Grazie

Roberto Beccantini10 aprile 2022

Pep è lezione; Jurgen, erezione. Nel senso che il calcio di Guardiola è armata che invade, il calcio di Klopp truppe che evadono. Era la partitissima della Premier, Manchester City-Liverpool. Due a due: De Bruyne (complice Matip), Diogo Jota, Gabriel Jesus, Mané. Si fosse trattato di un match di pugilato, avrei alzato il braccio del Pep. Di poco, ma il suo.

Credo che i Reds siano rimasti sorpresi dalla formazione degli avversari. Cito alla rinfusa: Foden, Bernardo Silva, De Bruyne, Sterling, Gabriel Jesus. La difesa ha sofferto i cambi-campo, il palleggio fitto, addirittura una punizione rapida, come quelle di una volta cancellate dal bieco spray, all’origine del primo gol.

Contro il City, tutti devono scendere a patti: anche Tuchel, pure Klopp. Non puoi pedinarli: non puoi, semplicemente, perché sono troppo bravi. Non ho mai visto Alexander-Arnold e Robertson così terzini. E, in mezzo, non è che Thiago, Fabinho e Henderson potessero pensare prima di fare (o quello che fare).

Cercava il contropiede, il Liverpool. E l’attacco per fraseggio, il City. Il pressing veniva calibrato, su un fronte e sull’altro, come se fosse un pacco di viveri. La cornice dell’Etihad era imponente. Joao Cançelo incrociava Salah, ed erano problemi: per il faraone. Mané faticava a uscire dalla cornice. Il livello globale era alto, la classica partita che mescola le sparatorie del western all’attesa che venga quell’attimo: non quel giorno, come da noi.

Alla ripresa, naturalmente, proprio Salah (gran tocco) e proprio Mané (gran tiro) siglavano il pari. La partita diventava un ring sul quale i pugili se le davano di santa ragione, anche quando sembravano alle corde o cotti dalla fatica. I cambi non aggiungevano, le ripartenze costituivano risorse preziose. Gli errori rendevano onore all’umanità dei protagonisti. Grazie. A De Bruyne e Van Dijk, soprattutto.

Ma sì

Roberto Beccantini9 aprile 2022

E’ un anno così, in cui il brodo fa tutto, è tutto. Sembrava, la Juventus, la «solita» Juventus. Con la testa ancora all’Inter, e all’ira funesta per certi episodi, subito bucata da uno spillo di Joao Pedro (su palla persa da Dybala e tocco di Marin). Gran gol. Era l’11’. La scossa l’ha spinta all’attacco. Non è facile aprire un catenaccio: chiedere, con tatto, al Pep anti-Cholo.

Il Cagliari si è chiuso a chiave. Mazzarri l’ha messa sul fisico, Allegri su quello che poteva, tra infortuni e squalifiche, su quello che sa (e sa che i suoi possono fare). Tutti avanti, a ritmo lento, a caccia di un lampo, di un pertugio. Una pioggerellina senza tuoni. Noiosa ma insistente.

Si giocava in una metà campo. Il pari di Luca Pellegrini veniva invalidato da un braccio di Rabiot. La Juventus era Cuadrado: regista occulto, impegnava Cragno, offriva a De Ligt la parabola dell’1-1, proprio agli sgoccioli del primo tempo. Vlahovic invocava munizioni, o almeno lo straccio di un cross, Lovato lo mordeva: letteralmente. L’Omarino rimediava a un incipit terrificante con piccoli numeri, mentre Zakaria e Arthur governavano la selva oscura del centrocampo.

Dybala: lo vorrei più avanti, che discorsi, ma poi chi, se non lui, può fornire a Vlahovic quell’assist lì per il 2-1? Era pronto Kean, Allegri stava per toglierlo. Aspettando, gli è andata bene. Molto british, il duello fra Bellanova e Pellegrini. Madama ha lasciato a Mazzarri e al suo tardivo avanti Savoia (Gaston Pereira, Keita Baldé) l’ultimo quarto d’ora. Se Vlahovic, nell’anticipare Altare, era stato «un attimino» fortunato, nessun dubbio che Madama abbia meritato la vittoria.

L’Inter, per concludere. Il colpo «gobbo» dello Stadium l’ha sbloccata. Gran primo tempo con il Verona (Barella, Dzeko), poi pilota automatico, con turbolenze serie ma gestibili.

Tu me fais tourner la tête

Roberto Beccantini6 aprile 2022

Triplete al Paris Saint-Qatar, triplete al Chelsea. Karim Benzema aggiunge vita agli anni e non anni alla vita (34, per la cronaca). Ha rimontato ed eliminato Pochettino. Ha messo in serio imbarazzo Tuchel. «Tu me fais tourner la tête», cantava Edith Piaf. Era l’andata dei quarti di Champions, grande partita a Stamford Bridge: Chelsea-Real 1-3. E due soli ammoniti, uno per parte.

Benzema, dunque. Di testa e di forza il primo, su cross di Vinicius in capo a un’azione disegnata da Picasso. Di testa e di biliardo il secondo, su parabola di Modric, un architetto che sembra Piano anche quando va piano. Di rapina il terzo, su regalo del portiere, Mendy, e concorso di Rudiger. Avete presente la gaffe di Donnarumma al Bernabeu? Moltiplicatela per tre.

Ho tracciato i confini. Dentro, un’ordalia salgariana con Christensen quasi terzino su Vinicius (non proprio il massimo), Valverde al posto di Asensio (bella idea, invece) e Casemiro perno del centrocampo: hic manebimus optime. La facevano i blu, la partita, anche perché Ancelotti, nato Sacchi e maritato Capello, ha capito che «il mondo non si è fermato mai un momento» (Jimmy Fontana).

Non trascuro i portieri: Courtois, paratona su Azpilicueta; Mendy, topica in avvio di ripresa, dopo che la zuccata di Havertz, su spioventino di un grigio Jorginho, aveva riaperto i giochi. Le correzioni di Tuchel non hanno sabotato la trama, l’hanno appena rigata.

Per alcuni, il centravanti è lo spazio; per altri, i padroni o i maestri di Benzema, lo spazio è il centravanti. Il Karim odierno è una cassa di esplosivo. Cristiano lo sovrastava, certo, ma molto gli ha insegnato. E questi sono i frutti. Letale al punto da permettersi di ciccare il gol più facile. Difficile trovare un
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