Sì

Roberto Beccantini25 febbraio 2023

Con questo Napoli che vince sempre, in Italia e in Europa, e sempre prendendo di petto l’avversario, si corre il rischio di addormentarsi nell’incenso, quando, viceversa, i suoi tifosi vorrebbero, legittimamente, che, come loro, ci illuminassimo d’immenso. Due a zero a Francoforte, in Champions: ed era l’andata degli ottavi. Due a zero a Empoli, in campionato (al netto della sciocchezza di Mario Rui, primo rosso della stagione): ed era la ventiquattresima giornata. Il vantaggio oscilla tra i 18 e i 15 punti. Miglior difesa, miglior attacco e, naturalmente, il capocannoniere, Osimhen, con 19 reti.

L’effetto Schumacher – l’effetto, cioè, del grande Schumi che, su Ferrari, mollava minuti a tutti, costringendo il regista a zoomare sulle beghe di condominio alle sue spalle – rischia di banalizzare un’impresa che pochi, in estate, immaginavano. E invece proprio di impresa si tratta. Va di moda il giochino del «chi assomiglia a chi». A chi assomiglia Osimhen? E Kvara? E «Robotka»? I paragoni sono seducenti, ma pericolosi. Osimhen è un africano che alla forza del tronco e della gambe sta affiancando la tecnica e la malizia sviluppate a Lilla. Ha movimenti sgraziati, ha momenti epici. E’ un centravanti che unisce le epoche attraverso il ponte della velocità: palla lunga e pedalare (lui). Kvara è un ballerino, un’ala che la modernità ha spinto verso il centro, ma già ai tempi di George Best la linea laterale era un confine, non un confino. Lobotka-Robotka è il motore, un Jorginho più mobile e verticale, tappo e cavatappi. La pedina che vedi di meno e avverti di più.

E’ facile scrivere epinici, soprattutto in un Paese servile come l’Italia. Se però sono meritati, trovo che sia giusto. Chiudo con una domanda molto personale. Vorresti, Beck, che la squadra del tuo cuore giocasse come il Napoli di Spalletti? Risposta: sì.

I cambi e l’episodio

Roberto Beccantini22 febbraio 2023

Era una partita da 0-0, con i portieri poco impegnati ma bravi (Onana, soprattutto), con uno scazzo-bis (Onana-Dzeko dopo il Lukaku-Barella di Marassi), un sospetto di rigore su Darmian e un equilibrio che il terreno, brullo, sembrava gradire e, per questo, favorire. Poi sono successe due cose: i cambi di Inzaghi (Goosens per Dimarco, Lukaku per Dzeko, Brozovic per Mkhitaryan), tutti azzeccati; e, al 78’, la sciocchezza dell’isterico Otavio. Già ammonito, pestava Calhanoglu: secondo giallo e via.

Fin lì, l’Inter aveva cercato di vincerla al piccolo trotto; il Porto, esclusivamente di rimessa. Dominavano le rughe gloriose di Pepe (40 anni il 26 febbraio) e gli arpioni di Acerbi e Skriniar. Da lì in poi, la trama si consegnava, docile, all’Inter. Non i fuochi d’artificio d’altri tempi, e di altre squadre, ma un po’ più di coraggio e di comodità. Il gol cadeva, maturo, da un cross di Barella e il testa-palo-sinistro di Lukaku, tornato a essere prezioso, spesso, e decisivo nell’attimo «arrivante» (altro che «fuggente»).

Il Porto ha ribadito la tradizione di osso duro: lezioso, magari, ma sempre lì a esplorare errori, a fiutare varchi. Taremi, centravanti-ponte, è il perno avanzato di un complesso che Sergio Conceição, ex sodale di Inzaghino, ha costruito su basi solide. Si qualificò vincendone quattro di fila dopo aver perso le prime due.

Ricapitolando: ritmi complessivamente lenti, Calha su e Lau-Toro giù. E comunque: 1-0. Come il Milan con il Tottenham. E poiché a Francoforte il Napoli ha stradominato (2-0), gli ottavi ci hanno regalato un 3 su 3 che, per un campionato zoppo come il nostro, è stampella vigorosa. In vista dei ritorni, solo Spalletti può andare tranquillo. Le milanesi no: lo scarto è minimo e le insidie, massime.
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Napoli, sempre Napoli

Roberto Beccantini21 febbraio 2023

Dai gironi agli ottavi è come uscire da un giardino per entrare in una giungla. Serve il machete. Il Napoli lascia all’Eintracht il primo spicchio di notte, 15 minuti sì e no, poi lo mette a nanna. E’ Lobotka la bussola, e Lozano il braccio che la mostra. E così, 2-0 come venerdì, con il Sassuolo, e quarti in tasca. I primi della storia, sarebbero. Tra campionato e Champions, sempre lo stesso Napoli, sempre lo stesso Spalletti: fate pressing, non calcoli.

Già prima del gol rompi-ghiaccio, Lozano aveva colpito un palo e Trapp parato un rigore a Kvara, rigore che Osimhen aveva strappato, di forza, alla pedata sbadigliante di Buta. Emblematica l’azione che spariglia il mazzo. Lobotka recupera palla, lancio verticale per il messicano, cross radente, tap-in del nigeriano sul secondo palo. Auf wiedersehen.

Napoli padrone, con Meret disoccupato e Kim sultano del forte. Detentori dell’ultima Europa League e sesti in Bundesliga, i tedeschi ci hanno provato, ma Glasner non è Aladino e, con Goetze e Kolo Muani accerchiati, ciao lampada. Il rosso al francese ha sepolto una partita già defunta, e comunque suggellata dal sinistro del capitano (Di Lorenzo) su tacco del georgiano, poi murato dall’eroico Trapp a un passo dal tris.

Velocità di crociera, alta. Turbolenze, ridotte al minimo. Lobotka, Kim, Lozano i più ficcanti. Osimhen è uno che sposta, fisicamente e letteralmente. Kvara, il dribbling fatto carne: e se, braccato e raddoppiato, ogni tanto fatica a districarsi, qualcuno lo «corriggerà». Direte: di fronte c’era l’Eintracht-avesse-detto. Cambiano gli avversari, non cambia il Napoli. E dal momento che il nostro campionato non gode proprio di capelliana reputazione, non mi sembra poco. In estate, non se lo filava nessuno. Oggi, gli si chiede la luna.
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