Bellissima e crudele

Roberto Beccantini10 dicembre 2022

La più bella partita del Mondiale. Spiace, non per tifo ma per passione, che a deciderla sia stato lo sgorbio di uno dei protagonisti. Uno dei più generosi: Harry Kane. Aveva realizzato il rigore dell’1-1, concesso per una sciocchezza di Tchouaméni su Saka. Ha sbagliato, calciandolo alla Baggio di Pasadena, quello del 2-2, decretato – via Var – per una spinta di Theo a Mount. Passa, dunque, la Francia, una Francia forte, sì, ma che non sempre ha potuto dimostrarlo. Soprattutto nel secondo tempo.

Era andata in vantaggio con una sciabolata proprio di Tchouaméni, sulla quale Pickford si tuffava in ritardo. E ci era tornata con una capocciata di Giroud, «spallato» da Maguire, su splendido cross di Griezmann, il più creativo dei bleus. Deschamps e Southgate le hanno provate tutte, spostando e pescando pedine. Pressing da una parte e dall’altra, ribaltoni su ribaltoni, portieri impegnatissimi – Lloris, in particolare: che parata, su Bellingham – come un gran premio di Formula 1 senza soste ai box.

Rabiot sgobbava sodo, è stata la sinistra a «tradire», per una volta, i campioni: Theo, Mbappé. Solo bollicine: anche per le «catene» di Walker e di coloro che, a turno, lo soccorrevano. Al di là dell’arbitro, mediocre e spesso contestato, gli inglesi avrebbero meritato di più. Se Giroud «strizzava» Maguire e Stones, i sentieri di Kane scompigliavano le trincee francesi. Rice, Saka, Bellingham offrivano munizioni e soluzioni: non Foden, però. Un palo esterno di Maguire – di testa, in mischia – e il brivido della punizione di Rashford, l’ultima carta, decoravano un rodeo che strappava dal torpore persino i «caschi blu».

Morale? L’England continua a pagare il sabba dei penalty; la Francia ha molto rischiato e molto sofferto. La malizia e gli episodi l’hanno spinta verso quel tavolo che gli avversari pensavano di aver prenotato. E così, Marocco-Francia.

Marocco e Cristiano, storie contro

Roberto Beccantini10 dicembre 2022

Diario mondiale, diciottesima puntata. Il Marocco ha giocato con tutto, il Portogallo no. E così la nazionale di Walid Regragui (giù il cappello) porta l’Africa in semifinale per la prima volta. Camerun, Senegal e Ghana si erano fermati i quarti. E’ stata una partita epica, perché la sentenza coinvolge anche, e soprattutto, la fine di un re. Cristiano Ronaldo, prigioniero di un Ego che l’ha indotto a insozzare la coda di una carriera memorabile.

La trama l’hanno orientata i portieri: Diogo Costa, a farfalle sull’incornata ronaldesca di En-Nesyri; Bounou, straordinario su una lecca di Joao Felix e reattivo sull’ultimo sparo del marziano. Il capolavoro di Regragui parte dalla fase difensiva, forte anche in condizioni d’emergenza. Continua attraverso lo scudo di Amrabat, le volate di Hakimi, le geometrie di Ounahi, e culmina nei dribbling di Boufal, nella fantasia di Ziyech. Un gol preso in cinque gare: un’autorete, fra parentesi.

Verrà accusato, il ct rosso fuoco, di aver alzato un catenaccio da protervi occidentali. Specialmente nella ripresa. E allora? Gli dei ne hanno baciato il furore, la cazzimma, l’organizzazione: la traversa di Bruno Fernandes ne è stata sicario devoto. Il Marocco aveva già ingabbiato la Spagna, impedendole letteralmente di tirare. Con i portoghesi ha faticato un po’ di più, anche per il rosso a Cheddira (nel recupero), ma, in contropiede, avrebbe potuto addirittura chiuderla con Aboukhlal.

Gli ha dato una mano Fernando Santos, inserendo tardi Leao: più ancora di Cierre o Joao Cançelo, altri cambi in corsa, sarebbe stato prezioso nell’aprire il bunker dall’esterno. Male Bernando Silva, maluccio Joao Felix. E, pensando a Gonçalo Ramos e alla sua tripletta con la Svizzera: dura solo un attimo, la gloria. Quella di Cristiano, in compenso, è durata un ventennio. Il fatto che molti festeggiano, significa che ha lasciato un segno.

Un genio e una genialata

Roberto Beccantini9 dicembre 2022

Alla fine, il genio vince sulla genialata. Ai rigori, come nel 2014, tra risse e resse. Il genio di Leo Messi: passaggio visionario a Molina per il gol dell’1-0; rigore del 2-0, guadagnato da Acuna (pedatina di Dumfries). In mezzo, un bouquet di cosine «di sinistro». La genialata di Louis Van Gaal: non tanto la mossa, tardiva?, di passare dalla palla rasoterra alle torri, quanto la punizione del due pari al 101’. Secondo Liedholm gli schemi, provati in partita, riescono perfettamente in allenamento. Questo no, questo riesce subito. Sulla palla, Gakpo e Koopmeiners. Chi tira, chi non tira. Barriere, uomo-coccodrillo. L’atalantino finge la lecca e, viceversa, tocca dolce nel cuore dell’area, verso Weghorst, uno dei cambi, già autore dell’1-2. Il traliccio arpiona e bum.

Fin lì, pochi tiri (zero, i batavi), molta noia. Con Van Gaal costretto a correggersi coram populo e Scaloni lento nel leggere la nuova «geografia» della gara. Ai supplementari, avrei detto Orange. Invece sono stati gli argentini, soprattutto nel secondo, a premere. Era entrato Lau-Toro, e con lui Di Maria. Un paio di occasioni per l’interista e, proprio allo scadere, il palo di Enzo Fernandez. Mi ha ricordato il legno di Rensenbrink a Buenos Aires, nel ’78: avrebbe rimediato il destino, cinico e caro. I penalty impongono nervi d’acciaio, non solo centimetri sodali. Van Dijk parato, Messi (primo della lista) gol, Berghuis parato, Parades (la miccia del Bronx) gol, Koopmeiners gol, Montiel gol, Weghorst gol, Fernandez sbagliato, L. de Jong gol, di Lau-Toro la sentenza.

Podio: dopo Messi, i due terzini (Molina, Acuna), i due Martinez (il portiere, l’attaccante: non fosse altro che per la firma), Berghuis, devastante Attila di riserva, e F. de Jong.

Non un trattato di calcio, questo no. Se mai, la polpa di un giallo. Van Gaal esce imbattuto; la Pulce, già 4 gol, a uno da Mbappé, continua a segnare, a far segnare e sognare. I mendicanti di emozioni non chiedono altro.