Se devo morire, lasciatemi morire a modo mio: avrà pensato Fonseca. E allora: Pulisic più Morata più Abraham più Leao; 4-4-2 o 4-2-4. Stupido di un portoghese. Nel derby, addirittura. Non è morto. Anzi: ha vinto. E con pieno merito. L’Inter si era aggiudicata gli ultimi sei e veniva dalle coccole guardiolesche. Si è persa nella ripresa: letteralmente.
Maignan ha parato: Su Thuram, su Lautaro. Sommer ha salvato: su Leao, un paio di volte, su Reijnders. Non solo: Abraham e Okafor si sono mangiati gol fatti. In vantaggio, era andato il Diavolo: azionissima di Pulisic (remember Liverpool). Era il 10’. Poi Inter. Cambi di fronte, pressing, e il pari di Dimarco, su tocco del capitano. C’è stata partita, sì, ed è stata vibrante, inglese. L’incornata di Gabbia, un atto di giustizia.
Naturalmente, Fonseca diventerà un genio e Inzaghino, lo stratega capace di imprigionare il City, una schiappa. E’ la legge della nostra giungla. La fame e l’orgoglio hanno aiutato il Milan a resistere al primo tempo di Leao, a un assetto così sbilanciato, a tutto. Simone ha smontato l’intero centrocampo. Proprio lì, si è decisa l’ordalia. Se, come scritto, era sulle corsie che i campioni spopolavano, in mezzo Reijnders e c. trovavano spazi che, dall’assolo di Pulisic alle transizioni successive, avrebbero potuto scolpire il risultato con ben altri scalpelli.
Morata tra le linee ha creato problemi. Delle grandi, l’Inter è la squadra che, in Europa, dribbla di meno. Procede avanzando con i cavalli, le torri e gli alfieri. Non stavolta. Mai vista la fase difensiva così alla mercé degli avversari. Non so se sia nato un nuovo Milan. Di sicuro, tutti hanno dato tutto, da Gabbia (il soldato Ryan che, invece di essere salvato, salva) a Reijnders. E il coraggio di Paulo il triste.
Classifica corta e in testa, dopo 47 anni, il Toro. Cerea, neh.