Dominati

Roberto Beccantini22 ottobre 2024

Dall’impresa di Lipsia alla lezione dello Stoccarda. Pressing, triangoli, il calcio nella sua fragranza più semplice e dinamica. Decimo in Bundesliga e reduce dallo 0-4 bavarese: non marziani, ma squadra. Sempre. L’1-0 è bugiardo. Senza un palo, senza le parate di Perin (almeno cinque, compreso il rigore di Millot), e una rete di Undav «varizzata» da un braccio, sarebbe finita di goleada. Anche se, per ironia della sorte, il guizzo di El Bilal Touré, splendido, è arrivato «solo» al 93’, dopo il rosso a Danilo; e dopo che Madama aveva dato segni di vita. El Bilal, scuola Gasp.

Per carità, gli infortuni (e lo scrivo da «giocatorista»): tutti pezzi grossi (ma pure i tedeschi avevano i loro cerotti). Restano, in sequenza, gli zero tiri nello specchio – non esattamente una novità – il senza voto a Nubel e l’8 a Perin. Per Motta, prima sconfitta stagionale. E una carenza in fase costruttiva così capillare e plateale che continua a penalizzare un attacco già di per sé non esplosivo. Vlahovic, che non avrei tolto comunque, è l’unica punta-punta e, in attesa di Milik, non ha vice. Ha chiuso, Madama, con Yildiz (2005) e Adzic (2006). Il turco si è perso, il montenegrino va atteso. Allargando il discorso, la panca di Cambiaso mi ha sorpreso, per quanto all’orizzonte si profilino i cannoni dell’Inter. Ma sono dettagli.

Lo Stoccarda di Hoeness correva e giocava, la Juventus annaspava: piatta, pachidermica, orfana persino di un Douglas Luiz cui aggrapparsi. Mancava la fantasia, mancava la garra. Savona e Conceiçao affettati da Mittlestadt e Leweling (un po’ meglio con l’ingresso di Cambiaso e Weah), Millot signore del dribbling (a proposito di gesti tecnici), Thuram (il meno peggio, forse), Fagioli e quindi Locatelli sistematicamente disarmati. E, per capitan Danilo, non una gran serata. Aggredita e sballottata sin dall’inizio: la peggior Juventus della stagione.
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Serenata al corto muso

Roberto Beccantini20 ottobre 2024

E’ stato il trionfo dei corti musi: 1-0 il Milan in dieci all’Udinese, 1-0 la Juventus alla Lazio in dieci, 1-0 il Napoli a Empoli su rigorino, 1-0 l’Inter all’Olimpico. I campioni chiudevano la domenica. L’ha decisa Lautaro, in contropiede, dopo una «fotta» di Zalewski a monte e una svirgolata di Celik a valle. Migliori in campo, Svilar e Thuram: tanto per fissare i confini.

Gli infortuni di Calhanoglu (al 12’) e Acerbi (al 27’) hanno condizionato le mosse di Inzaghino. Avvio trascinante dei campioni, con rischio rosso di Cristante su Thuram, poi autopalo di Sommer, traversa di Mkhitaryan ed equilibrio soffuso, ispido, in balia degli episodi (ma va?) e degli errori (un sacco, più di qua che di là). Tornava Barella: così così. Rientrava Dybala. Terzino su Bastoni. Non una grande idea, Juric, (mi consenta, avrebbe detto «lui»). In generale, sera più di lotta che di governo, con la Lupa a ruminare calcio (e sollevare un po’ di polvere finché non è scoppiato Angelino) e gli avversari ad aspettare l’attimo «arrivante» (il «fuggente» interessa poco).

Dovbyk avrebbe meritato ben altre munizioni, mentre i Pisilli e i Soulé non hanno fornito le «bombole» sperate; dell’argentino, a ogni buon conto, l’ultimo tiro, smorzato da Sommer. Al 94’, però. In precedenza, lanciati nello spazio, Dumfries e c. avrebbero potuto dilagare.

Sarà stata la sosta delle Nazionali. Saranno gli incidenti, «live» e settimanali. Dimarco non ne aveva, la mossa Correa ha spiazzato i pensanti-bene. Rimane, dell’Inter, la facilità di andare al tiro. Comunque e dovunque: al di là delle sofferenze, degli alti e bassi. Ritorno sulla posizione della Joya. Rincorreva Bastoni che, in un dribbling, lo ha addirittura «scherzato». Che belli, i sorrisi a corredo. Fosse capitato a Omar…

L’Europa chiama a raccolta. Domenica alle 18, Inter-Juventus. L’ennesima puntata della Grande Saga.

Gila la ruota

Roberto Beccantini19 ottobre 2024

La rava e la fava. Le lavagne e le lagne. L’intensità e lo spazio. Il pressing e le marcature preventive. Poi, all’85’, cross di Cabal e autogol di Gila. Per cui: Juventus-Lazio 1-0. E allora rifaccio il cappello, almeno quello. Madama era decimata, l’Aquila no (Lazzari a parte), ma già dal 24’ era rimasta in dieci: rosso varista a Romagnoli, per fallo da ultimo uomo su Kalulu, smarcato da Vlahovic (mi è piaciuto).

Come non ricordare che, sotto di un uomo, la squadra di Thiago aveva ribaltato il Lipsia, a Lipsia, da 1-2 a 3-2? Infatti: chi se lo scorda. Viceversa, sopra di uno, e per giunta in casa, stava per essere imprigionata da un avversario plasmato da Baroni con acume e personalità.

La disparità numerica ha spinto il copione verso il senso unico; e il senso unico, verso la più barbosa delle partite barbose. Specialmente nel primo tempo, solcato – sul piano delle occasioni – dalla miseria di un blitz di Thuram e una zampata di Gatti. Tiri nello specchio, zero.

L’allenatore serve più alla fase difensiva che non alla manovra d’attacco: dalla cintola in su, urgono dribbling, audacia, rifiniture al bacio. In parole povere: giocatori. Che Madama non aveva. Era tutto un ribollir di passaggetti, da Yildiz a capitan Cambiaso, da Locatelli a Thuram. La Lazio se ne stava lì, alle corde, rannicchiata ma non imbavagliata. Alla distanza, ha pagato. Hanno ceduto i pilastri – Guendouzi e Tavares, per esempio – e i «mottiani» hanno preso campo e persino spicchi d’area. Traversa di Vlahovic, scempio aereo di Douglas, pugni di Provedel su lecche del serbo, di Fagioli e di Adzic (18 anni, talentino del Montenegro). Dalla panchina, Thiago aveva estratto ciò che poteva, idem Baroni (anche un certo Pedro, però). E così, alla fine, ci si dimena fra iella e chiappe, legno e harakiri, Perché il calcio, a volte, cede alle serenate di Coverciano ma poi scappa in motel con l’episodio.