uomo su Kalulu, smarcato da Vlahovic (mi è piaciuto).

Come non ricordare che, sotto di un uomo, la squadra di Thiago aveva ribaltato il Lipsia, a Lipsia, da 1-2 a 3-2? Infatti: chi se lo scorda. Viceversa, sopra di uno, e per giunta in casa, stava per essere imprigionata da un avversario plasmato da Baroni con acume e personalità.

La disparità numerica ha spinto il copione verso il senso unico; e il senso unico, verso la più barbosa delle partite barbose. Specialmente nel primo tempo, solcato – sul piano delle occasioni – dalla miseria di un blitz di Thuram e una zampata di Gatti. Tiri nello specchio, zero.

L’allenatore serve più alla fase difensiva che non alla manovra d’attacco: dalla cintola in su, urgono dribbling, audacia, rifiniture al bacio. In parole povere: giocatori. Che Madama non aveva. Era tutto un ribollir di passaggetti, da Yildiz a capitan Cambiaso, da Locatelli a Thuram. La Lazio se ne stava lì, alle corde, rannicchiata ma non imbavagliata. Alla distanza, ha pagato. Hanno ceduto i pilastri – Guendouzi e Tavares, per esempio – e i «mottiani» hanno preso campo e persino spicchi d’area. Traversa di Vlahovic, scempio aereo di Douglas, pugni di Provedel su lecche del serbo, di Fagioli e di Adzic (18 anni, talentino del Montenegro). Dalla panchina, Thiago aveva estratto ciò che poteva, idem Baroni (anche un certo Pedro, però). E così, alla fine, ci si dimena fra iella e chiappe, legno e harakiri, Perché il calcio, a volte, cede alle serenate di Coverciano ma poi scappa in motel con l’episodio.

A piedi caldi nel bunker

Roberto Beccantini14 ottobre 2024

In una Udine blindatissima, sprazzi di luna park: Italia-Israele 4-1. La classifica Fifa allontana la ola (noi decimi, loro settantanovesimi), ma i risultati – il nostro e quello della Francia – ci avvicinano ai quarti della Nations League, lascito della bulimia di Platini.

Retegui su rigorino, per un pestoncino a Tonali; poi Di Lorenzo, di testa, su punizione di Raspadori (canta Napoli); gol olimpico, direttamente da calcio d’angolo, di Abu Fani, già a segno a Budapest, complice un blocco a Vicario; quindi Frattesi, su assist di Dimarco, non senza il contributo di Glazer (provvidenziale, se non prodigioso, in almeno tre occasioni); e infine ancora il capitano, Di Lorenzo, su invito di Udogie. Di Lorenzo, autore di una doppietta, era stato tra i peggiori dell’Europeo. E anche al Parco, aveva (ri)cominciato annaspando dietro Barcola.

La palla a Udogie l’aveva fornita Daniel Maldini, figlio di Paolo, che proprio a Udine – il 20 gennaio 1985 – aveva esordito in serie A con il Milan, e nipote di Cesare. Tu chiamale, se vuoi, emozioni. E dinastie. C’è stata gloria anche per Lucca, «enfant du pays». Tutti bene, da Di Lorenzo, migliore in campo, a Retegui, retaggio del Mancio; da Calafiori, «braccetto» che spesso e volentieri diventa incursore, a Tonali; da Bastoni a Dimarco e Cambiaso. Tutti, tranne Fagioli: distratto e impacciato. Avrà altre occasioni: le sfrutti. Sostituto di Ricci, il titolare della regia, da Ricci è stato sostituito.

Da otto gare prendiamo almeno un gol. E sino al 72’ si stava sul 2-1. A fronte di un paio di pericoli corsi, ci eravamo mangiati di tutto, con molti. Spalletti ha rimesso la squadra al centro del villaggio. Schema base (3-5-1-1) e, dopo la Svizzera, tre vittorie e un pari: quello, in dieci, con il Belgio. Adesso, però, calma.

Sua maestà l’episodio

Roberto Beccantini10 ottobre 2024

Il ricordo di Totò, sincero e toccante. Poi, per 38’, lo spumante della cantina Spalletti. Fior di brindisi in transizione e, già al 2’, gol di Cambiaso su servizio di Dimarco e dopo 18 tocchi (!). In mezzo, la regia e i rammendi di Ricci e una superiorità da k.o tecnico. Al 24’, il raddoppio: gran palla di Dimarco a Cambiaso – da sinistra a destra: e dai – Casteels ne respinge la lecca ma si arrende al tapin di Retegui.

Il Belgio è 6° nella classifica Fifa, l’Italia 10a. Tedesco – a naso, più tattico che stratega (direbbe l’Arrigo) – non ci capisce un tubo. Ciao ciao generazione dorata, o quel che l’è, De Bruyne ai box, Lukaku a Posillipo, Doku terzino. Nuvole di fumo.

Improvviso, al 38’, l’episodio. Un lancio un po’ così di Bastoni, Theate anticipa Pellegrini, sorpreso; Pellegrini lo bracca e lo trancia da dietro. Giallo. Var. Rosso. E punizione: schema da radical-chic e De Cuyper infila la cruna dell’ago. Brutto periodo, per Lorenzo. I fischi dei romanisti, e questa tacchettata qua, figlia anche, forse, di quelle bordate là. E dire che, da complice arrapato, aveva scortato l’azione rompi-ghiaccio.

La sfida dell’Olimpico cambia, totalmente. Gli azzurri, fin lì dominanti, devono inventarsi una notte di sofferenza. Per fortuna, gli ex diavoli sono grigi e monotoni. Alla ripresa, comunque, Tedesco, bontà sua, sposta Doku a sinistra, e i suoi dribbling, se non altro, creano tensione. Ci sono poi i calci piazzati e, da un corner e dall’ennesima sponda aerea di Faes (ripeto: l’ennesima), polli che non siamo altro incassiamo il 2-2 di Trossard.

Le staffette danno ossigeno agli opliti «decimati». Il ct calabro, in compenso, toglie Doku: contento lui. Arbitro mediocre, ma se manca un rigore manca al Belgio (Bastoni su Openda). Primi eravamo, in Nations League, e primi restiamo. Erano gli undici del Parco. Avanti così.