Brodino

Roberto Beccantini26 settembre 2023

Non credo che la rosa della Juventus sia la più forte del campionato (anzi), ma del Lecce sì. E non di poco; e non per pochi. Eppure siamo sempre lì: sotto il risultato, il risultato. E basta. Il primo tempo di Udine e i lampi con la Lazio sembrano i coriandoli di un carnevale giurassico. Le auto-sberle del Sassuolino hanno lasciato il segno e mozzato i sogni. Persino l’effetto Magnanelli sembra sfumato. E se molli l’Allegri bis al suo destino, uhm.

Con i suoi limiti e i suoi bilanci, il Lecce di Corvino e D’Aversa è un’idea. Diranno: non ha mai tirato in porta. Vero. Ma quante volte lo hanno fatto Chiesa, Milik e, alla fine, Vlahovic? I piedi, soprattutto in mezzo e sulle fasce, sono grezzi, da McKennie a un Cambiaso sul quale il loggione aveva riposto speranze non lievi. Gioca Miretti e vorresti Fagioli. Tocca a Fagioli e pensi a Miretti: tombola.

Azioni da Juventus, una: nel primo tempo, Danilo smarca Chiesa, il cui diagonale sfila radente il palo. Il gol arriva nella ripresa, in mischia. Lo sigla Milik, fin lì uno dei più spettatori, su sponda aerea di Rabiot (quantum mutatus ab illo). Era il 57’. Dal quel momento, indietro tutti, indietro tutta. Un classico. Come se la Juventus, sapendo di non far più paura, avesse paura di molti, di troppi. L’ultima mezz’ora è stata l’apoteosi del corto muso, con Krstovic a mendicare munizioni e Kaba espulso al 91’ per un secondo giallo oggettivamente esagerato (non era rigore, non era simulazione: almeno a velocità normale).

E i due «bombaroli» del Mapei? Szczesny dall’inizio, mai impegnato; Gatti dal 75’, ancora scosso. Siamo appena alla sesta ed è difficile che Max lasci o cambi e il mercato di gennaio raddoppi. E allora è inutile che vi scanniate con o senza passamontagna. La Juventus ha scavalcato il Lecce che era imbattuto: sorbole!

Auto-disastro

Roberto Beccantini23 settembre 2023

Dopo il decollo di Udine, il burrascoso atterraggio sul Bologna. Dopo i lampi con la Lazio, il Sassuolo: della difesa colabrodo, del morale a terra, del 4-2 beccato in rimonta a Frosinone. Naturalmente: Sassuolo quattro, Juventus due. Hai voglia. Patti chiari: le poche cose buone (i primi dieci minuti di pressing), merito di Magnanelli; tutte le altre (reparti scollati, stop a inseguire), colpa di Allegri. Tranne, forse, e sottolineo forse, le cappellate di Szczesny (sui botti di Laurienté che hanno propiziato l’1-0 e il 3-2 di Pinamonti) e il surreale harakiri di Gatti, agli sgoccioli, roba che, se la racconti, ti arrestano per circonvenzione di incapace.

Per la cronaca, anche la squadra di Dionisi, alla rosa del quale ogni estate Carnevali toglie un petalo (l’ultimo, Frattesi), non fa le coppe. Avrebbe potuto vincere di goleada, in contropiede, fra le fotte di Laurienté e la traversa di Defrel. Per carità, le topiche di Madama sono state sesquipedali, ma ci ha creduto di più, lo ha voluto di più: e meglio. Penso a Matheus Henrique, a Boloca, soprattutto a Berardi. Ha firmato il 2-1 e offerto cioccolatini. Una sola pecca: l’entrata su Bremer – al 58’ – era da rosso. Max gli ha opposto un Chiesa libero d’attacco, mai domo, nei cui pressi si agitava un Vlahovic tornato, d’improvviso, il pulviscolo della scorsa stagione.

L’autorete di Vina (con McKennie addosso) e il tiro di Chiesa, toccato da Erlic, avevano riportato la Juventus in partita. Una partita dalla trama agra, ispida, con il Sassuolo che tirava appena poteva e i rivali mai: nello specchio, almeno. Un difetto, questo, che ogni tanto riaffiora. Centrocampo piatto, senza fantasia (occhio): un po’ di McKennie, poco da Kostic, pochissimo da Rabiot, Miretti e Locatelli. Dietro-front.

Classifica: Lecce 11, Juventus 10. Martedì sera: Juventus-Lecce. Il calcio del popolo.

Champions di spine

Roberto Beccantini20 settembre 2023

Champions di spine. Brutta Inter, a San Sebastian, salvata dai cambi e dalla flessione di una Real Sociedad che, per 70’, l’aveva buttata alle corde e, nei round introduttivi, addirittura fuori dal ring: palo del tarantolato Barrenetxea, sgorbio di Bastoni e gol di Brais Méndez. Palleggio soffocante e pressing asfissiante. In avvio di ripresa, il miracolo di Sommer su Oyarzabal.

Non c’era partita anche perché il turnover di Inzaghino, al netto dell’infortunio di Calhanoglu, aveva stravolto la squadra. Me lo sarei tenuto per l’Empoli. In Europa non si scherza. Poi i cambi, Thuram e Frattesi in particolare, con i baschi in debito d’ossigeno. Il pareggio l’ha siglato Lautaro, sin lì uno dei peggiori. L’ultimo gong ha colto i vice campioni bivaccanti sotto le finestre di Remiro. Può essere che la «manita» del derby avesse trasformato la sicurezza in sicumera. Resta il peso di un pareggio fissato, esclusivamente, dalla forza delle rose: perché i cambi li aveva fatti pure Alguacil (dimenticavo: complimenti per il castello tattico).

** Sporting Braga-Napoli 1-2. Vince solo Garcia. Di lotta, di episodi, dopo un primo tempo a cassetta (palo e traversa di Osimhen, palo e rete di Di Lorenzo) e un secondo di sofferenza estrema, risolta dal fragoroso harakiri di Niakaté all’88’, fra il pari di Bruma, rischi assortiti e il montante di Pizzi, al 94’. Guai se non metti in frigo il risultato: non sempre la riffa del fado ti premia. Voce dal loggione: il Napoli di Spalletti era un’altra cosa. Che scoperta. Se Osimhen incide comunque, Kim non c’è più e Kvara non ancora. Il violinista non sbava per il possesso palla. Liberissimo. Occhio, però, a non offrire golosi pretesti agli avversari (già tre: Lazio, Genoa, Sporting).
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