Diavolissimo

Roberto Beccantini22 settembre 2024

Se devo morire, lasciatemi morire a modo mio: avrà pensato Fonseca. E allora: Pulisic più Morata più Abraham più Leao; 4-4-2 o 4-2-4. Stupido di un portoghese. Nel derby, addirittura. Non è morto. Anzi: ha vinto. E con pieno merito. L’Inter si era aggiudicata gli ultimi sei e veniva dalle coccole guardiolesche. Si è persa nella ripresa: letteralmente.

Maignan ha parato: Su Thuram, su Lautaro. Sommer ha salvato: su Leao, un paio di volte, su Reijnders. Non solo: Abraham e Okafor si sono mangiati gol fatti. In vantaggio, era andato il Diavolo: azionissima di Pulisic (remember Liverpool). Era il 10’. Poi Inter. Cambi di fronte, pressing, e il pari di Dimarco, su tocco del capitano. C’è stata partita, sì, ed è stata vibrante, inglese. L’incornata di Gabbia, un atto di giustizia.

Naturalmente, Fonseca diventerà un genio e Inzaghino, lo stratega capace di imprigionare il City, una schiappa. E’ la legge della nostra giungla. La fame e l’orgoglio hanno aiutato il Milan a resistere al primo tempo di Leao, a un assetto così sbilanciato, a tutto. Simone ha smontato l’intero centrocampo. Proprio lì, si è decisa l’ordalia. Se, come scritto, era sulle corsie che i campioni spopolavano, in mezzo Reijnders e c. trovavano spazi che, dall’assolo di Pulisic alle transizioni successive, avrebbero potuto scolpire il risultato con ben altri scalpelli.

Morata tra le linee ha creato problemi. Delle grandi, l’Inter è la squadra che, in Europa, dribbla di meno. Procede avanzando con i cavalli, le torri e gli alfieri. Non stavolta. Mai vista la fase difensiva così alla mercé degli avversari. Non so se sia nato un nuovo Milan. Di sicuro, tutti hanno dato tutto, da Gabbia (il soldato Ryan che, invece di essere salvato, salva) a Reijnders. E il coraggio di Paulo il triste.

Classifica corta e in testa, dopo 47 anni, il Toro. Cerea, neh.

Svegliatemi, per favore

Roberto Beccantini21 settembre 2024

Il minuto per Totò. Il ritorno di Conte e Tacconi. Le uniche emozioni. Dopodiché, cisterne di camomilla, camion di noia. Juventus-Napoli 0-0. Per Thiago, il terzo consecutivo. Coraggio pure. Anzi: coraggio un tubo. Su entrambi i fronti. Eppure i tecnici sono i nostri bardi, il nostro vanto.

Più palleggio e più possesso, Madama: ma una sola occasione (di Koopmeiners) più i cross e i dribbling di Yildiz, sprecato all’ala, le traversate di Cambiaso e un pugno di mischie. Solo contropiede, o’ Napule: ma anche più occasioni (le parate di Di Gregorio su McTominay e Politano, la lecca di Politano a fil di traversa).

I peggiori, Lukaku e Vlahovic. Il serbo è uscito al 45’, addirittura: dentro Weah e area da occupare in gruppo. Otra vez. Conte, che fin dall’inizio aveva battezzato la difesa a 4, ha perso Meret, per infortunio, già al 35’. Sfido Caprile a raccontarmi un pomeriggio più mansueto.

Savona su Kvara sembrava, lì per lì, mossa fin troppo temeraria. E invece il match l’ha chiuso il bimbo, non il georgiano, sostituito con Lukaku e Politano al 71’. D’accordo, la Vecchia aveva giocato martedì in Champions e gli avversari no, resta però la sensazione di un problema che, denunciato dall’Apollo di turno (scegliete voi quale), Houston non riesce a risolvere. Non tirare mai, o quasi mai, come con Roma ed Empoli non coinvolge il passato: se mai, riguarderà il futuro. Occhio: tre indizi fanno una prova. E di Douglas Luiz, nessuna notizia.

Nella mia griglia estiva, avevo collocato il Napoli secondo e la Juventus quarta. Siamo appena a settembre, per carità, ma la pensavo, e la penso, così: felicissimo di sbagliarmi. Conte Dracula ha badato al sodo: il corto muso non gli ha mai fatto schifo. Quel McTominay sfonderà. Madama, viceversa, è come Dorando Pietri: per qualità o densità, «crolla» negli ultimi metri.

Più dentisti che gunners

Roberto Beccantini19 settembre 2024

Terzo 0-0, dopo Bologna-Shakhtar Donetsk e Manchester City-Inter. Gira e rigira, a Bergamo hanno deciso i portieri: Carnesecchi, con la doppia parata sulla punizione di Bukayo Saka e il tap-in di Thomas; Raya, soprattutto, con il doppio zompo sul rigore-più-testa di Retegui. La nuova Champions è un carrozzone che non finisce mai, inutile pretendere che sin dall’inizio, a settembre, ci si scanni come fra leoni e gladiatori. A maggior ragione, se i Cesari di Nyon offrono due partite in più.

Atalanta-Arsenal è stata noiosetta, equilibrata, rispettosa dei valori, cavalleresca (un ammonito, Ederson: il migliore, per me, al netto del penalty procurato). Hanno deluso le punte: Lookman, De Ketelaere, Retegui (ma solo dal dischetto, non certo per tutto il resto), Bukayo Saka, Gabriel Jesus, Martinelli (il più pericoloso, il più impreciso), Havertz («sotto» tridente, boh). Non escludo che Arteta pensasse già al Manchester del Pep (domenica): di sicuro, i suoi gunners hanno patito i vietcong della Dea che, se escludiamo le scaramucce iniziali, si è caricata la partita sulle spalle. Uomo su uomo. Varchi sigillati. Alé.

Dall’Europa League di Dublino (22 maggio) all’Arsenal, il Gasp continua a macinare un calcio che, in generale, non patteggia: o lo batti perché sei più forte; o ti batte perché è più forte. I cambi, poi. Da Cuadrado a Zaniolo a Samardzic: tutti propositivi. Un segno, e non banale. Al di là del risultato, che gli episodi non smetteranno mai di corteggiare. A proposito, Skorupski al Dall’Ara, Raya al Gewiss: piano con l’eguglianza rigore uguale gol.

Polveri bagnate, dunque. Sia di qua che di là. L’Arsenal (anche di Calafiori, nel finale) ha scoperto i dentisti del Gasp, mentre la Dea, da parte sua, ha ribadito quanto il brand della Premier ne aguzzi le fregole (citofonare Liverpool: «la» Liverpool di Kloop).