Discesa libera

Roberto Beccantini30 ottobre 2021

A Verona la Juventus perdeva ai tempi di Platini e Cristiano Ronaldo, figuriamoci come avrebbe potuto cavarsela con i resti di Chiellini e gli avanzi di Allegri. Che è presa di coscienza, non presa in giro. Sono contento per Tudor, vice di Pirlo: marca a uomo (Casale su Dybala), ha trasformato Caprari e Simeone, segna un fracco di gol. Giocare contro il suo Hellas è come andare dal dentista, vedi alla voce Dea: 2-0 in un quarto d’ora, doppio Cholito, di rapina e dalla mattonella, con Bonucci a debita distanza. Come se fosse punizione, invece era un calesse.

L’obiettivo diventa la salvezza. Quattro sconfitte in undici turni, mercoledì il Sassuolo oggi al Bentegodi: la Juventus non fa più paura e ha paura di tutti. Penso al passaggio harakiri di Arthur al primo morso di pressing, sull’1-0. Allegri ha sempre delegato, in vita sua, ma se non hai campioni, occhio, il piano diventa «insostenibile». Non credo che giochino contro di lui. Penso che più di così, al momento, non sappiano o non possano fare. Tecnico compreso. Resta una domanda: possibile, ogni tanto, giocare sin dall’inizio come alla fine? E’ probabile che la Superlega abbia spinto Agnelli e la sua Camelot a trascurare gli sbalzi di rendimento già emersi con Sarri e Pirlo. Il gioco è nebbia padana, basta una spallata per cadere. Dybala è il cerino, delicato, che indica pali e traverse. Solo.

In campo va la rosa, non il giardiniere, ma c’è un limite a tutto. Se escludiamo rari sprazzi e la Champions (per ora), il desco è modesto, il piatto vuoto, lo chef avaro. La difesa fa acqua, l’attacco latita (McKennie, ancora). Sembra giù, molto giù, anche Cuadrado, il regista occulto. Che fare? Sono contrario ai cambi in corsa, in cassa non c’è un euro. Avanti così, in attesa di chiarire il mistero-Chiesa. Non prima di aver applaudito il Verona: 3-2 alla Roma, 4-1 alla Lazio, 2-1 a Madama. E il problema era Cristiano: sorride persino la giacca di Max.

Una minsuvalenzina

Roberto Beccantini27 ottobre 2021

E’ la terza botta, una minusvalenza che farà rumore. La solita Juventus, non più baciata dagli episodi, prigioniera del suo fumo. Mai aveva vinto l’Empoli allo Stadium, mai il Sassuolo. E’ storia, signori. La 200a. panchina di Allegri è un tappeto di chiodi: alcuni li mette il capo, agli altri pensano i dipendenti. Se può giocare sugli avversari, passi. Ma se deve far gioco, mamma mia. E l’anima, che era di ferro, sembra di coccio.

Per carità, di questi tempi soffrono tutti, o quasi, penso al Milan di martedì con il Toro, ma Madama è proprio grigia, è proprio tirchia. Sette minuti di pressing alto e poi, nisba. Sette fuorigioco, in un calcio che ormai lo ha abolito, significano essere pigri, Morata in testa. La ditta McKennie-Chiesa, a destra, alza polvere. Locatelli, ex di turno, palleggia tra rimpianti e (forse) rimorsi. A sinistra, l’infortunio di De Sciglio spalanca la sfida ad Alex Sandro. Ecco: il brasiliano e Rabiot, reduce da Covid, non ne azzeccano una. E da lì che parte in tromba Berardi per impegnare strenuamente Perin. E’ sempre da lì che si snoda l’azione della prima rete, bella e semplice: Berardi-Defrel-Frattesi (da tenere d’occhio).

E la Juventus? Un palo di Dybala, poco prima dello 0-1, e le solite processioni, senza un’idea sparata là in mezzo. Alla ripresa, Allegri rivolta l’assetto. Cuadrado era, una volta, il regista occulto. Una volta. Arthur qualcosa combina. La Juventus si scuote. A Kaio Jorge, Dionisi (complimenti) risponde con Scamacca. Il pareggio di McKennie – di testa, su punizione di Dybala – sembra un inizio. Invece no. Il 2-1 di Maxime Lopez, smarcato da Berardi, migliore in campo, suggella un contropiede che fustiga le squadre che pensano di essere grandi anche quando non lo sono più. E’ la resa ufficiale, già a fine ottobre. Ve la giro come una battuta: non resta che la Champions.

Figuriamoci/2

Roberto Beccantini24 ottobre 2021


Un derby d’Italia sordo e grigio, da zero a zero, issato faticosamente sull’uno pari da due episodi: al 17’, il tap-in di Dzeko dopo un palo della «ditta» Calhanoglu-Locatelli e con Madama in dieci per colpa di un cambio tardivo (Bernardeschi-Bentancur); all’89’, il rigorino di Dumfries, gran pollo, su Alex Sandro, sfuggito a Mariani, beccato dal Var e trasformato da Dybala. Uno dei tanti che non darei mai, tipo Hysaj su Barella.

In mezzo, niente di che. Polvere, e quasi mai da sparo. Squadre vecchie di spirito, nel primo tempo meglio l’Inter: più cazzuta (Barella, Darmian, Perisic, le sponde di Dzeko) e Juventus a rimorchio, spesso prigioniera di sé stessa, viva solo grazie alle titubanze di Handanovic (al pronti-via, su tiro di Morata). Con Kulusevski che, per escludere Brozovic, aveva escluso Chiesa. Mah.

Nel secondo, un po’ più di Juventus, e un’Inter quasi sazia, o forse stanca, copia filosofica della Juventus anti Chelsea. Non poteva non cambiare qualcosa, qualcuno, Allegri. Difatti: dentro Chiesa, dentro Dybala. E, agli sgoccioli, persino Kaio Jorge. L’Inter non arrivava più da Szczesny, la Juventus provava a farsi coraggio, una zuccata di Morata, un paio di cross tesi, nuvole di mischie, con il taccuino che mendicava emozioni. E così le due partitissime di San Siro e dell’Olimpico hanno partorito, su azione, la miseria di un gol. L’Inter aveva il risultato in pugno. Inzaghino, poi espulso, è della scuola di Max. Non cerca il brivido, punta dritto alla bacheca. E a volte esagera, come stavolta. Fermo restando che poi, alla fine, è sempre il tabellino a orientare gli umori. E la moviola.

Se l’Inter non può buttare simili opportunità, la Juventus deve crescere: 13 gol in 9 partite sono una media da centro classifica. Ecco perché Dybala diventa, volenti o nolenti, l’ago della bilancia.
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