Lassù, il Napoli. Quaggiù, Lau-toro

Roberto Beccantini5 febbraio 2023

Lassù in cima, il Napoli: troppo per tutti. Quaggiù, Lau-toro. Ha firmato il derby dell’Inter, ha cacciato il Milan dalla zona Champions. A Riad era finita 3-0, stavolta 1-0. Ma per un tempo, sembrava di essere ancora là, in Arabia. Padrona e signora, la squadra di Inzaghi, come certifica il 74% di possesso. Pioli, povero cristo, si era coperto. In teoria, mossa saggia. In pratica, un suicidio. Perché il 3-5-2 è diventato subito un 5-3-2; perché Tonali e Krunic erano accerchiati e soverchiati; perché Messias, Origi e Giroud non la beccavano mai; perché non si può lasciar fuori, anche se in crisi di contratto, la freccia più velenosa, Leao. E comunque: Pobega, non Messias.

Capitan Martinez è stato l’anima dell’Inter. Tutto attorno, compreso il «parigino» Skriniar, un blocco di cemento. Barella, Calha, Dimarco, lo stesso Dzeko. Il Diavolo pareva un angioletto sperduto, tanto girava in folle, tanto mendicava, se non un tiro, almeno un ricordo. I cambi, da Brahim Diaz e Leao, gli hanno dato qualcosa, sì, ma il portiere più impegnato continuava a essere Tatarusanu. Calava un po’ l’Inter, non al punto, però, da rimettere in gioco cugini stravolti anche se non travolti.

** Spezia-Napoli 0-3. Pilota automatico e via. Per un tempo gli avversari, decimati, tengono botta. La capolista è la maglia gialla attenta più a non forare che a buttare lì qualcosa. Succede tutto nella ripresa. Tre regali, tre gol. Il primo è il braccio largo di Reca: rigore di Kvara. Il secondo, l’uscita amletica di Dragowski: testa ronaldiana di Osimhen. Il terzo, la palla persa di Caldara: assist del georgiano al nigeriano (e 16). I «pacchi», sia chiaro, vanno scartati, non semplicemente coccolati. Così fu. In attesa della Champions, Spalletti non sa più come tenere buono il loggione: bravo (e beato) lui.

Napoli gran riserva

Roberto Beccantini29 gennaio 2023

Neppure Federer, ai suoi bei dì, vinceva sempre 6-0, 6-0, 6-0. E’ bello anche così, soffrendo. Perché questa volta Mou non si è barricato nel pullman. Al contrario: se l’è giocata, di fisico e di testa, e l’ha persa di misura. Napoli gran riserva. Se è vero che anche El Shaarawy, l’autore del pari, veniva dalla panchina, Simeone aveva sostituito Osimhen, il capocannoniere e, con Lobotka, il migliore in campo. Vi raccomando il suo gol: filtrante di Mario Rui per Kvara, cross, petto, coscia, collo (destro): una folgore a ciel distratto.

Il Cholito, Raspadori ed Elmas erano stati la risposta di Spalletti alle difficoltà che gli avversari creavano: Matic, in particolare, e gli esterni. Non però Pellegrini, schermo greve di Lobotka, e nemmeno Dybala, un passerotto al quale il turbinio del vento impediva di trovare la grondaia giusta. Il 2-1 lo siglava proprio Simeone, già decisivo a San Siro con il Milan, e allo Zini con la Cremonese, dopo essersi bevuto uno Smalling fin lì marziale.

E così i punti di vantaggio diventano tredici. Un tesoro di proporzioni inaudite (ma strameritate). Partita croccante, falciata da ribaltoni affilati come lame. E che Meret non sia stato meno impegnato di Rui Patricio, beh, questo è un dettaglio che rende giustizia a un portiere che in estate pochi volevano e a una squadra che non molla mai l’osso, nemmeno quando sono lì lì per portarglielo via. In campionato, ci è riuscita soltanto l’Inter, a San Siro.

Orsato fischiava con la godereccia parsimonia del sadico. Kvara non è ancora lui, mentre Osimhen è sempre lui: un centravanti che unisce le epoche, esaltandone gli stili e le mode. C’è poi il resto della torta, e la mano del pasticciere. Mou ha cercato di vincere sino all’1-1; il Napoli dei Kim e dei Lozano, anche dopo. La morale, se ce n’è una, penso che sia questa.

La vecchia ditta…

Roberto Beccantini29 gennaio 2023

Premesso che gestire «questa» Juventus, per tutto quello che sta crepitando fuori campo, sarebbe complicato persino per il Pep; premesso ciò, le bollicine esplose dai calici atalantini sono subito evaporate al cospetto di un signor Monza che Palladino ha guidato con piglio brillante e guanto sicuro. Difesa compatta, pressing calibrato, Pessina, Rovella e Machin ad addolcire la tonnara del centrocampo. Allegri, per un tempo, ci ha capito poco, e poco ha trasmesso ad alluci evidentemente distratti più dai titoli dei giornali che dalle esigenze di giornata.

A scrivere di disastro, lo è stato, spero che non significhi sminuire i meriti dei brianzoli, in gol già al 10’, con Caprari: la supercazzola del fuorigioco semi-automatico ha colto una mezza spalla oltre e così, nada. Bello, in compenso, l’1-0 effettivo (di Ciurria, su imbucata di Machin). Bellissimo il raddoppio, con Dany Mota che scarta addirittura il portiere, su slalom rugbistico di Carlos Augusto. Tutti alla grande: tutti, tranne quell’emerito provocatore di Izzo.

E Madama? Piatta come la terra secondo qualche matto. Sterile in Di Maria, per il quale Palladino aveva preparato una gabbia ambulante, vaga in Kostic, con De Sciglio improvvisamente titolare e Paredes ombra dell’ombra del nazionale argentino che fu. Dal 3-5-2 si è passati al 4-3-3, Kean abbandonato al suo destino. Qua e là si accendevano mischie rusticane, la cuffia di Galliani soffriva in tribuna e la squadra governava di tocco. A naso, non escludo che dal Berlusca arrivi un altro pullman di.

Anche Danilo dava segni di sofferenza tattica e insofferenza pratica. Il riscaldamento di Pogba sembrava un miraggio. Max avrebbe dovuto cambiarli tutti, a cominciare da sé stesso. Ne toglieva un mazzolino, inseriva Locatelli, i bebé Iling e Soulé, Milik. Nasceva, faticosamente, un’altra Juventus: quella che, come con la Dea, sono le emergenze a nutrire e mai, o quasi mai, la personalità, la voglia di non aspettare di aspettare, spesso letale. Giungevano, di conseguenze, le paratone di Di Gregorio su Locatelli,
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