Ciao, portiere in gamba

Roberto Beccantini12 agosto 2022

Claudio Garella non era un portiere qualunque. Vinse due scudetti, il primo con il Verona e il secondo con il Napoli (di Diego Armando), e già questo è un dettaglio selettivo, significativo. Era nato a Torino, aveva 67 anni, l’ha tradito il cuore. E’ morto dimenticato, lui che negli Ottanta prese a calci il ruolo, non solo in senso metaforico.

Grande e grosso, sbocciato fra gli ultimi spiccioli di Zoff e l’epifania del Sacchismo, che considerava il portiere un intruso, diventò «Garellik» perché non apparteneva a nessuna scuola, o meglio: dal momento che gli avevano fatto una testa così con il fine che giustifica i mezzi, privilegiò la ragion di squadra all’estetica. A quei tempi, i suoi tempi, i piedi – per un portiere – erano necessari, non obbligatori. Cominciò a usarli come alternativa alle prese ortodosse, fedele a una vecchia massima cinese: «non importa di che colore sia il gatto, purché acchiappi i topi».

E allora: vai di gamba, sulla linea di porta ma anche più avanti, se all’orizzonte appariva, d’improvviso, un barbaro invasore. Tanto che, si mormora, l’idea di punire il fallo da ultimo uomo cominciò a serpeggiare anche per «merito» di quelle uscite alla kamikaze, un po’ alla Ghezzi e un po’ alla Rocco («Colpite tutto quel che si muove a pelo d’erba. Se è il pallone, meglio».

L’avvocato Agnelli lo definì «il miglior portiere senza mani». Una cosa così. E dopo uno 0-0 a Napoli, nella stagione magica dell’Hellas, le troppe coccole che Ameri gli aveva dedicato fecero sobbalzare l’Osvaldo: «Guardi che abbiamo attaccato anche noi».

Non ha anticipato Neuer, non ha anticipato né mode né modi. Le spanciate non ne hanno rigato la letteratura da pane e salame che, pur senza Nazionale, l’ha scortato e illustrato. Non era un fenomeno, non spingeva per farsi strada: respingeva. Malinconia canaglia.

Da un decesso all’altro

Roberto Beccantini14 giugno 2022

Argentina-Italia 3-0 chiuse un ciclo, Germania-Italia 5-2 ne riga un altro. Ripeto: si cresce anche così. Non c’è stata partita, a Moenchengladbach, se non in avvio e alla fine, sazi i tedeschi e noi a raccoglierne le briciole (Gnonto, Bastoni). Le giostre del Mancio, questa volta, hanno prodotto vuoti d’aria (e d’area). Mi sembrava che potesse essere la notte di Scamacca, invece no.

La Nations League è un circo di amichevoli stipato sotto un tendone d’enfasi. Si veniva da tre prestazioni dignitose (1-1 con la Germania, 2-1 all’Ungheria, 0-0 con gli inglesi), abbiamo capito che il viaggio sarà lungo. E tribolato. Flick, lui, è un tecnico che ha dato al Bayern più di quanto i tattical-chic non abbiano dato a lui. A Bologna aveva sbagliato gli esterni, impresentabili. Altra cilindrata, Hofmann e Raum. Poi Kimmich e Gundogan, padroni del centrocampo. E persino un Sané meno vago. Morale: gol di Kimmich, Gundogan (su rigore), Thomas Muller (la cui duttilità geografica mi ricorda Bettega) e doppietta di Werner. Tutta gente di mille battaglie, non già di caste scaramucce.

Con i piedi di Neuer a insegnare il mestiere agli alluci di Donnarumma. Con gli azzurri ben presto soverchiati nel ritmo, nelle idee e persino nel carattere, recuperato agli sgoccioli dagli avanzi di una mortificante batosta. Dal 4-3-3 al 3-4-3, «via» 3-5-2: gli schemi sono scatole, dipende da cosa c’è dentro. Continua la saga dei deb (Luiz Felipe, Caprari, Scalvini). Raspadori libero d’attacco non ha funzionato, anche perché le ali erano mozze; e le incursioni, scarne. Però che riflessi, Neuer.

Guerrieri non si nasce: si diventa. Ci si cruccia perché i club con i giovani non hanno coraggio, non escludo che si cominci a prendersela col ct perché ne ha troppo. Inghilterra-Ungheria 0-4 è un segno dei tempi non meno radicale. E comunque: se siamo fuori dal Mondiale, temo che non c’entrino «solo» le lavagne.

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Si cresce anche così

Roberto Beccantini11 giugno 2022

Si cresce anche così: senza segnare quando si potrebbe (Frattesi, Tonali: dico a voi), e rischiando solo in un caso quando si cala (lo scempio di Sterling). Nel deserto infantile di Wolverhampton, Inghilterra-Italia finisce così 0-0. Al tiro, dei nostri, va l’intero centrocampo, e Ramsdale in un paio di occasioni è prezioso, quasi mai però Scamacca, il centravanti designato. Il gol è un problema che ci accompagna dai rigori «svizzeri» di Jorginho. E che la Nations League sta confermando: contro i pesi massimi (tedeschi, inglesi) e contro i pesi medi (Ungheria).

Rimane la prestazione. Ordinata e spigliata per un tempo, e poi comunque in linea con le risorse e i limiti. La qualità di Gnonto, per esempio, prescinde dalla quantità: buon segno. E il battesimo di Gatti, ex muratore dal sapore torricelliano, ha ribadito il fiuto del Mancio. Abraham non è ancora Kane, ma il pupo se l’è cavata benone. Come Donnarumma, a patto che ci siano da usare le mani (la traversa di Mount) e non i piedi (pasticciaccio brutto sul Tammy romanista).

Non che i Maestri siano marziani. Però, insomma, certe partite non sono mai sfilate di belle gioie. Rice mi è parso padrone di terreni troppo vasti; e James, lui, gagliardamente murato da Dimarco. Da Grealish, in compenso, mi aspettavo dribbling in zone più calde.

E’ una squadra, la nostra, che ha ritrovato il sorriso del gioco. Non imbattibile, ma di nuovo sul pezzo; molto dipenderà da Pellegrini, il capo scout. L’ingresso di Kane non ha sabotato la trama: l’ha offerta, se mai, agli ultimi falò di un picnic ormai stanco. Si gioca ogni tre giorni e siamo a fine stagione.

Martedì, il circo fa tappa a Moenchengladbach: Germania-Italia, ancora. Per la cronaca, siamo sempre in testa al gruppo. Non so quanto pesi, ma nel Paese dei risultati un pochino conta. Scommettiamo?