Cristiano non porge l’altra guancia

Roberto Beccantini14 marzo 2021

Comincio io: il Cagliari non è il Porto. Continuate voi: in Europa è diverso, la Juventus non vince la Champions dal 1996. Noiosi. Dopodiché, la partita. L’ha risolta una tripletta di Cristiano, colui che, dandole le spalle, l’aveva tradita martedì scorso. Sassata di testa, rigore di destro, sassata di sinistro. In mezzo, sullo 0-1, una pedata alle guance dell’uomo Cragno così plateale e così pericolosa da giallo immediato e scuse automatiche. Il dibattito è aperto: era da rosso? Per me, no. L’ho appena scritto. Sotto a chi tocca, a patto di non dire che era da arancione: una vigliaccata.

Semplici aveva rimpiazzato Di Francesco. Sette punti in tre gare. E la salvezza non più lontana come, un volta, Gigi Riva dall’isola. Pirlo, lui, si è inventato un 4-2-4 tendente al 4-4-2, con Kulu e Chiesa ali, Cristiano e Morata al centro, più Rabiot e Danilo a farsi il mazzo in mezzo (scusate la cacofonia). Un inno all’avanti popolo, una serenata al «giuoco» verticale e affilato.

Morale della favola: palla al piede, e ad avversari sbilanciati, grandi spazi e grandi contropiedi per moltiplicare i pani e i pesci. Un progetto stuzzicante, di respiro europeo. Palla agli altri, triboli non lievi. Come ha confermato la ripresa, che Nainggolan si è caricato sulla cresta. Il gol di Simeone è stato un cerino dal quale Joao Pedro, Marin e Godin non sono riusciti a ricavare le fiamme necessarie per bruciare lo scarto. Le staffette di Semplici e Pirlo hanno accompagnato l’ordalia verso un epilogo che mi sarei aspettato, ebbene sì, più travagliato. Non poteva non calare, Madama, e difatti è calata. Però il risultato, almeno questa volta, era in cassaforte. La vittoria coincide con la reazione che la Juventus «doveva» a sé stessa. Nulla di nuovo sotto il sole (più o meno). La zona Champions è meno vaga. Il resto, si vedrà.

Conte in banca

Roberto Beccantini21 febbraio 2021

Per garantirsi la difesa che a Coverciano chiamano «bassa», l’Inter di solito segna subito. L’ha fatto anche nel derby, con Lau-Toro, di testa, su pennellatina di Lukaku. Era il 5’. Dopodiché, non prima di aver sparato altre cartucce, tutti indietro, con falò di pressing e lampi di contropiede.

Il Milan ne è uscito travolto e stravolto. Zero a tre. Lento per un tempo, con Ibra accerchiato e schermato (da Brozovic), ci ha provato in avvio di ripresa. E qui, parafrasando Jim Morrison, se a volte basta un attimo per scordare una stagione, a volte non basta una gaffe (quello di coppa, su Cierre) per scordare i due minuti di Samir Handanovic: doppia paratona su Ibra e gran riflesso su Tonali. Chapeau.

Stava premendo, la squadra di Pioli, e Conte, felice, non pensava alle censure dei fusignanisti, alle menate sulla difesa a cinque che in Champions non tira: qui è Rodi e qui bisogna arretrare.

Morale della favola: transizione tra Hakimi (meglio di Theo), Eriksen (sempre meglio), Perisic (meglio di Calabria) e bis di Martinez, il migliore del mazzo. Poi, con il Diavolo stracciato in avanti e il totem svedese abbandonato dai sudditi, ecco lo schema Lukaku: da metà campo allo sparo, con Romagnoli invano ciondolante attorno alle sue spalle.

Tutto qua. E non è poco. Per la cronaca, e per la storia, Ibra e Luka si sono ignorati. Ognuno per la sua strada. Lo svedese, sostituito (addirittura); il belga, un assist, un gol e capocannoniere. Il Milan non è più il Milan dell’andata, anche (ma non solo) perché ha perso Bennacer e giocato giovedì a Belgrado. Quattro sconfitte nelle ultime otto partite. L’Inter, viceversa, cinque vittorie nelle ultime sei.

L’impressione era che il Diavolo avesse di fronte un muro; l’avversario, una porta socchiusa. Era da dieci anni che il derby non valeva per lo scudetto. Più quattro sul Milan: fuori da tutto, l’Inter di Conte è in fuga da tutti.

Catenaccio e Lukaku

Roberto Beccantini14 febbraio 2021

Fuori dall’Europa dal 9 dicembre, e dalla Coppa Italia da martedì scorso, l’Inter di Conte si issa in cima al campionato. E’ la prima volta. Ha regolato la Lazio per 3-1 dopo che, per 2-0, lo Spezia aveva surclassato il Milan. E domenica c’è il derby. Tempi duri per gli sventolatori del possesso palla. Madama a Napoli, la Lazio al Meazza. Conte non è più l’esploratore spaziale del primo anno chez Agnelli, quando per entrambi sembrava sempre san Valentino. Ha lasciato che la fanteria leggera di Inzaghino venisse avanti, opponendo l’elmetto di Skriniar all’uncinetto di Lui Alberto e le altre sartine. Ha liberato i muscoli di Lukaku, due gol e un assist. L’uomo-squadra, oggi, più decisivo. Palla a lui, palla in banca. Non sempre. Spesso. Sedici reti, come Cristiano.

Veniva, la Lazio, da sei vittorie. L’Inter non ha sfondato, questa volta, dalla parte di Hakimi. Dall’altra parte: rigore su Lau-Toro, trasformato da Lukaku, al culmine di un’azione alla mano, e bisturi del belga armato da un passaggio carambolato di Brozovic. In entrambi i casi, difesa dormiente o comunque distratta.

La fine era nota. Delle Aquile lotitiane ricordo un destro di Immobile, murato da Handanovic e una fitta ragnatela di tocchi e ritocchi che non hanno mai sabotato il disegno tattico dei rivali. Anzi: appena potevano, Brozovic, Barella ed Eriksen sbirciavano la prateria e invitavano Lukaku e Lau-Toro all’uno contro uno.

Elementare, Watson. In Italia l’attesa paga più che all’estero, e proprio l’Inter ne sa qualcosa. Sono mancati, alla Lazio, i tenori, tutti: Immobile, Luis Alberto, Milinkovic-Savic. E Lazzari ha trovato in Perisic pane per le sue volate. Morale: l’Inter è stata verticale; la Lazio, orizzontale. Dalla ripresa, se si escludono l’effimero rattoppo di Escalante e la sgommata con cui Luka ha demolito Parolo e spalancato la porta a Martinez, è uscito solo fumo. L’arrosto era già stato servito.