Qui si parla di libri. Il titolo l’ho rubacchiato a Umberto Eco e al suo “Costruire il nemico”. Libri di avventura, di amore, di sport, di calcio, di calci. Cronache di storie e storie di cronache. Nessun genere è pre-cluso o post-cluso. I libri sono mondi che ci rendono grandi o piccoli in base a come li navighiamo.
Chi comincia?
Mutandine di Chiffon – Carlo Fruttero-
Sicuramente lo avete già letto, chi non lo avesse fatto lo può fare tranquillamente, non se ne pentirà .
Aggiungo: non sono un grande lettore, ma qualsiasi cosa ho letto di questo uomo ( e di Lucentini) vale la pena.
La sfacciataggine, l’arroganza, la volgarità di Raiola, oltre che ad essere fedele specchio del nostro tempo, ci aiuta a fare luce sulla schifosa categoria dei procuratori, non pensate che gli altri sono meglio perchè più sobri educati e ben vestiti,,,,
Gosth, bell’articolo.
Esche vive. Fabio Genovesi. Ed. Mondadori.
“Quando arriva la grande occasione della vita devi farti trovare pronto, sul fosso, con l’esca giusta”.
Bellino bellino. Fiorenzo 19 anni, Tiziana 30 anni, Mirko 14 anni. Tre persone diverse che più non si può che si incrociano nel paese (inventato ma non troppo) di Muglione, nella bassa piatta pisana.
Letto, Lex. Grazie. Ma Raiola è tutto tranne che idiota…
Grazie della segnalazione, Ghost Dog.
Beck, mitico Aldo Grasso! : http://www.corriere.it/sport/12_luglio_22/il-manager-di-ibra-e-balotelli-grasso_25bc0ff4-d3c7-11e1-83bd-0877fdcd1621.shtml
@Lovre51
MM & GF scrivono bazzecole autoreferenziali, per giustificare l’ultimo anno di lavoro giornalistico.
Il testo di riferimento,finora, del calcioscommesse è “Calcio Mafia” di Declan Hill (anno 2008).
NON SI UCCIDE COSÌ ANCHE IL GIOCO DEL CALCIO?
Per Pasolini era l’ultima rappresentazione sacra, oggi
è diventato la variante più perniciosa del Pensiero Unico
ALTRO CHE SPORT
Un format planetario, la merce da rivendere ai
devoti di una fede totalmente secolarizzata
UN MODELLO CHE FA SCUOLA
Ormai anche Mentana conduce il tg con il ritmo
scalmanato di una telecronaca di Caressa
di MASSIMO RAFFAELI (LA STAMPA 22-07-2012)
A chi gli chiedeva della sua passione per il calcio, Pier Paolo Pasolini una
volta rispose in maniera spiazzante: «Il calcio è l’ultima rappresentazione
sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre
rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica
rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro».
Pasolini pronunciava queste parole nel 1970, solo pochi mesi prima di
iniziare sui giornali, solitario e largamente inascoltato, la sua battaglia
contro il neocapitalismo all’italiana in cui vedeva, come è noto, tanto i
segni del genocidio delle culture particolaristiche quanto l’omologazione
all’«universo orrendo» della società dei consumi. Se tuttavia salvava il
calcio, si può immaginare vi notasse i residui del ludus primordiale e la viva
permanenza dell’opera d’arte popolare.
Pasolini, ormai cinquantenne, era rimasto un tifoso, giocava ancora da ala
destra in accanitissime partite amatoriali e sempre rammentava il tempo della
sua giovinezza (a Bologna, nei prati di Caprara che la sua poesia avrebbe
immortalato) quando andava così forte che i compagni lo chiamavano
Stukas. Non era il primo dei nostri scrittori a struggersi e persino a delirare
per il calcio: Umberto Saba, Vittorio Sereni e Alfonso Gatto gli avevano giÃ
dedicato delle poesie, Mario Soldati alcuni memorabili racconti, Salvatore
Bruno un libro che equivale alla educazione sentimentale di un artista-tifoso
(L’allenatore ,1963, poi Baldini & Castoldi 2003) e Giovanni Arpino, anni dopo,
il romanzo Azzurro tenebra (1977, poi Rizzoli 2010) capace di tradurre la
disfatta della Nazionale italiana ai Mondiali tedeschi del ’74 nella allegoria
di quello che uno storico, Guido Crainz, avrebbe definito il Paese Mancato.
C’è di più: Pasolini aveva colto l’importanza e recepito il lessico della
critica calcistica propriamente detta, dialogando con Antonio Ghirelli e
specialmente con Gianni Brera che aveva sfidato sul suo stesso terreno,
in un celebre articolo uscito sul Giorno , immaginando una semiotica del gioco
dove i calciatori fossero «podemi» e lo sviluppo della partita, come succede
nel testo letterario, fosse determinato dalla prevalenza dei «lirici» oppure dei
«prosatori», che per lui corrispondevano idealmente a Gianni Rivera e a Luigi
Riva.
Ora, Pasolini non solo non poteva immaginare che l’estrema forma della
sacra rappresentazione si sarebbe per sempre dissacrata, anzi sconciata in
effigie, la notte dell’Heysel (cui lo scrittore belga Pol Vandromme dedicherÃ
il bellissimo, dolente, Le gradinate dell’Heysel, in uscita da Luca Sossella
editore), ma nemmeno poteva sospettare che proprio il calcio sarebbe
divenuto la conferma tangibile della sua nera profezia. Non più un gioco e
nemmeno uno sport, ma un format planetario, la merce per antonomasia da
rivendere ai devoti di una religione infera e peraltro totalmente secolarizzata:
nessuno infatti assocerebbe mai un Ibrahimovic al colore di una maglia
sempre avventizia e, meno che mai, alle funzioni di un «podema». Così
grande, invasivo e si direbbe ubiquitario è diventato il gioco del calcio da
impedire un’autentica oggettivazione e, di riflesso, una distanza critica.
Uno degli autori del nostro tempo, Henrique Vila-Matas, acerrimo tifoso del
Barcellona, ha dichiarato tempo fa che il calcio è una realtà autocentrata, un
fenomeno auto-evidente, e che pertanto raccontarlo non è più possibile.
Trattandosi di una narrazione perfettamente autonoma e unilaterale, non è
un caso che grandi cantori del calcio come Osvaldo Soriano e Eduardo
Galeano guardino per lo più al passato e che al passato volentieri si rivolgano,
per non essere accecati o ammutoliti, i medesimi scrittori italiani, da Carlo
D’Amicis a Darwin Pastorin, da Giuseppe Culicchia al poeta Fernando Acitelli.
Lo stesso giornalismo specializzato, pure in presenza di alcune notevoli
eccezioni, tende alla parafrasi, cioè a chiudersi nello stretto orizzonte
della disamina agonistica e della valutazione puramente tecnica.
Se il calcio è divenuto una variante del Pensiero Unico, talora la più
perniciosa e asfissiante, è perché si è indebolito e via via è venuto meno
un pensiero critico all’altezza della sua esorbitanza. Per fare un minimo
esempio e per scendere un attimo sulla terra: se si ritiene normale, oramai,
il fatto che Enrico Mentana conduca il Tg della 7 con il pathos e il ritmo
scalmanato con cui Fabio Caressa racconta o presume le partite di calcio
su Sky, dovremmo intanto cominciare a domandarcene il perché.
Lex,ti consiglio:Lo zingaro e lo scarafaggio(Foschini Mensurati) ma lo consiglio a tutti per far capire chi difendiamo….
:-)))))))))))) Primario Roberto. Scrivi così poco su questo blog che hai perso l’abitudine e fai pasticci…….