De punizionibus

Roberto Beccantini31 agosto 2022

Si gioca ogni tre giorni, la Fiorentina incombe e, subito dopo, tutti a Parigi. Mancavano fior di titolari e Paredes era (ancora) in tribuna. Non solo: una Viola piatta e faticosa (con la testa già a Madama?) ha perso a Udine, il «Sarri ball» si è impantanato nelle paludi doriane, il Napoli ha pareggiato in casa con il Lecce, il Milan (martedì) al Mapei con il Sassuolo: il fenomeno è generale.

Accontentarsi del risultato, altro non resta. E dei gol, soprattutto. Il primo, troppo presto: ancora di Vlahovic, ancora su punizione. Due su due alla Stephen Curry, tra Roma e Spezia, dopo anni e anni di carestia balistica. Il secondo, alla fine, di Milik: in girata, da centravanti qual è, su invito di Miretti, imposto all’allenatore, come Gatti (in gamba), dall’allenatore.

In mezzo, fischi e flebo di oppio. Cuadrado in versione «cuore con la q»; centrocampo arido; incursione delle mezzali, rare; tiri in porta, zero; Kean a sinistra, un imbuto; la paperella e l’infortunio di Szczesny. Allegri predicava «halma»; Gotti, che ha studiato con Sarri a Londra, spingeva lo Spezia – privo del faro, Ekdal, e di Verde, la spada più affilata – a uscire dal gesso psicologico, a osare. Non ricordo occasioni, ma periodi in cui Madama dormicchiava al limite delle proprie tende, sì.

Gatti è uno stopper che ne ha affiancato un altro, Bremer. Due, dunque. Più attenti a ostruire che non a costruire, come viceversa esige il calcio moderno. Tra i cambi, Max si è giocato Di Maria e Kostic. Al di là del senza voto a Perin, il problema numero uno rimane la rampa di lancio. Là dove si dovrebbe pensare rapido, toccare veloce e, attraverso gli smarcamenti, suggerire i passaggi. In profondità, possibilmente. Miretti, ecco.

Vlahovic ci ha provato anche di testa (che riflessi, Dragowski), solo contro tutti. E da fermo, per ora, il più bravo.

Il contropiede dei ricchi

Roberto Beccantini30 agosto 2022

E così sono 100, i gol di Paulo Dybala in serie A: 16 con il Palermo, 82 con la Juventus, 2 con la Roma, freschi freschi. Il primo, dopo un controllo di coscia, una corsetta e un sinistro dei suoi, alla Omar. Il secondo in caduta, quasi di punta, Laocoonte attorcigliato a un serpente. In entrambi casi, su sponda e tiro di Abraham. E sempre in contropiede. All’Olimpico, con un Monza che, polo di troppe libertà, difende a metà campo. Figuriamoci se uno come Mourinho guarda al possesso palla. Si gioca ogni tre giorni e, con buona pace dei prestazionisti, lassù c’è la Roma e quaggiù una sera di ordinario travaglio. L’assenza di Zaniolo accentua gli appetiti della Joya, che palleggia sornione fra gli invitati per poi buttarsi, di soppiatto, sul buffet. Il 3-0 giunge nella ripresa, ed è un classico della biblioteca romanista: angolo di Pellegrini, capocciata di Ibanez.

In contropiede si diverte anche l’Inter. Da area ad area o giù di lì: con Correa, di tapin, e con Lau-Toro, di forza. In mezzo, la splendida volée di Barella, il migliore; e, agli sgoccioli, il destro pettinato di Okereke: 3-1. La Cremonese di Alvini (che si chiama Massimiliano, uhm) se la gioca come può e come sa. Non fa mucchio se non costretta. Non decide l’idea: decidono gli alluci. E non solo a San Siro: pure a Roma. Bikini difensivi a parte.

Il 22 maggio scorso, Sassuolo-Milan finì 0-3 in mezz’ora (honni soit qui mal y pense) e assegnò lo scudetto al Diavolo. Stavolta, 0-0. Il sesto della stagione. Dalle nuvole, Frossi farà la ola. Un solo brivido: il penalty che Maignan neutralizza a Berardi. Per il resto, classica partita-lavatrice: ti affacci all’oblò e scorgi un frenetico ribollir di panni. Per Pioli, due trasferte due pari. Non la fine del mondo: un segnale. La somma di mezze punte non sempre fa «la» punta. E Leao deve essere più pratico. Quando va via in dribbling, tutti in piedi. Bello, ma non basta.

Una svoltina?

Roberto Beccantini27 agosto 2022

Non sembrava di Allegri (dell’ultimo, almeno), la Juventus del primo tempo. Subito a segno con Vlahovic – su punizione, chapeau – aggressiva, coraggiosa, con Miretti mezzala, Locatelli in regia e Danilo centrale. Poco rugby, gran ritmo: e la Roma di Mou accerchiata, borseggiata in uscita, prigioniera. Smoccolante e isolato, era Abraham; non il serbo di Agnelli. Il raddoppio di Locatelli, splendido per azione e mira, era strameritato ma viziato da un braccino pendulo di Vlahovic che non sfuggiva al Var.

Prendete la Madama di Marassi e rovesciatela. Roba da Premier. Punto e a capo. La ripresa. Siamo in Italia e, dunque, non poteva non calare, la Juventus; e non poteva non crescere, la Roma. Ci metteva del suo José, con i cambi: Zalewski e, soprattutto, El Shaarawy. Non ho dimenticato Dybala. Tornava, applaudito, un po’ menato e un tuffo al cuore, sempre, per quello che è stato e per quello che non è andato. Immagino che proprio sereno non fosse, ha girato al largo, ma da una sua sforbiciata, su corner, è nato il pari di Abraham, una sgrullatina in uno spicchio di sentinelle dormienti. I corner. Sono stati l’arma della Lupa. L’unica. E su un altro, poco dopo, ci stava per scappare la frittatona, evitata in extremis da Milik, buttato dentro perché non si sa mai.

Sui duellanti gravavano infortuni eccellenti. Stringendo: di qua, è mancata la fantasia di Di Maria; di là, la cilindrata di Zaniolo. Bella per metà, l’ordalia si è consegnata a scaramucce di posizione, la Juventus cercava il bis con cautela, la Roma la rimonta con paura. Vlahovic? Abbandonato, adesso sì. Da Kostic mi sarei aspettato cross più affilati, da Pellegrini rammendi meno vaghi.

Più Juventus che Roma, nessun episodio su questo. E un messaggio: giocare in un certo modo si può. Sembravano fratelli, Max e Mou.