Audace colpo dei soliti noti

Roberto Beccantini8 dicembre 2024

Questa è grossa: Napoli-Lazio 0-1. E così, in attesa del recupero dell’Inter a Firenze, Dea sola in testa. Nel dettaglio: Atalanta 34, Napoli 32, Inter, Fiorentina e Lazio 31. Fuori dai giochi, l’«imbattibile» Juventus e il Milan delle montagne Fonseca.

Pioveva che Dio la mandava, al Maradona. Baroni è un cognome diventato un nome fin da Verona; Conte, un nome a caccia di magie che non siano solo «pretatticherie». Ma se Kvara non sfonda e Lukaku scompare in fondo alle bolge, è dura. Poteva finire pari, per carità, ma l’Aquila non ha rubato nulla. Ha deciso Isaksen, già protagonista nel primo tempo, su servizio di Noslin, uno dei cambi. L’olandese, già: tripletta giovedì in coppa, quando Conte Dracula aveva schierato la squadra B. E’ stata una sfida di scacchi e imboscate, con Provedel subito alla ribalta su McTominay, non bersagliere come in altre occasioni.

Ci si mordeva di qua e di là, il Napoli più dentro, gli avversari mai fuori (anzi), una punizione di Kvara a fil di incrocio e un 70% di possesso che altro non produceva se non un palo scheggiato da Anguissa. Dele-Bashiru, vice Rovella, schiantava la traversa, e nonostante il k.o. di Romagnoli la fase difensiva di Baroni ostruiva i valichi, offriva ossigeno al palleggio, ai lanci, alle transizioni. Hombre del partido, Guendouzi. Padrone assoluto delle zolle. E al posto di Castellanos e Dia, non due medianacci. Al contrario: Noslin e Pedro, attaccanti pure loro. Segnali precisi: vada come vada, me la voglio giocare.

Le staffette non hanno dato la spuma che Conte sperava. Nemmeno Neres e Simeone. Per premere, il Napoli ha premuto: in maniera piatta, però, con la destra che piano piano perdeva seggi e fiducia (Di Lorenzo, Politano). E Big Rom mai così small. Splendido il duello tra Olivera e Isaksen: l’uruguagio ne ha vinti molti; il danese, quello fatale.

Punto e daccapo

Roberto Beccantini7 dicembre 2024

Da Bologna al Bologna non c’è pace per Thiago. L’ultima volta si fece rimontare tre gol; stavolta ne ha rimontati due. E così, ennesimo pareggio, il 9° in campionato (su 15 gare), di fattura simile a quello casalingo con il Parma. Calcio pazzo. E guai se le pulsioni del motto «o la va o la spacca» nascondessero la noia e le processioni ingessate di almeno un’ora (salvo le ammuine di Conceiçao).

La squadra di Italiano – tre finali di coppa a Firenze, mai dimenticare – nasconde la palla a una Juventus che non sa più come fare quello che le han detto di fare. Palo di Ndoye, Kalulu a rischio rosso su Odgaard (idem Koop nel finale, su Fabbian), gol di Ndoye (8), dopo che Cambiaso gli aveva sacrificato una caviglia ed era entrato Rouhi (classe 2004). Sfiga, sì, ma pure Fagiolino titolare – cosa che mi ha molto sorpreso: sparerà in curva una ghiotta occasione – e i soliti stop-lotteria di Vlahovic (al rientro). Sembrava, il Bologna, lo Stoccarda di ottobre. E Madama, proprio quella là: impotente e fatua, con il suo strascico di «se» (gli infortuni: ma pure Orsolini non c’era) e quella manovra a pozzanghere, fin troppo frenata e frenante.

Altra musica, Balanzone: Beukema e Lucumi inflessibili, Holm pompante, Freuler a dettare i tempi, Castro alla Zirkzee (prova ne sia il tacco per Pobega, nell’azione del raddoppio). Veniva dal poker monzese di coppa, è calato. L’isteria e una pallonata costavano il rosso a Motta (uffa!), i cambi agitavano le onde. Fin lì gregario, e iscritto a referto esclusivamente per un tocco a Vlahovic, murato da Skorupski, «Flopmeiners» si sbloccava su assist di Danilo. E poi, più o meno al minuto fatale di Rebic, Mbangula – uno dei rinforzi, con Yildiz – domava una cavalcata del serbo e s’inventava un destro a giro che fissava il tabellino, toglieva qualcosa al Bologna e lasciava la Juventus in balia dei soliti problemi. Le lavagne la imprigionano, i ceffoni la liberano. E il «fu» bunker? Pazienza.

La nona di Gasperthooven

Roberto Beccantini6 dicembre 2024

Doveva uscire, Lookman. E’ uscito dopo averla risolta. Di testa, su sponda aerea di Kolasinac (da corner di Samardzic). Di testa, schiacciando Theo, aveva segnato anche De Ketelaere (da punizione di De Roon). Dunque: Atalanta-Milan 2-1. Perché sì, Morata aveva pareggiato, di pura e frizzante transizione: Theo-Leao-Alvarito. Per un tempo, Diavolo all’altezza.

Attesa dal Real, la Dea si coccola la nona vittoria di fila. Contesa fino al 60’ e da lì strameritata. Vistoso il calo del Diavolo, preziosi i cambi di Gritti, vice Gasp (squalificato). Perdendo Pulisic, in compenso, Fonseca aveva perso molto. E per una volta, più Loftus-Cheek (il sostituto dell’americano) che Reijnders. Atalanta da scudetto, naturalmente, e prima almeno fino a domenica. Sa gestire, sa soffrire. E ha una rosa che molti si sognano. Per la cronaca, sono entrati Retegui, Samardzic e Zaniolo. Stava ristagnando, la partita, quando il destino, all’87’, ha scelto il padrone: e non poteva che essere bergamasco, viste le parate di Maignan (prima, due su Lookman; dopo, una su Retegui).

Paulo, che tornerà il pirla delle notti dispari, si era coperto con Musah, cruciale al Bernabeu. E a Leao aveva chiesto un raccordo sinistra-centro che farà politica, per carità, ma non sempre produce champagne. I migliori? Il portiere e Gabbia.

Due anni fa ci lasciava Robertino Pelucchi. Aveva 50 anni. Un accenno volante, è il minimo. Sarà orgoglioso, della sua Dea.

** Inter-Parma 3-1 (Dimarco, Barella, Thuram, autorete Darmian). Un tiro a segno. Molto bello il gol di Dimarco: controllo di tacco sinistro, sparo di destro. Campioni a memoria, avversari orgogliosi. Un film che, a San Siro, proiettano spesso. Unico problema, ammesso che lo sia, la «dieta» di Lautaro: Thuram, in compenso, ha sempre fame (già 10).