Qui si parla di libri. Il titolo l’ho rubacchiato a Umberto Eco e al suo “Costruire il nemico”. Libri di avventura, di amore, di sport, di calcio, di calci. Cronache di storie e storie di cronache. Nessun genere è pre-cluso o post-cluso. I libri sono mondi che ci rendono grandi o piccoli in base a come li navighiamo.
Chi comincia?
Leo. In questo caso, Narducci da adito a diverse critiche. Gli è consentito scrivere il libro. Ma a livello deontologico, come già successo, ha forzato di nuovo la mano per motivi d’opportunità e calcoli personalistici.
WHO (Chi): Narducci è il magistrato che ha indagato su Calciopoli, l’ha incardinato in un processo portandolo quasi al compimento del primo grado giudiziario. Narducci è tuttora magistrato anche se in aspettativa perché ha preferito aderire al progetto di De Magistris come Assessore alla sicurezza a Napoli.
WHAT (Cosa): il famigerato processo Calciopoli non è ancora terminato: due provvedimenti sono ancora al primo grado di giudizio.
WHEN (Quando): il testo esce subito dopo la conquista del 30° (o 28°+2, secondo i canoni del ns. Primario) scudetto della Juventus, portata in trionfo per pochi secondi (forse neanche quelli) prima d’essere nuovamente ricoperta di fango per gli ipotetici coinvolgimenti di Bonucci, Pepe, Conte (e Buffon) nel nuovissimo calcioscommesse. Inoltre sembra che l’assessore abbia le settimane contate ed abbia bisogno di nuova linfa vitale.
WHERE (Dove): in Italia, finora recensioni/promozioni piatte e servili del testo su Fatto Quotidiano, Unità , edizione napoletana di Repubblica e Repubblica.it; si attendono con trepidazione le celebrazioni in campo RCS.
WHY (Perché): se non dispiace riporto integralmente la nota dell’editore alla bibbia narducciana.
Il testo che pubblichiamo ripercorre la lunghissima requisitoria che il Pm
Giuseppe Narducci, insieme al collega Stefano Capuano, ha condotto al termine
del processo di Napoli sulla vicenda Calciopoli. Quasi un record nella storia
giudiziaria italiana: circa 18 ore durante le quali i pubblici ministeri hanno
esposto la propria tesi e illustrato le prove che dovevano convincere il
giudice a scrivere una sentenza di condanna.
Abbiamo fatto questa scelta ritenendo che quella offerta dall’accusatore (Pm
dell’investigazione con Narducci è stato Filippo Beatrice) sia la più
convincente ricostruzione della storia di un’indagine che, senza dubbio, ha
cambiato il calcio italiano. La nostra è una chiara scelta di campo, contro
ogni operazione mistificatoria o “revisionista”.
Esistono, infatti, ormai due provvedimenti di un giudice – quello del
giudizio abbreviato del Gup De Gregorio e quello della 9° Sezione del
Tribunale di Napoli – che, accogliendo in toto o solo in parte le
argomentazioni e le richieste dell’accusatore, ritengono che sia esistita
un’associazione per delinquere che ha operato nel mondo del calcio
professionistico italiano, in particolare durante il campionato di calcio di
serie A della stagione 2004/05 . Insomma, la vicenda Calciopoli non è stata il
frutto di un abbaglio degli investigatori e dei pubblici ministeri.
È opportuno però ribadire che le due sentenze non sono definitive e che
dovranno ancora svolgersi altri due gradi di giudizio. Sino a quel momento,
secondo la Costituzione italiana, gli imputati non possono essere considerati
colpevoli.
In appendice al testo, proprio per fornire un’informazione completa ed
obiettiva, pubblichiamo il dispositivo delle due sentenze con l’elenco preciso
degli imputati assolti e di quelli condannati. Infatti, non tutte le persone
accusate dai Pm sono state ritenute responsabili; in altri casi, il giudice ha
fatto una valutazione diversa sull’esistenza dei reati o delle prove.
Ma questa è la vicenda processuale e il giudizio sulla responsabilità penale.
Quello che vogliamo offrire al lettore sono soltanto i fatti e le circostanze,
i volti e le vicende della vera storia di Calciopoli.
Ghost Dog. Interessante tutto quello che hai scritto stamani. Il guaio è che tutti scrivono libri. Non so quanti libri vengono presentati ogni giorno in italia. Il libro scritto non per forza è fonte di “verità ”, ma è un pensiero libero di persone, a volte, “schierate” ed allora non è detto che narra il giusto! Leo
Anch’io ho appena finito di leggere il libro di Zampini (in contemporanea con quello di Narducci).
“Il gol di Muntari” coinvolge orgasmicamente, per il tifoso juventino.
“Calciopoli. La vera storia” è stato scritto ad uso e consumo dei giustizialisti anti-juventini con prosciutto sugli occhi, dita nelle orecchie e rutto libero.
Ed allo stesso modo non è affatto normale che un ex magistrato in aspettativa e prossimo all’esonero da assessore, stando alle veline, si possa permettere in Italia di fornire la sua versione dei fatti su Calciopoli senza essere minimamente attaccato dalla categoria dei giornalisti (sportivi e non) causa ricerca ostentata di visibilità e negazione dell’ovvio (The miseducation of journalism ovvero la tanto famigerata e mai più azzeccata “prostituzione intellettuale” mouriniana).
Ora, a parte il commento inattuabile di Gardner, è normale che giornalisti sportivi che scrivono ad esempio libri come “Nostra Signora del Dischetto” possano soltanto avvicinarsi alla parola Juventus e cercare di rimanere imparziali e/o impassibili? Piuttosto si dilettino con i libri per bambini dove hanno discreto successo ed abbandonino il giornalismo sportivo tout court.
Can fans be journalists and
can journalists be fans?
by PAUL GARDNER (WorldSoccer | June 2012)
I have always believed – and as far as my 52-year sportswriting career goes,
I do mean always – that it is a basic requirement of a sports journalist that
the writer must not be a fan of a particular club. Or of a particular country,
for that matter. But it is something that I’ve been wondering about for quite
a while now, trying to make up my mind whether or not I’m a prisoner to a
way of thinking that has simply had its day.
Lately, I find what seems to me an increasing number of top writers whom I
know and respect who openly sing of their love for a club. One (an American)
has written of how he felt he needed a club to support if he was going to be a
soccer writer and how he set about choosing one. Another (also American)
writes his stories openly – and often brilliantly – from the point of view of
his beloved club.
I have always been aware of a difficulty with my argument. Namely, that
most football writers – probably all of us – got involved in the sport first as
a fan. And those boyhood loves die hard. Likely, they can never be erased,
but I’ve maintained that it is the task of a professional to move on, to take
a more detached view of the sport. To appreciate the essence of fandom –
and why not, when it has been experienced? – but to resist the bias that
inevitably accompanies it.
The warning “no cheering in the press box” dates back as far as I can
remember, indicating that misplaced fandom has been a problem for a long
time.
For sure, Nick Hornby’s novel Fever Pitch did a superb job of capturing the
sweetness and sorrow of being a fan, the way that the experience can come
to rule a life. But it did more. It brutally exposed the unacceptable tace of
fandom: its hollowness, its lack of logic, the ultimate silliness of intelligent
people coming to believe that just because a group of men wear shirts of a
particular colour somehow means that they always have right on their side.
None of that is to be belittled, because trifting and witless experiences are
a vital part of ordinary life, and they are frequently its most enjoyable
part. But a football writer must take his chosen subject seriously. I don’t
mean sombrely; I mean that he must be able to resist the temptation to
form judgments based on shirt colours.
When he watches and analyses a game he must see 22 players, not just 11,
and must apply the same judgments to each one.
I do not see any other way of becoming an expert – and sports journalists
are supposed to be experts, no? Well, maybe. Again, the seeds of doubt
threaten. The very concept of objectivity is under fire as being an impossible
conceit. The internet is now bristling with blogs from fans. One soccer
website features dozens of stories openly headlined as having been written
by fans. If sports journalism is merely to reflect what fans feel, then I see
little future for it – not least because journalists expect to be paid for their
work, fans do not.
Yet it remains my belief that sports journalists should not be fans. Fans
of the sport itself, or of a certain way of playing it, yes – that is fandom
based on reason, fandom without the suffocating emotional involvement
of club fandom.
I am also aware that the image of a sports journalist that I am outlining may
not sound greatly appealing – he sounds too calm, too objective, too clever,
something of a snob looking down on, and patiently putting up with, the
childish amusements of the masses. A prig, in other words. But it should
not be difficult for football writers to avoid that tag as they work close to the
enthusiasm at the grass-roots level. The necessity, I believe, is to avoid
being influenced by its skewed judgment values. But l’m no longer sure that
is a generally held opinion.
Per carità , le patenti di juventinità sono sempre antipatiche e ne so qualcosa. Ma, esempio striminzito, non c’è juventino al mondo che ritenga l’occultamento delle telefonate atto non meritevole di indignazione e profondamente ingiusto, anche se possono variare le motivazioni. L’unico al mondo è Travaglio. Per lui definirsi juventino è un modo per dare ancora più credibilità alle sue tesi. Un allucinogeno.
Certo che mi tengo la Juve unità di misura di tutto, finché durerà sarà Juve.
Mi stoppo, ho già troppo invaso questo spazio. Grazie a lei.
Riccardo Ric, non contesto la sua opinione su Travaglio: ci mancherebbe, libertà di pensiero. Contesto coloro che dicono che, per la posizione assunta, Travaglio non è juventino. Solo questo. E si tanga cara la Juventus unità di misura di tutto, finché dura… Grazie dello scambio di idee.
e non mi venga a dire che se si sostituisse Buffon con Julio Cesar scriverei cose diverse, con me non attacca….
E’ Travaglio, come tanti altri suoi colleghi, che scriverebbe cose diverse, o forse nemmeno ne scriverebbe…..
Ed anche lei Beck, sa che è così…
vero Beck, ma dare della puttana alla Juventus è sport nazionale. Fino a quando erano solo schermaglie tra tifosi era divertente, ma che al gioco al massacro, strumentale, ora partecipino anche firme famose alla Travaglio è insopportabile. Travaglio oramai ne fa questione ideologica, non va bene. Sfrutta la vicenda giudiziaria per portare avanti la sua battaglia di sostegno alle Procure. Allora chiariamoci, è “solo calcio” od è vicenda che investe anche temi più importanti? Se Travaglio se ne occupa è la seconda, e se è la seconda ribadisco che il giustizialismo alla mi fa paura, come mi fa paura la sua capacità ( perchè capace è capace) di alterare la realtà . ( ed accostare Buffon/scommesse, allo stato dei fatti E’ travisare la realtà )Travaglio è un allucinogeno potente.