‘Sti rigorini… E poi samba

Roberto Beccantini24 novembre 2022

Diario mondiale, quarta puntata. In un calcio normale, mai nella vita avrebbero concesso a Cristiano quel rigorino lì (uno sceriffo americano, poi). E nemmeno avrebbero sfilato, sempre a Cierre, una perla figlia di uno sfregamento troppo casto per eccitare la buon costume. Portogallo-Ghana 3-2 è stata metà processione e metà eruzione. Primo tempo, sbadigli e rosari. Secondo, artigli e arrembaggi. Dalla rete del marziano – a segno, mi dicono, in cinque fasi del Mondiale – al pareggio di A. Ayew, su doppia fotta di Cançelo e Danilo Pereira; dai contropiede di Joao Felix (uno dei peggiori) e Leao appena entrato sino alla zuccata di Bukari, appena entrato pure lui, e al quasi harakiri di Diogo Costa, roba che mi ha ricordato il ratto di Peirò al povero Lawrence in un Inter-Liverpool (3-0) d’antan. Non ho capito, sull’1-1, le sostituzioni di A. Ayew e Kudus. Il ct Addo avrà avuto le sue buone ragioni: lo spero per lui.

** Svizzera-Camerun 1-0. Un gol di Embolo ha spaccato equilibri quasi ieratici. Meglio Ekambi, Choupo-Moting e Anguissa in avvio, ma alla distanza gli «arrotini» di Yakin hanno preso campo e sfiorato più il raddoppio, bravo Onana, di quanto i rivali il pari.

** Uruguay-Corea del Sud 0-0. Il quarto del torneo, dopo Danimarca-Tunisia, Messico-Polonia e Marocco-Croazia. Un palo vecchio (Godin) e uno giovane (Valverde) dentro un «magazzino» di ordinato disordine. Più Kim (tutti, compreso il napoletano) che Son tra i coreani. La Celeste ha pagato le rughe di Suarez, le smanie di Darwin Nunez e le cicatrici di Cavani. In mezzo, piccoli sorsi di Bentancur e Valverde. Del quale, legno a parte, si celebra un gran recupero sulla tre-quarti: in scivolata, con piede a uncino e garra al vento. Immagino gli occhi lucidi di Obdulio Varela, il capitano del Maracanazo.
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Sol corrente

Roberto Beccantini23 novembre 2022

Diario mondiale, terza puntata. Dopo l’Argentina, la Germania (con la bocca tappata per protesta contro la fifa della Fifa): da 1-0 a 1-2. La storia, cari Pazienti, la storia. I giapponesi non sono forse quelli che, sordi agli ordini imperiali, continuarono a combattere la guerra, asserragliati nelle selve oscure delle loro isole, una guerra strapersa e strafinita? Ecco qua: sotto di un gol (rigore di Gundogan), in balia del palleggio di Musiala e di una superiorità mortificante, salvati dai tuffi di Gonda, graziati da tiratori stranamente generosi, hanno continuato a lottare, a giocare. Il loro comandante, Moriyasu, ha chiamato rinforzi e li ha azzeccati, Flick no. Togliere il migliore in campo, a meno che non sia lui a chiederlo o lo scarto a reggerne il peso, non è mai una grande idea: e Musiala lo era stato.

Fin qui, la storia. Da qui, la storia rovesciata. I luterani che, d’improvviso, fanno mercato di occasioni, cedono alle tentazioni della partita in pugno, lasciano praterie dietro a Kimmich e Gundogan, costringono Rudiger a rattoppi volanti e stremanti. Sino ai gol di Doan, su azione, e di Asano, su lancio lungo: che controllo in corsa, e che botta. Con la complicità, forse, dell’eroico Neuer. Non ci avevano abituato così.

La sentenza Bosman del 15 dicembre 1995 ha aperto l’Europa e poi il mondo a tutti, in una sorta di Erasmus calcistico che permette ai giapponesi, per esempio, di «studiare» in Germania. Che poi i procuratori, entrati pesciolini, ne siano usciti squali, è un’altra storia. Rimane il messaggio. Fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza. Basta applicarsi. E in un torneo corto come questo – nella fase a gironi, in particolare – molto può succedere. E’ successo. Con Messi, con Thomas Muller. «Avete tentato, avete fallito. Non importa.
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Il «tiè» nel deserto

Roberto Beccantini22 novembre 2022

Diario mondiale, seconda puntata. Che figura: do l’Argentina favorita e subito patatrac. Da 1-0 a 1-2 con l’Arabia Saudita (ed Esaudita, almeno nei desideri). Dieci minuti, e il rigorino di Messi sembrava già una sentenza, non solo un indizio. Col cavolo. In avvio di ripresa, la squadra di Scaloni ha rallentato e si è distratta. Pensava, forse, di avere il destino in tasca. Nel giro di cinque minuti, dal 48’ al 53’, ha così incassato i gol di Al Shehri e Al Dawsari (molto bello, questo). Richiamata dalla siesta, non è stata più capace di domare stupore e frenesia. Ha creato mischie, occasioni, ma nulla di clamorosamente letale.

Leo sbocconcellava i ricordi – che, beninteso, a noi bipedi normali sembreranno sempre fette di torta – il più vivace era Di Maria (a livello di 6, però). Non il Papu. Non de Paul. E meno che mai Paredes, vedetta che gridava vendetta. L’allenatore degli arabi è un francese, Hervé Renard (in italiano, volpe). Ha il pallino dell’organizzazione, del pressing «mediano» e dell’eclettismo tattico. Per un tempo, li ha mandati tutti al manicomio con un fuorigioco che pendeva addirittura dal cornicione della metà campo. Alla Zeman di Foggia. Avete presente Lau-Toro? Scomparso per frustrazione. Poi, ribaltato lo scarto, la Volpe è passata dalla trappola dell’off-side a un catenaccio fiero e randellante, al limite dell’area. Resistere, resistere, resistere. A Scaloni un solo appunto: la carenza di lettura. Possibile che ignorasse come gli avversari avrebbero cercato di disinnescare le sue mine?

Veniva, l’Argentina, da una striscia di 36 partite utili, fra le quali l’1-0 al Brasile che, nel 2021, le aveva garantito l’ultima Coppa America. Un flop omerico. Al debutto in Russia, quattro anni fa, aveva dovuto patteggiare con l’Islanda: 1-1.
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