Beati loro

Roberto Beccantini17 ottobre 2023

Partita vibrante, a Wembley. L’hanno decisa Bellingham e Kane. Classe e muscoli. Jude, ammuine a parte, il rigore del pareggio, poi trasformato dal capitano; il recupero (su Barella) e, da un’area all’altra, il tocco a Rashford, furbo a farsi largo e bravo nello sganciare il 2-1. Quindi ancora Kane, sull’ennesimo contropiede: Bastoni difettoso, Scalvini mangiato. L’England è già in Germania; l’Italia, salvo cataclismi, ci andrà.

Già, l’Italia. Meglio in campo che fuori, comunque (ci vuol poco, direte). Non mi aspettavo, da Spalletti, otto cambi: troppi, forse. Avevo invece caldeggiato l’impiego di Scamacca, ciccia contro ciccia. Che, a proposito, non avrei tolto. E non solo per il gol che aveva battezzato il tabellino. Al culmine, fra parentesi, di una splendida azione: da sinistra, El Shaarawy, a destra, Berardi-Di Lorenzo, cross teso, Frattesi sorpreso, Scamacca libero e secco.

Nel primo tempo, noi. Come gioco. Alla distanza, loro. Come giocate. Non è una legge assoluta: è una legge. I «ludopratici» strilleranno che Phillips andava espulso per doppio giallo, gli anti che c’era un secondo penalty (su Foden). Le solite beghe da Bar sport. Wembley è sempre Wembley, anche se non più quello di 50 anni fa, quando, il 14 novembre 1973, Capello lo violò di «tapin».

Si sapeva che Maguire e Stones non sono dei fulmini, e per questo bene abbiamo fatto ad aggredirli. Si sapeva pure che, a certi livelli, se vuoi vincere devi rischiare: persino di essere buggerato alle spalle. Lunga è la strada, ma la direzione mi sembra giusta. Più El Shaarawy che Berardi, tanto per dire: non però una staffetta tale da stravolgere il destino della notte. Bellingham, Kane: loro sì. E gli sprazzi di Foden, i momenti di Rashford. Alta categoria. Ci avevano già battuti a Napoli, i leoni (2-1). Southgate non è un mago: lascia che lo siano altri. E non è invidioso.

Alla prossima «puntata»

Roberto Beccantini14 ottobre 2023

In attesa che Corona faccia il suo corso, tra fughe di notizie e notizie, possibili, di fughe (vista la spalmatura dei nomi), il calcio italiano si lecca le nuove ferite, che poi sono le «solite», dal momento che siamo tutti figli del Totonero del 1980, anche se, per ora, non risultano partite taroccate. Fagioli, reo confesso, Zaniolo, Tonali, Zalewski: e chissà quanti altri, stando ai «promo», e chissà quali squadre. Fa sorridere che il «portavoce» della Federgravina sia stato convocato in procura come persona informata dei fatti, lui che i fatti li sforna. Ha una fedina non proprio limpida, ma più loschi sono i giri, più ci sguazza. E ci prende.

Beato il popolo che non ha bisogno di eroi, ammoniva Brecht. Non solo di eroi, in base agli sviluppi dell’inchiesta torinese. Siamo il Paese che sposa le regole e va a letto con le eccezioni: nella speranza, se si «gioca» sporco, di non essere scoperti. Bambini infiniti. Viziati e, spesso, viziosi.

Certo, se i procuratori parlassero al cuore dei loro pupili con l’affetto maniacale che dedicano alle virgole dei contratti (e delle provvigioni), magari il quadro sarebbe meno fosco. Tant’è. Bando ai moralismi. Lo stadio San Nicola era pieno zeppo, a Bari. Cinquantaseimila «credenti» e non ancora creduloni (per quanto?). Giocava la Nazionale: 4-0 a una Malta piccola piccola, ma l’impegno giusto, serio. Una tappa di pianura verso l’Europeo, non uno di quei tapponi che tolgono il fiato persino agli aggettivi. Per carità. Le reti, le hanno firmate Bonaventura (destro a giro, bel gol), Berardi (sinistro e destro), Frattesi, appena entrato (di sinistro), terza pera dopo la doppietta all’Ucraina. Bonaventura, 34 anni, è stato un lampo di Spalletti. Coltiva il dribbling come le zie delle commedie annaffiano i giardini.

Martedì, prossima «puntata»: di sicuro, l’Inghilterra a Wembley, cima Coppi del girone. A ruota, si mormora, le ultime del Fabrizio.

Violissima

Roberto Beccantini8 ottobre 2023

Che notte, quella notte, racconteranno a Firenze. Ne hanno facoltà: Napoli uno, Viola tre. Alla grandissima. Partita di calcio vibrante, sul podio del mio personalissimo cartellino della domenica, con Brighton-Liverpool 2-2 e Lazio-Atalanta 3-2. Subito padrona, la squadra di Italiano, precettore a lungo nella lista di De Laurentiis; e spesso a rimorchio, quella di Garcia. Un’orchestra – con limiti che, studiati e corretti, diventano risorse – e un gruppo di solisti che il violinista fatica a governare, indeciso com’è se rifarsi al passato o buttarsi nel futuro. La pancia piena non aiuta, ma neppure certi cambi. Osimhen, Kvara gli ultimi ad arrendersi. Osimhen, sì, lui: che mai avrei tolto.

I falò dei campioni. Il coraggio degli avversari. Sin dall’inizio: pressing furioso, gol di Brekalo fra le gambe di un Meret non proprio reattivo; poi occasioni, rischi e agli sgoccioli del primo tempo il rigore-strenna di Parisi trasformato dal Totem. L’audacia, ribadisco. Che non significa purezza tecnica o tattica – penso all’errore di Kayode che ha spalancato la porta a Osimhen, murato da Terracciano – ma voglia di battersi, di non accontentarsi. Vada come vada. E pazienza se gli aggettivi adescano e i superlativi seducono in base ai risultati. Non sempre.

Di Bonaventura il raddoppio e di Nico Gonzalez, entrato da poco, il contropiede della sentenza. Non ce n’è uno, fra i vincitori, che non meriti almeno sette. Arthur, per esempio: un postino in lambretta, con attorno a sé un nugolo di golose «buchette». E poi Bonaventura, uno degli ultimi Mohicani del dribbling. E quel Kayode, classe 2004, elementari alla Juventus, poi Ikoné (un palo), persino Nzola, spalle alla porta e un mazzo tanto.

Lazio, Real, Fiorentina: tre tonfi casalinghi, il Napoli. Gli allenatori non sono tutti uguali, i giocatori non sono sempre uguali.