Gosens formato Dea

Roberto Beccantini19 giugno 2021

Budapest, Ungheria-Francia 1-1. Ubriachi di sé medesimi, i campioni del mondo si sono lasciati abbindolare dal catenaccione di Marco Rossi (7). Gol di Fiola (7), pareggio di Griezmann (6). Sembrava Ungheria-Portogallo, con i galletti, però, molto più polli, molto più stracchi. Tutti: Pogba (5), Rabiot (5), Benzema 5, Mbappé (6 meno meno). Persino Kanté (5,5). Sul fronte magiaro, sempre in gamba Gulacsi (7). Immagino l’ira di Deschamps: il caldo, d’accordo, e il ritorno del fattore campo. Ma urge imporre un limite alla pancia piena e ai ruttini da bollicine.

Monaco, Portogallo-Germania 2-4. Bella e vibrante, in mano agli attacchi. Decisive le fasce, Kimmich (7) a destra e, soprattutto, Gosens a sinistra: gol e assist da pura Dea, questa volta (9). Loew ha recuperato pressing e triangoli, Havertz (7), Gnabry (6,5) e Thomas Muller (6,5) sono centravanti di passaggio, può essere un’idea a patto che il movimento sia sincrono, e i rifornimenti pregiati. In compenso, continuano a deudermi Bernardo Silva (5,5) e Bruno Fernandes (5). Nei panni di Santos, ne toglierei uno e dentro subito Renato Sanches (6,5, gran palo). Un disastro Semedo (4), mangiato da Gosens. Da Cristiano Ronaldo (6,5) il gol, comodo, del vantaggio e l’assist per Diogo Jota (5,5). Brutto segno, le autoreti di Ruben Dias (5) e Guerreiro (5). Squadre allegre, la Germania non muore mai. E tutti sul cornicione.

Siviglia, Spagna-Polonia 1-1. Alle furie manca la scintilla. Troppo leggibile, la manovra; e l’idea delle due punte non ha pagato. Anzi: Gerard Moreno (5) ha sbagliato un rigore pizzicato dal Var e Morata (5,5) da tre puntate al casinò ha ricavato solo un pieno. Più vivi, i polacchi, più guerrieri: Paulo Sousa li avrà scossi. Lewandowski letale (6,5), Zielinski marginale (5,5) e Szczesny (6) up and down, down in uscita, up ai piedi di Morata. Partita maschia, secondo il lessico d’antan. E allora, 6 a Orsato.

Boniperti, per sempre

Roberto Beccantini18 giugno 2021

Difficile, di fronte a questa notizia, restare neutrali. E forse sarebbe anche sbagliato. Giampiero Boniperti se n’è andato sul filo dei 93 anni, li avrebbe compiuti il 4 luglio. E’ stato giocatore e presidente della Juventus, è stato la Juventus. A suo modo, nel suo periodo, con quel carattere ispido, con quello slogan «Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta», che ne diventò il manifesto e la cella. L’aveva rubacchiato a Vince Lombardi, guru del football americano, ammesso che fosse davvero suo.

Arrivò alla Juventus nel 1946, lo buttarono subito in campo e subito segnò sette gol. Carlin Bergoglio, su «Tuttosport», scrisse: «E’ nato un settimino». La memoria che decora il dirigente non può lasciare indietro il centravanti che fu, capace di laurearsi capocannoniere davanti a Valentino Mazzola. Ripeto: Valentino Mazzola. Il capitano del Grande Torino.

Abile, elettrico, tecnico, rapace. Simbolo della Juventus, dunque degli Agnelli, dunque del potere. Memorabili i duelli e i duetti con Benito Lorenzi, detto veleno, centravanti dell’Inter. «Giampiero, vuoi arbitrare tu?». Quante volte. E poi, al primo fuori onda, ciao Marisa, ciao Veleno. Marisa, perché (versione di Lorenzi) era così biondo, riccioluto ed elegante, o perché (versione bonipertiana), c’era di mezzo Miss Piemonte – Marisa, appunto – con la quale era entrato in campo a Novara, per un’amichevole («Una vita a testa alta», Enrica Speroni).

Poi, con l’arrivo di John Charles e Omar Sivori, arretrò a metà campo, persino all’ala. Mollò il nove, si rifugiò (anche) nel sette, ma che trio, quel trio. Non che amasse Omar, ma ne rispettava il genio ribelle. Vinse e rivinse, arrivò a timbrare una doppietta a Wembley, addirittura, in un’Inghilterra-Resto d’Europa
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L’emozione della favola, poi l’orco

Roberto Beccantini18 giugno 2021

Tutti in piedi a Copenaghen. E tutti fermi, al 10’, per Christian Eriksen e il suo cuore matto. Applausi. Cori. Striscioni. Grande atmosfera, grandissima emozione. Poi il cuore della Danimarca. Per un tempo, spazza via il Belgio. Gol di Poulsen (6,5), Mahele devastante (7) e Kjaer (6), capitano mio capitano, a braccare un Lukaku (6,5) visibilmente frastornato. Mertens (5), Carrasco (5): come se la trama non li riguardasse. E che sbandamenti, in difesa.

A questo punto, Martinez ha tolto Mertens, proprio lui, e inserito Kevin De Bruyne, che aveva saltato la Russia per via del frontale con Rudiger, in City-Chelsea di Champions. La mossa, più che alla Nasa di pochi, appartiene al naso di molti. Perché, voi cosa avreste fatto? Ecco: comincia un’altra partita. La partita di De Bruyne (8), assist per Thorgan Hazard (7), fratellino di Eden (6), e gol del sorpasso. Nel primo caso, cruciali l’erroraccio di Vestergaard (5) e la galoppata di Lukaku; nel secondo, splendido ricamo della famiglia Hazard e non meno efficace sinistro di colui che Guardiola (8) ha trasformato in una sorta di fabbrica del centrocampo. I danesi avrebbero meritato di più: penso alla traversa scheggiata da Braithwaite (7) e alle iniziative di Damsgaard (6,5), tuffo a parte. Non è proprio il loro momento.

Amsterdam, Olanda-Austria 2-0. Con il rientro di De Ligt (6,5), la difesa e De Vrij (6,5) stuccano le crepe del battesimo. Gli avversari, loro, sono invitati che cercano di farsi notare senza dare fastidio. Alaba (6) combina la frittata del rigore varista, trasformato da Depay (7). Sempre Depay spalanca, di tacco, il contropiede alla volata di Malen (6) e al raddoppio di Dumfries (6,5). In regia, de Jong (7) è sempre un bel panorama; e De Roon (6),
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