Qui si parla di libri. Il titolo l’ho rubacchiato a Umberto Eco e al suo “Costruire il nemico”. Libri di avventura, di amore, di sport, di calcio, di calci. Cronache di storie e storie di cronache. Nessun genere è pre-cluso o post-cluso. I libri sono mondi che ci rendono grandi o piccoli in base a come li navighiamo.
Chi comincia?
“Comandante” film che non ho ancora visto, ma che vedrò. Narra le vicende si Salvatore Todaro, (Pierfrancesco Favino) comandante di sommergibili della Regia Marina. Si distinse per aver affondato, durante la seconda guerra mondiale, una nave nemica e subito dopo aver soccorso i naufraghi così come la legge del mare prevede, Successivamente chiese ed ottenne il trasferimento al reparto della Decima Mas. (Chissà se questo nel film c’è…) Mori in battaglia, decorato al valor militare.
Che il calcio – nel mondo e, soprattutto, in Italia – sia una «guerra» santa, è un fatto. Con tanti campanili e sacerdoti quanti le squadre e i loro mattatori. Di più: secondo Osvaldo Soriano, «il calcio ha le sue ragioni che la ragione non conosce». Ecco. Andrea Novelli, savonese, ex arbitro, scrittore e sceneggiatore attento ai tempi, si è cimentato in un libro impegnativo ed esplicativo, «Il calcio come esperienza religiosa» (editore Ultra Sport) che racconta il fenomeno attraverso un giorno, uno solo: il 19 aprile 1989.
Il giorno in cui Sampdoria, Milan e Bayern, in ordine rigorosamente cronologico, raggiunsero le finali delle tre Coppe allora in vigore: delle Coppe, dei Campioni, Uefa. Quel mercoledì, perché allora si giocava sempre di mercoledì, erano in programma le partite di ritono delle semifinali: Sampdoria-Malines 3-0; Milan-Real Madrid 5-0; Bayern-Napoli 2-2.
Dunque, non una data qualsiasi ma un battesimo che, oltre a parlare agli almanacchi, sussurra ai cuori. L’autore è a Marassi, nel pomeriggio, per scortare il Doria. Poi corre in auto a San Siro, per gustarsi le tentazioni del Diavolo e, dal Meazza, immagina al transistor i palleggi bavaresi di Diego Armando.
La metafora della liturgia circense, metafora fino a un certo punto, abbraccia i moti dell’anima e scandaglia gli abissi dell’emozione. Il libro è come una messa che, di culti, ne raccoglie e mescola addirittura tre: la «chiesa» sbarazzina di Vujadin Boskov e i suoi chierichetti scapestrati (da Gianluca Vialli a Roberto Mancini); l’eresia di un «giuoco» che l’Olanda milanista di Arrigo Sacchi avrebbe innalzato ad altare fra vecchio e nuovo testamento; la venerazione dell’Idolo sempre in agguato tra i nostri rosari laici.
E chi crede che Novelli abbia esagerato, legga o rilegga Pier Paolo Pasolini con il suo calcio di poeti e prosatori.
Ci sono storie che dai per scontate. E le riduci a uno slogan. Per esempio: la Juventus dei «puppanti». Come se Sandro Puppo, pianista e centrocampista, poi mister proto-zonarolo e d’indole mitteleuropea, fosse riassumibile esclusivamente nella chiamata di Gianni Agnelli e in quella Signorinella là, pallida e al bivio, zeppa di giovani da svezzare (per celia, i «puppanti»). Era il 1955: due anni dopo sarebbero sbarcati John Charles e Omar Sivori.
Per fortuna, è arrivato Matteo Eremo. Piacentino, insegnante di lettere. Ha scritto un libro, «Il calcio è musica, vita e romanzo di Sandro Puppo, allenatore dimenticato» (editore Mattioli 1885), che fa luce. E gli rende giustizia. Si parte da Shanghai, dove il papà di Puppo era primo violino d’orchestra, per attraversare un’esistenza che non finisce mai.
Riserva nella Nazionale d’oro all’Olimpiade di Berlino ‘36, titolarissimo nel Venezia di Ezio Loik e Valentino Mazzola: lui, vertice basso; Loik, stantuffo; Valentino, ovunque. Giocò anche nel Piacenza, nell’Ambrosiana-Inter e nella Roma, finché un infortunio non gli tranciò la carriera.
Nacque, così, l’altro Puppo. Il sognatore. Il visionario. Capace di portare la Turchia ai Mondiali svizzeri del 1954; e, nel Barcellona, di lanciare un «certo» Luis Suarez. Poi la Juventus, con tanto di esonero, non prima di aver svezzato bebè quali Giuseppe Vavassori, Flavio Emoli, Piero Aggradi, Angelo Caroli.
Le pagine di Matteo raccontano una persona che ha sempre rifiutato il ruolo di personaggio, in balia di lutti familiari che ne hanno scandito le ambizioni e le passioni. La Fifa lo volle nel sinedrio tecnico del Mondiale ‘70, quello del Brasile dei cinque numeri 10. Come tutti i precursori, non venne capito. Dimenticato, morì a 68 anni, nel 1986. A Piacenza, la sua Itaca. Prigioniero di un aggettivo infantile e storpiato. Lui che fu ben altro.
Vera.Caslavska campionessa dissidente-Armando Fico Ed. Battaglia. Non conoscevo la storia di Vera, ginnasta cecoslovacca plurimedagliata olimpica, unica atleta, sia maschile che femminile. ad aver vinto tutte le specialità individuali, boicottata dal regime sovietico per aver, con un gesto eclatante, alle Olimpiadi 1968, espresso il proprio dissenso alla repressione in atto nel suo Paese.
Grazie Roberto per il tuo post del 12 luglio su Nicola Ruggero che non conosevo. Saluti.
Nicola Roggero è un giornalista che cerca sempre di alzare il livello dei contenuti, prima ancora che il tono della voce: sia che parli di Premier League sia che scriva di perdenti. Lo seguo su Sky, leggo i suoi libri. Non è un pocologo come me, e neppure un tuttologo: è un eclettico. Se non vi fidate, vi suggerisco la sua ultima opera: «Storie di atletica e del XX secolo» (Add editore).
Già dal titolo – chiaro perché semplice, semplice perché chiaro – si capisce lo spirito del viaggio. Sono venti racconti che ripercorrono tante vite, tanto sport, tanti mondi. Da Jim Thorpe, il primo nativo americano che conquistò un titolo olimpico (medaglie «casualmente» confiscategli e restituitegli solo trent’anni dopo la morte) al grido di dolore – e d’orgoglio – della «colonia» ucraina sotto lo schiaffo dell’invasione putiniana.
I frequenti richiami a Nelson Mandela illustrano la bussola che anima e guida le trame e i destini. Il valore universale dello sport. Un ponte che aiuta ad abbattere i muri, da Wilma Rudoplh a Elana Meyer, dal buio oltre le siepi degli Usa all’apartheid del Sud Africa. Non tutti i giri di campo sono uguali, per fortuna, e mi fermo qui per non rubarvi il piacere della scoperta. Troverete «dischi» volanti ma non da una Germania all’altra; «martelli» che, in piena Guerra fredda, conducono addirittura all’altare; pugni chiusi e «spazi» aperti; segregazioni ed emozioni.
Con penniche fuori ordinanza che possono costare risvegli terribili, e zingarate in moto dal Messico alla Grande Mela che, lì per lì, ai protagonisti sembreranno più leggere di ben altri «ostacoli». Non mancano i podi e i nodi che l’agonismo ostenta, e nemmeno i «tre secondi» che, nel basket, durarono una notte e una rissa.
La penna di Nicola indaga piste e prigioni, staffette e vendette; di donne e uomini spreme l’esistenza e la sofferenza, a piedi scalzi e giudici fin troppo «vestiti» (dalla ragion di stato). Saltando da Valerij Brumel a Dick Fosbury, in bilico sull’asticella che a tutti dà un senso e a pochi, pochissimi, l’immortalità.
Gentile Lovre51, buon giorno. Le privatizzazioni in Italia, uhm, mi lasciano sempre in balia di un mare di dubbi. Mi creda: meglio “affidarla” di governo in governo all’opposizione, Nella speranza che i bravi, pure nelle teste dell’opposizione, non siano di destra o di sinistra: siano bravi e basta.
Caro Roberto,Io la privatizzerei,la Rai,lasciando Rai news come riferimento governativo!!
Gentile Alessandro, buon giorno. E, anche a lei, scusi per il ritardo. Come non leggo «il Manifesto», così non leggo «Libero». Mi creda: non è per smarcarmi (a 72 anni, figlio unico senza figli: a che pro?), ma proprio perché non riesco a leggerli tutti, i giornali. Più banalmente, nella vita bisogna fare delle scelte. Anche se possono sembrare impopolari, o sotto-culturali. Le ho fatte. E’ vero che nell’epoca del Web è difficile sorreggere il mondo che ci viene addosso, ma mi creda: si può. Basta scegliere. Scelga anche lei. Fermo restando che il Feltri di Crozza è un capolavoro.
Pensi lei che in materia di televisione, tanto per rendere l’idea di destra/sinistra, se io diventassi presidente del Consiglio come prima cosa farei questa: visto che devo essere controllato e pungolato, nella mia attività politica, sia l’opposizione a nominare o confermare i vertici della Rai. Ripeto: l’opposizione.
Gentile Riccardo Ric, buon giorno. Scusi per il ritardo. Non leggo «il Manifesto» perché nella vita bisogna scegliere: anche in edicola. Non c’entra lo zoccolo politico di riferimento. Del «Manifesto», in ambito di rassegne-stampa, mi sono sempre piaciuti i titoli. Geniali, spesso: al netto del catechismo che può dividere. Memorabile quello in occasione dell’elezione di papa Ratzinger; «Il pastore tedesco» (se non ricordo male).
Quanto a «La Stampa» la leggo, sì: come sempre, dall’era degli Agnelloni all’era degli Agnellini, anti-governativa per moda, più che per modi.
Pensi lei, gentile Riccardo Ric, che in materia di televisione, tanto per rendere l’idea di destra/sinistra, se io diventassi presidente del Consiglio come prima cosa farei questa: visto che devo essere controllato e pungolato, nella mia attività politica, sia l’opposizione a nominare o confermare i vertici della Rai. Ripeto: l’opposizione.