In un mese

Roberto Beccantini11 agosto 2021

In un mese, dall’11 luglio all’11 agosto, è cambiato il mondo. Il nostro, almeno. Siamo diventati campioni d’Europa con la Nazionale di Mancini. Ci siamo scoperti nazione multietnica all’Olimpiade: gli ultimi saranno i primi. Abbiamo espresso, per la prima volta, un finalista a Wimbledon: Berrettini. Ha annunciato il ritiro Valentino, che delle moto era diventato il centauro più seducente (nomen omen). Dopo 21 anni, Lionel Messi ha lasciato Barcellona per Parigi. La fine di un’epoca. E l’inizio di chissà quale «cosa», alla Nanni Moretti.

Se n’è andato, Leo, a parametro zero. Ha 34 anni, è un pittore e non uno scultore come Cristiano, arrivò da Rosario che era un nano, l’hanno curato e cresciuto sino a farne «més que un Club»: nei trofei, nei soldi. Tanti ne ha prodotti, tanti ne ha ricevuti. E’ successo, al Barça, quello che Alessandro Bergonzoni ha raccontato in «Aprimi cielo», con la malinconica ironia che lo caratterizza: «Nel curare qualcuno, si diventa qualcuno da curare». Appunto. Un debito qua e uno là, fino all’implosione (sotto la gestione Bartomeu, soprattutto).

Tra fondi di pace e sfondi di guerra (la Superlega fallita, il Fair play finanziario svuotato dalla pandemia), comandano sceicchi e russi. Se la storia siamo noi (Mattarella), il mercato sono loro. La «tipo» del Paris Saint-Qatar mette paura. Sulla carta. Sul campo, citofonare Lille. Leo abbandona il diletto 10, indirizzo dell’amico Neymar, per trasferirsi al civico 30. Più umano di Diego, ci ha abituato alla bellezza del dribbling, a quei conati (di genio, di vomito) che ne hanno resa unica la carriera. E’ mancato, all’epilogo di domenica, il calore del popolo. E non chiedetemi se fossero, le sue, lacrime di caimano mascherato da coccodrillo o viceversa. Si è liberato di una patria che sentiva ormai come una cella. Se il «final» non è stato proprio lieto, lietissimo è stato il «durante». E allora: Messì beaucoup.

Vaccinato a tutto, ma a questo..

Roberto Beccantini6 agosto 2021

Vaccinato a tutto, sì, ma non a questo, non a «questi». Dopo l’alto di Tamberi e i 100 di Jacobs, la marcia di (famolo) Stano e della Palmisano, fuochi di Puglia, persino la 4×100. Noi, le cui squadre dal basket (con molto onore) al volley (con molto meno) erano cadute. Salvati dal quartetto del ciclismo di Ganna and friends e dalla staffetta veloce. Lorenzo Patta, sardo dell’Oristano che brucia. Lo Jacobs di cui sempre (da domenica 1° agosto), nato nel Texas e battezzato, come ha scritto Giancarlo Dotto, nelle acque del Garda. Eseosa Fostine Desalu detto Fausto, di Casalmaggiore, provincia di Cremona, e sangue di Nigeria. Filippo Tortu, lombardo di origini sarde (che, dicono, sarebbe un duecentista eccezionale). La storia sono loro, sono d’oro: 37″50 davanti a Gran Bretagna e Canada.

Un’altra giornata mitica e mistica, alzi la mano colui che, fra noi testimoni, non avrebbe voluto essere «il» testimone, quel candelotto lì, per raccontare più da vicino e più dal di dentro i passaggi dalla cronaca alla storia e dalla storia alla leggenda (per i nostri canoni, almeno), con la volata e la rimonta di Tortu nell’ultima, spasmodica, frazione. Noi, testimoni di un testimone.

Era dai Giochi del ‘48, a Londra, che la nostra 4×100 non saliva sul podio (bronzo): Michele Tito, Enrico Perucconi, Carlo Monti, papà di Fabio, Antonio Siddi. Si veniva da una guerra: e che guerra. Anche questa volta si veniva da una guerra: al Covid, più subdola e non meno mondiale dell’altra. Anzi. E così, dall’Europa del calcio alla Tokyo dell’atletica e non solo (ma dell’atletica, soprattutto) l’eresia del sogno e il sogno dell’eresia continuano.

Può essere che la pandemia, decolonizzando il sudore, abbia cementato l’orgoglio nazionale. Di sicuro, suicidandosi nei cambi, gli Usa e getta ci avevano dato una mano. Ma tutti potevano essere lì, dove c’erano, invece, i nostri ragazzi. Cittadini del mondo.

Tu chiamale, se vuoi, erezioni

Roberto Beccantini1 agosto 2021

Tu chiamale, se vuoi, erezioni. Quei dieci minuti, fra l’alto di Gianmarco Tamberi e i 100 di Lamont Marcell Jacobs, e già nei nomi c’è il segno di un’Italia mista, aperta; quei dieci minuti, dicevo, non ci chiederanno mai dove eravamo, ma se c’eravamo. Due ori nell’atletica, che regina dei Giochi lo è davvero, e non banalmente per gioco, non li si vinceva da Atene 2004: Ivano Brugnetti nei 20 chilometri di marcia, il primo giorno dell’atletica; Stefano Baldini nella maratona, l’ultimo.

L’adrenalina scorre a damigiane e chissà quando si ridurrà a goccia. Tamberi è un allegro casinista di Civitanova Marche, corregionale di Roberto Mancini. Il destino cinico e baro gli negò Rio 2016. Ha portato con sé il calco di gesso, con su scritto «Road to Tokyo 2021». Marcell è nato a El Paso, Texas, e vive con la madre a Desenzano, sul lago di Garda. Non parla inglese, è un mito mite, figlio di genitori separati e già padre, a 26 anni e mezzo, di tre figli. Come dire: un sacco di vite in una.

Gimbo di anni ne ha 29 e ha condiviso i 2,37 del podio con il qatariota Mutaz Essa Barshim. Ha aspettato Marcell, per abbracciarlo. Marcell ha corso in 9″80, nuovo record europeo: record che già in semifinale aveva portato a 9″84. Lui, bipede di volontà francescana, succede a un extraterrestre: Usain Bolt (con lo stesso tempo del suo ultimo sprint). Mai, nella storia, un italiano aveva corso la finale dei 100 metri a un’Olimpiade. Mai.

Non ho i titoli per raccontarvi, tecnicamente, i due campioni. Vergin di servo encomio e di codardo oltraggio m’inchino, commosso, a una doppietta troppo grande per il mio vocabolario. Gianmarco, Marcell: ricorderò sempre domenica 1° agosto 2021, perché «saltai» il protocollo e «corsi» al pc. Per voi. Per le vostre imprese. E grazie, soprattutto, per aver dato un senso all’enfasi, all’incenso che, spesso, mi scivolano dai tasti.