Serbo vostro

Roberto Beccantini26 febbraio 2022

Qual è la differenza fra Juventus-Empoli 0-1 ed Empoli-Juventus 2-3? Che discorsi: Dusan Vlahovic. Nel dettaglio: 7’, assist per Zakaria, murato da Vicario; 47’, gol di sinistro, dopo averne mandati due al bar, su recupero di Arthur e tocco di Cuadrado; 65’, contropiede di Morata, controllo di sinistro e lob di destro, al bacio; ultimi minuti, il corpo oltre gli ostacoli, i limiti, gli avversari, tutto , tutti. Magari con un altro allenatore ne segnerebbe quattro a partita, Allegri non può lamentarsi (e il serbo di Allegri? la butto lì…).

Il resto, senza offesa, mancia. Il solito «culetto» basso in fase di non possesso; le solite leggerezze in difesa, Szczesny compreso, punite dalla tigna di Zurkowski e La Mantia; il solito Andreazzoli propositivo e felice nei cambi, anche se l’ultima vittoria risale ormai a dicembre. Veniva da Vila-Real, Madama, e aveva fuori ben oltre mezza squadra (più Zakaria, scomparso in corso d’opera). Non era una trasferta facile. Questa volta, basta così. Tredicesimo risultato utile, otto vittorie e cinque pareggi. Guardare la vetta (a meno sette) lo trovo pretenzioso. Meglio concentrarsi sul quarto posto.

Mi riesce difficile parlare di calcio in questo clima di «Bellum et circenses», con l’Ucraina sotto assedio e l’Europa sotto sopra. Perdonatemi. L’ordalia del Castellani è stata divertente perché solcata da svarioni e ribaltoni, da un Bajrami calante e uno Zurkowski sempre al dente. Gli equilibri li ha spostati Vlahovic. Avrebbe vinto l’Empoli, a maglie invertite. Bella la cartuccia iniziale di Kean, di testa, su cross pettinato di Rabiot, un tipo strano: appena lo condanni, il destino si commuove. Arthur, lui, è un postino. E Locatelli è entrato con nerbo. Rimane il concetto base: chiusa l’era Cristiano (un ventello a stagione), è Vlahovic la trave che tiene su le pagliuzze che lo circondano.

Un lampo, poi le solite nuvole

Roberto Beccantini22 febbraio 2022

Nel pesare l’1-1 non si può e non si deve dimenticare che, con Allegri e Cristiano, la Juventus era uscita nei quarti con l’Ajax; con Sarri e Cristiano, negli ottavi con il Lione; con Pirlo e Cristiano, l’anno scorso, negli ottavi con il Porto. Certo, il lampo di Vlahovic – splendido: stop di petto e destro chirurgico (sì, destro!) su lancio di Danilo – avrebbe meritato un sostegno più efficace, più coraggioso, ma la Juventus è questa, questo il suo tecnico e questa la sua manodopera, da Cuadrado a De Sciglio.

Trentadue secondi: troppo presto. Favorito era, e rimane, il Villarreal. Ha strappato l’ultima Europa League al Manchester United, ha eliminato l’Atalanta: 2-2 in casa, 3-2 a Bergamo. Ripeto: a Bergamo. Occhio, dunque. Non è che non abbia attaccato, Madama, e non è che non abbia creato ingorghi pericolosi, ma in porta è tornata a tirare solo all’85’: con il serbo, e con chi se no? I ritmi, blandi, hanno lasciato i duellanti in partita, sempre e comunque. Ognuno con il proprio stile. Unai Emery, palleggiando per un tempo e poi giocando «al serpente», tutti nascosti, tutti pronti a mordere. Allegri, di contropiede, a folate.

Le assenze, d’accordo. Non poche. E Gerard Moreno sul fronte spagnolo. Difendeva a cinque, Madama, con Danilo-De Ligt-Alex Sandro nel cuore del bunker, Cuadrado e De Sciglio terzini, Locatelli, similregista, fra un generoso McKennie e un banale Rabiot. Dal Morata vagante, segnali di fumo y nada mas. Con Vlahovic guerriero solitario e, spesso, abbandonato. La Juventus ha rischiato grosso subito dopo il gol (palo scheggiato da Lo Celso, falso nueve di raffinato tocco, parata di Szczesny su tacco di Danjuma), ma poi sembrava a cassetta.
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Le sartine del Sassuolo

Roberto Beccantini20 febbraio 2022

E adesso? Chi di voi corre a chiedere scusa ad Allegri, la cui Juventus – senza più Cristiano e senza ancora Vlahovic – si arrese, in casa, al Sassuolo «solo» al 95’ e per giunta su un contropiede (ripeto: su un contropiede)? Il Milan di Pioli cedette di schianto: 1-3 a San Siro. L’Inter vi ha perso 0-2: sempre al Meazza.

Battute a parte. Da Di Francesco a De Zerbi e a Dionisi, la premiata sartoria Sassuolo segue un filone preciso: la via del ricamo, del palleggio. La squadra è leggera, studia e si applica. Perde spesso, gioca sempre. D’accordo, Consigli ha parato tutto (ma qualcosa pure Handa). Sin dall’inizio, però, le «sartine» hanno preso in mano l’uncinetto e non hanno più smesso. Andasse come andasse. Penso a Traoré, dribbling e testa alta, a Maxime Lopez, a Berardi (un assist e una traversa), a Raspadori, dieci fluttuante e autore del primo gol, a Scamacca, che ha firmato il raddoppio. Ai terzini, a tutti. Al mister.

La Champions pesa: i campioni avevano nelle gambe il piombo del Liverpool. Piombo rovente. E comunque: fra Milan, Napoli e Sassuolo un punto in tre partite. Impatto molle, ritmi da intervallo di Manchester City-Tottenham, Lau-Toro non segna più, Alexis Sanchez, leone in gabbia, è diventato la gabbia. Troppo timido, Dimarco vice Bastoni. E Barella vice Brozovic ha sottratto fionda e sassi alla fascia destra, almeno per un tempo. Perisic aveva le polveri bagnate. Inzaghino è corso ai ripari, ma dai rinforzi ha avuto poco: Dzeko si è mangiato un paio di gol, Dumfries trovava nuvole talmente ingolfate che gli impedivano di volare. L’Inter non poteva non scuotersi. Agli avversari, in compenso, si offrivano praterie che avrebbero legittimato ben altra mira (ah, se Berardi fosse anche un po’ di «destro»).

Il Milan veniva dal pareggiaccio dell’Arechi, contro una Salernitana
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