Lassù in cima, il Napoli: troppo per tutti. Quaggiù, Lau-toro. Ha firmato il derby dell’Inter, ha cacciato il Milan dalla zona Champions. A Riad era finita 3-0, stavolta 1-0. Ma per un tempo, sembrava di essere ancora là , in Arabia. Padrona e signora, la squadra di Inzaghi, come certifica il 74% di possesso. Pioli, povero cristo, si era coperto. In teoria, mossa saggia. In pratica, un suicidio. Perché il 3-5-2 è diventato subito un 5-3-2; perché Tonali e Krunic erano accerchiati e soverchiati; perché Messias, Origi e Giroud non la beccavano mai; perché non si può lasciar fuori, anche se in crisi di contratto, la freccia più velenosa, Leao. E comunque: Pobega, non Messias.
Capitan Martinez è stato l’anima dell’Inter. Tutto attorno, compreso il «parigino» Skriniar, un blocco di cemento. Barella, Calha, Dimarco, lo stesso Dzeko. Il Diavolo pareva un angioletto sperduto, tanto girava in folle, tanto mendicava, se non un tiro, almeno un ricordo. I cambi, da Brahim Diaz e Leao, gli hanno dato qualcosa, sì, ma il portiere più impegnato continuava a essere Tatarusanu. Calava un po’ l’Inter, non al punto, però, da rimettere in gioco cugini stravolti anche se non travolti.
** Spezia-Napoli 0-3. Pilota automatico e via. Per un tempo gli avversari, decimati, tengono botta. La capolista è la maglia gialla attenta più a non forare che a buttare lì qualcosa. Succede tutto nella ripresa. Tre regali, tre gol. Il primo è il braccio largo di Reca: rigore di Kvara. Il secondo, l’uscita amletica di Dragowski: testa ronaldiana di Osimhen. Il terzo, la palla persa di Caldara: assist del georgiano al nigeriano (e 16). I «pacchi», sia chiaro, vanno scartati, non semplicemente coccolati. Così fu. In attesa della Champions, Spalletti non sa più come tenere buono il loggione: bravo (e beato) lui.