Questo è uno spazio riservato ai giovani, d’età e di spirito. Gli argomenti sono liberi. Un solo limite: ogni articolo non deve superare le 30 righe. Naturalmente, non ci sono vincoli alla fantasia. Una commissione, da me presieduta e da me composta, premierà di settimana in settimana, con l’onore di un aggettivo, il “manufatto migliore” (come direbbe Emma Marcegaglia).
Scrivete, scrivete: qualcosa resterà. E magari anche qualcuno.
Io fossi nel fideo due telefonatine che so a Tévez Ronaldo Dani Alves e pure a deligt chiesa e vlahovic le farei. E prima di firmare un eventuale contratto.
Perché proprio perché è la sua ultima stagione nn si deve rovinare la bocca con il giocommerda.
Gentile Stefano, buon giorno. Scusi per il ritardo. Il tema era la Juventus per la terza volta consecutiva fuori agli ottavi. Con tre allenatori diversi – Sarri, Pirlo, Allegri – contro squadre non proprio da Superlega (Lione, Porto, Villarreal). Tutto qua. Altra storia, l’Inter: non centrava gli ottavi da 10 anni ed è uscita per mano del Liverpool. Ripeto: il Liverpool. E comunque ha vinto ad Anfield, che è sempre una medaglia. Quanto all’Atalanta, non parlerei di fallimento. Non dimentichi mai le sue dimensioni: storiche e geografiche. E come gioca: la ventunesima squadra della Premier. Grazie per lo spunto.
Buonasera,leggo ora l’articolo sul fallimento della Juventus in Europa…a quando l’articolo sul fallimento delle milanesi e dell’Atalanta….sempre in Europa comunque…. grazie.
Buongiorno Beck, nemmeno io saprei canticchiare una canzone, di quelle in gara. A beneficio di sua moglie (e le ricordi che la sponda è arrivata da un gobbo). Di Sanremo leggo più di quanto lo seguo (il monologo di Drusilla l’ho letto stamani), Achille Lauro invece l’ho visto in diretta. Al termine della canzone ha “finto” una fonte battesimale, e durante l’esibizione ha mimato gesti sessuali. Al che Fiorello, ironizzando, si è chiesto cosa mai ne avrebbe detto l’Osservatore Romano. E’ quella che ho postato è la replica, che mi è sembrata ancor più ironica, E dall’Osservatore mi ha sorpreso, in senso positivo. Sul resto, ne parlavo in questi giorni in casa. Renato Zero negli anni ’70 fu un personaggio di rottura, di scandalo, ed a Sanremo lo fu Benigni col suo “woytilaccio” ed il bacio mimato sul palco. Adesso qualsiasi cosa viene accolta come “normale”. Ed è tutto sommato un bene. Ma che nella normalità, un personaggio come Drusilla abbia pronunciato quelle frasi, secondo me non banali, ma anzi di spessore, è altrettanto positivo. Concordo su Checco Zalone. Grazie a lei
Gentile Riccardo Ric, buon giorno. Del Festival di Sanremo ho seguito soltanto Checco Zalone (voto 9), che adoro, costrettovi da mia moglie: in casa, chi è primo classifica ha diritto alla scelta dei programmi e le alternative sportive erano, oggettivamente, basse. Dunque non ho visto né Achille Lauro né Drusilla.
Quanto alle «chicche» da lei proposte, tutto nasce dalla volontà di stupire. Volontà che spesso diventa, o ci piace pensare che diventi, voluttà. Stupire, stupire… Ho chiesto a mia moglie di canticchiarmi una canzone, una di quelle ufficialmente in gara. Non sapeva che pesci pigliare. Viceversa, disquisiva fino ai dettagli più estremi del grande Checco.
Quanto a Drusilla, fin dai tempi letterari (e non) di Robert Louis Stevenson e dello «Strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde», tutto è diventato così troppo strano da diventare normale. Dagli «ismi», pericolosissimi anche nelle versioni più dolci/dolciastre, alle desinenze con l’accento sulla a, non meno ambigue, non meno insidiose: diversità unicità. La realtà, che non sempre coincide con la verità, è che è aumentato il fabbisogno di mescolarsi con gli altri e all’interno di sé stessi. Una spinta decisiva l’ha fornita Internet, con i «passamontagna». E’ nata una generazione trasversale di giovani/anzini che trae il coraggio della vigliaccheria di togliersi il primo velo, quello della faccia, dell’identità. Drusilla e le Drusille stanno compiendo il percorso inverso: non usano le «mascherine» per scappare, ma per essere ciò che (anche o soprattutto) si sentono finendo, così, per rendere vigliacchi o ambigui noi, non loro. Grazie per lo spunto.
Due chicche a latere di Sanremo. La prima è il commento dell’Osservatore Romano.
Chiamati in causa da Fiorello alla cui simpatia non si può resistere, eccoci qui a dire la nostra, come richiesto, su Achille Lauro. In punta di piedi. Perché Sanremo è Sanremo. L’Osservatore è L’Osservatore. E in questo caso si limita ad osservare che, volendo essere a tutti i costi trasgressivo, il cantante si è rifatto all’immaginario cattolico. Niente di nuovo. Non c’è stato nella storia un messaggio più trasgressivo di quello del Vangelo. Da questo punto di vista difficilmente dimenticheremo la recita del Padre Nostro, in ginocchio, di un grande artista rock come David Bowie. Non ci sono più i trasgressori di una volta.
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La seconda è il monologo di Drusilla
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Diversità è una parola che non mi convince. Quando la verbalizzo, sento sempre che tradisco qualcosa che sento o che penso. Trovo che le parole siano come le amanti, quando non funzionano più vanno cambiate subito. Ho cercato un termine che potesse sostituire una parola così incompleta e ne ho trovato uno molto convincente ed è: unicità. Mi piace come parola perché tutti pensiamo di essere unici e di trovare unicità nell’altro. Per comprendere la propria unicità è necessario capire di cosa è composta la nostra unicità. Dobbiamo capire di cosa siamo fatti noi. Le cose belle: le ambizioni, i valori, le convinzioni, i talenti. Il talento va allenato, va seguito. Delle proprie convinzioni bisogna avere cura»
«Per capire la nostra unicità dobbiamo capire perché lo siamo e quali talenti ci rendono unici, quale convinzioni, quali idee. Senza contare le paure, i dolori e le fragilità che vanno affrontate. Non è affatto facile entrare in contatto con la propria unicità. Come si fa? Io un modo ce l’avrei. Si prendono in mano tutte le cose che ci abitano, belle e brutte. E portarle in alto con noi gridando: “Che bellezza. Tutte queste cose sono io”. Sarà una figata pazzesca e sarà bellissimo abbracciare la nostra unicità. Promettetemi che ci doneremo agli altri, che accogliamo il dubbio anche solo per essere certi che le nostre convinzioni non siano solo delle convenzioni».
Finalmente la nazionale gioca bene a calcio. A mio modesto parere solo ai mondiali di Argentina del 1978 ,la seconda fase dei mondiali di Spagna 1982 e infine a casa nostra nel 1990 possiamo dire di aver giocato bene al calcio. Fuori da queste tre manifestazioni abbiamo quasi sempre praticato un calcio pragmatico,vigoroso,,attento,essenziale e illuminato dagli sprazzi del nostro fuoriclasse di turno. Questo è successo in Germania nel 2006, più o meno…..certo è che quando giocavano bene solo altre nazionali noi le snobbavamo asserendo che ok bel calcio ma poi quando arriva il dunque spariscono…..ora cosa facciamo se capitasse a noi? Abbiamo il coraggio di elogiare la nazionale pragmatica e cinica di turno che pur senza entusiasmare magari vince la coppa? Ah, quando intendo giocare bene a calcio intendo : possesso,pressing,mentalità offensiva e non fermarsi mai fino alla fine…….quello che è quasi sempre mancato alla nazionale fino a questa di Mancini!!!!! Vedremo
ciao Francesco
Anzi, facciamo cosi. Corregga in “a quel popolo di sfigati”.
ah, uno slang personale di disputa con tifoso della Fiorentina. Lui mi appellava “carcerato” per le maglie bianconere, ( e non solo) ed io replicati con “listato a lutto” per il colore viola. (i paramenti del sacerdote). Aggiunsi anche sfigato in riferimento alla scaramanzia contro il colore viola nei teatri. Ed anche in riferimento ai recenti risultati sul campo. Decisamente sfigati. Parecchio sfigati, perennemente sfigati. Ma capisco non sia di immediata comprensione, roba personale. Corregga pure in “ai tifosi viola”, ancor più se chi legge potrebbe pensare che mi riferissi alla vicenda Astori. Giammai, ovvio.
Gentile Riccardo Ric, buona sera. Colgo nel “tema” su Cesare l’apprezzabile ricerca di una strada alternativa al solito traffico emozional-popolare, ma non ho capito – all’inizio – “ai listati a lutto”.