Qui si parla di libri. Il titolo l’ho rubacchiato a Umberto Eco e al suo “Costruire il nemico”. Libri di avventura, di amore, di sport, di calcio, di calci. Cronache di storie e storie di cronache. Nessun genere è pre-cluso o post-cluso. I libri sono mondi che ci rendono grandi o piccoli in base a come li navighiamo.
Chi comincia?
@Riccardo Ric
No, sono sempre io. Dopo la figuraccia dei commentatori della ARD con Balotelli e Cassano intendevo cambiare nick. Sembra che il blog moderi la parola “naughty”.
@ gost dog
ma siete parenti?
Scusate per il doppio post.
Tra Ghost Dog e Naughty Dog sembra che il blog faccia differenza: modera solo in presenza di parolacce straniere?
Le opinioni
LODE AI BRAVI
GIORNALISTI SPORTIVI
Anche se scrivono solo di partite di calcio, i giornalisti
sportivi britannici sono più efficienti e professionali dei
loro colleghi. La loro qualità più apprezzata è la velocità
di DAVID RANDALL, senior editor del settimanale INDEPENDENT
ON SUNDAY di Londra (INTERNAZIONALE 955 | 29 GIUGNO 2012)
Quasi tutti i settori hanno le loro misteriose gerarchie interne, per cui
persone che prendono lo stesso stipendio e hanno la stessa età, per motivi che
dall’esterno non sembrano chiari, hanno uno status sociale diverso. Questa
curiosa gerarchia la troviamo anche nel giornalismo, dove i cronisti politici
e i corrispondenti dall’estero, per esempio, godono di un prestigio che i loro
colleghi esperti di sport (e in particolare di calcio) non hanno. Forse questo
potrà sembrare strano ai milioni di persone convinte che essere ben pagati e
spesati per seguire gli Europei di calcio sia il massimo.
E in effetti lo è, ma il giornalismo sportivo non è una cosa seria. E perciò,
senza il prestigio che conferisce raccontare le guerre, la politica e le crisi
finanziarie, nell’ambiente è considerato frivolo, cosa su cui i giornalisti
sportivi scherzano volentieri. Spesso si definiscono “i ragazzi in fondo
all’autobus”, immagine che evoca un ipotetico viaggio in pullman dei redattori
di un giornale in cui i cronisti politici e i corrispondenti discutono di cose
serie nelle prime file, mentre in fondo i ragazzi del calcio se la spassano
bevendo birra e facendo gestacci alle auto che li seguono.
Eppure, anche se scrivono solo di partite, i cronisti sportivi britannici
sono più efficienti e professionali di qualsiasi altra categoria di
giornalisti. La loro qualità più apprezzata è la velocità. In Gran Bretagna le
partite di calcio di solito si giocano di sabato pomeriggio. Quando questo
sport cominciò a diventare popolare, verso la fine dell’ottocento, in tutte le
grandi città di provincia nacquero giornali chiamati football specials, che
riportavano i risultati e le cronache, e si vantavano di essere in edicola
un’ora dopo la fine delle partite. Per far arrivare più in fretta i loro
articoli, i cronisti sportivi avevano in dotazione un cesto di piccioni
viaggiatori. Scrivevano le loro cronache a puntate su fogli di carta velina e
li legavano alle zampe dei piccioni, che volavano alla redazione del giornale,
dove era stato creato un ufficio speciale sul tetto per riceverli. Incredibile,
ma vero.
Con il passare del tempo i telefoni hanno sostituito i piccioni e, alla fine
degli anni settanta, quando lavoravo nella redazione sportiva di un giornale
della domenica, il sistema per far arrivare le cronache sportive era ben
rodato. Le partite finivano alle 16.50 e il pezzo doveva essere in redazione
alle 17.05. Scrivere circa 600 parole in 15 minuti non è facile, così le prime
200 venivano dettate al telefono durante l’intervallo, le seconde 200 al 75°
minuto, e le ultime 200 (divise in 100 di introduzione e cento di conclusioni)
alla fine della partita. Era un ottimo modo non solo per imparare a
strutturare un articolo, ma anche per scrivere cose che non potessero essere
smentite da quello che sarebbe successo dopo (come, per esempio, un paio di
gol all’ultimo minuto). I computer portatili e internet hanno reso tutto più
facile, ma non hanno cambiato molto la situazione. Quello che invece ha
influito di più è stata la tv e tutti i soldi che ha portato con sé.
Nell’entusiasmo del momento i cronisti di calcio descrivono quello che succede
sapendo che i loro lettori, grazie ai replay al rallentatore da tutte le
angolature, sicuramente avranno visto più dettagli. Una sensazione che gli
altri cronisti non conoscono.
Probabilmente è questo che ha prodotto la deprimente tendenza del giornalismo
sportivo di oggi a sprecare più parole per le cose dette dopo la partita che
per le cose successe in campo. Come ha detto una volta un mio collega: il peso
dato alle interviste del dopopartita è talmente esagerato che molti
giornalisti sportivi potrebbero continuare a fare il loro lavoro anche se
diventassero ciechi. Le conferenze stampa in cui si raccolgono perle di
saggezza sembrano un passo avanti rispetto ai tentativi del passato di
strappare un commento a un commissario tecnico o a un giocatore mentre
lasciava lo stadio, ma in realtà non è così. Prima i singoli giornalisti
potevano avvicinarsi a un tecnico o a un giocatore, farci amicizia e passare
memorabili serate insieme, mentre oggi esistono solo gli agenti e le
dichiarazioni accuratamente preparate. Tutto questo fa parte dell’attuale
gestione del calcio e riflette il fatto che i giocatori un tempo guadagnavano
più o meno quanto i giornalisti che scrivevano di loro, mentre oggi dal punto
di vista economico vivono su un altro pianeta. E poi c’è Twitter, che non solo
fornisce una serie ininterrotta di notiziole (di solito scritte da curatori di
immagine) ma fa anche lavorare di più i giornalisti, alcuni dei quali sono
costretti a twittare una trentina di volte durante una partita.
Eppure, dato che vivono in questo mondo magico e si occupano di cose che, nel
quadro generale della realtà, non sono poi troppo importanti, i cronisti
sportivi possono essere molto più creativi di altri reporter. È per questo che
li leggiamo, che il loro lavoro attira le penne migliori e che gli articoli
sportivi sono raccolti in antologie e continuano a essere letti anche a
distanza di decenni.
Le opinioni
LODE AI BRAVI
GIORNALISTI SPORTIVI
Anche se scrivono solo di partite di calcio, i giornalisti
sportivi britannici sono più efficienti e professionali dei
loro colleghi. La loro qualità più apprezzata è la velocità
DI DAVID RANDALL SENIOR EDITOR DEL SETTIMANALE INDEPENDENT
ON SUNDAY DI LONDRA (INTERNAZIONALE 955 | 29 GIUGNO 2012)
Quasi tutti i settori hanno le loro misteriose gerarchie interne, per cui
persone che prendono lo stesso stipendio e hanno la stessa età, per motivi
che dall’esterno non sembrano chiari, hanno uno status sociale diverso.
Questa curiosa gerarchia la troviamo anche nel giornalismo, dove i cronisti
politici e i corrispondenti dall’estero, per esempio, godono di un prestigio che i
loro colleghi esperti di sport (e in particolare di calcio) non hanno. Forse questo
potrà sembrare strano ai milioni di persone convinte che essere ben pagati e
spesati per seguire gli Europei di calcio sia il massimo.
E in effetti lo è, ma il giornalismo sportivo non è una cosa seria. E perciò,
senza il prestigio che conferisce raccontare le guerre, la politica e le crisi
finanziarie, nell’ambiente è considerato frivolo, cosa su cui i giornalisti
sportivi scherzano volentieri. Spesso si definiscono “i ragazzi in fondo
all’autobus”, immagine che evoca un ipotetico viaggio in pullman dei
redattori di un giornale in cui i cronisti politici e i corrispondenti discutono
di cose serie nelle prime file, mentre in fondo i ragazzi del calcio se la
spassano bevendo birra e facendo gestacci alle auto che li
seguono.
Eppure, anche se scrivono solo di partite, i cronisti sportivi britannici
sono più efficienti e professionali di qualsiasi altra categoria di
giornalisti. La loro qualità più apprezzata è la velocità. In Gran Bretagna le
partite di calcio di solito si giocano di sabato pomeriggio. Quando questo
sport cominciò a diventare popolare, verso la fine dell’ottocento, in tutte le
grandi città di provincia nacquero giornali chiamati football specials, che
riportavano i risultati e le cronache, e si vantavano di essere in edicola
un’ora dopo la fine delle partite. Per far arrivare più in fretta i loro
articoli, i cronisti sportivi avevano in dotazione un cesto di piccioni
viaggiatori. Scrivevano le loro cronache a puntate su fogli di carta velina e
li legavano alle zampe dei piccioni, che volavano alla redazione del giornale,
dove era stato creato un ufficio speciale sul tetto per riceverli. Incredibile,
ma vero.
Con il passare del tempo i telefoni hanno sostituito i piccioni e, alla fine
degli anni settanta, quando lavoravo nella redazione sportiva di un giornale
della domenica, il sistema per far arrivare le cronache sportive era ben
rodato. Le partite finivano alle 16.50 e il pezzo doveva essere in redazione
alle 17.05. Scrivere circa 600 parole in 15 minuti non è facile, così le prime
200 venivano dettate al telefono durante l’intervallo, le seconde 200 al 75°
minuto, e le ultime 200 (divise in 100 di introduzione e cento di conclusioni)
alla fine della partita. Era un ottimo modo non solo per imparare a
strutturare un articolo, ma anche per scrivere cose che non potessero essere
smentite da quello che sarebbe successo dopo (come, per esempio, un paio
di gol all’ultimo minuto). I computer portatili e internet hanno reso tutto più
facile, ma non hanno cambiato molto la situazione. Quello che invece ha
influito di più è stata la tv e tutti i soldi che ha portato con sé.
Nell’entusiasmo del momento i cronisti di calcio descrivono quello che
succede sapendo che i loro lettori, grazie ai replay al rallentatore da tutte
le angolature, sicuramente avranno visto più dettagli. Una sensazione che
gli altri cronisti non conoscono.
Probabilmente è questo che ha prodotto la deprimente tendenza del
giornalismo sportivo di oggi a sprecare più parole per le cose dette dopo la
partita che per le cose successe in campo. Come ha detto una volta un mio
collega: il peso dato alle interviste del dopopartita è talmente esagerato
che molti giornalisti sportivi potrebbero continuare a fare il loro lavoro
anche se diventassero ciechi. Le conferenze stampa in cui si raccolgono
perle di saggezza sembrano un passo avanti rispetto ai tentativi del
passato di strappare un commento a un commissario tecnico o a un
giocatore mentre lasciava lo stadio, ma in realtà non è così. Prima i singoli
giornalisti potevano avvicinarsi a un tecnico o a un giocatore, farci amicizia e
passare memorabili serate insieme, mentre oggi esistono solo gli agenti e
le dichiarazioni accuratamente preparate. Tutto questo fa parte dell’attuale
gestione del calcio e riflette il fatto che i giocatori un tempo guadagnavano
più o meno quanto i giornalisti che scrivevano di loro, mentre oggi dal punto
di vista economico vivono su un altro pianeta. E poi c’è Twitter, che non solo
fornisce una serie ininterrotta di notiziole (di solito scritte da curatori di
immagine) ma fa anche lavorare di più i giornalisti, alcuni dei quali sono
costretti a twittare una trentina di volte durante una partita.
Eppure, dato che vivono in questo mondo magico e si occupano di cose che,
nel quadro generale della realtà, non sono poi troppo importanti, i cronisti
sportivi possono essere molto più creativi di altri reporter. È per questo
che li leggiamo, che il loro lavoro attira le penne migliori e che gli articoli
sportivi sono raccolti in antologie e continuano a essere letti anche a
distanza di decenni.
@ Beck
per inciso: GS del 1982…….
Fierobianconero, buon giorno. Sulle mutande di Boniek lungi da me mettere in dubbio la credibilità del GS (conflitto d’interessi, non ne tenga conto). Caso Beha: vero, il libro uscì presso un editore di piccolo taglio, se non ricordo male. Io ne ho una copia. So per certo che gli inglesi lo lessero golosi, nella speranza di poter trovare qualcosa che permettesse loro di parlar male di noi, ma poi non ne fecero niente, delusi. Più in generale: uno dei tanti misteri d’Italia.
Lex, lei vuole provocarmi: ma se le partite le guardo ad audio zero, quante volte gliel’ho detto? Troppo verbose, le telecronache. E con la Rai, si rischia di appisolarsi.
Beck qui c’è un articolo di Grasso sui telecronisti Rai e il linguaggio (http://www.corriere.it/spettacoli/12_giugno_28/a-fil-di-rete-quelle-telecamere-orfane-di-martellini_e8b458aa-c0de-11e1-a4a5-279d925cad5b.shtml). Tu li hai conosciuti?
@ Beck
nell’estate del 1979 ci fu un’amichevole a baires tra resto del mondo e l’argentina. Tra i giocatori invitati nel resto del mondo c’era anche boniek il quale, da buon polacco costretto dalla cortina di ferro, nascose l’ingaggio (in dollari) nelle mutande. Notizia riportata dal GS, qualche anno dopo, a commento dell’acqusto del polacco da parte della juve.
In quanto al camerun, non so se Beha abbia ragione, fatto sta che nessun editore volle mai pubblicare quella inchiesta.